Il caso del Colonial Pipeline e la fame di infrastrutture

Era lo scorso 7 maggio, quando un attacco informatico ha portato al blocco temporaneo del più grande oleodotto degli Stati Uniti, il Colonial Pipeline. Un attacco che è stato condotto attraverso un un ransomware: un virus, cioè, che impossibilita l'accesso al dispositivo che infetta fino a che non venga pagato un riscatto. E proprio un riscatto sarebbe stato pagato: una somma che, ha riferito Bloomberg News giovedì scorso, si aggirerebbe attorno ai 5 milioni di dollari. Sempre giovedì, il gasdotto ha reso noto di aver ripristinato le sue attività. "Ora possiamo segnalare che abbiamo riavviato il nostro intero sistema di condutture e che la consegna del prodotto è iniziata in tutti i mercati che serviamo", ha dichiarato la società in una nota. Società che ha comunque ammesso che serviranno diversi giorni prima che le catene di approvvigionamento tornino completamente alla normalità. L'Fbi ritiene che gli hacker responsabili dell'attacco siano legati a DarkSide: si tratta di un gruppo specializzato in estorsioni informatiche, che dovrebbe avere la propria base in Russia o comunque in Europa Orientale. Un gruppo che – secondo quanto riferito venerdì dal Wall Street Journal avrebbe annunciato adesso il proprio scioglimento: una notizia che è stata accolta con qualche perplessità. Come notato infatti dal sito Axios, queste organizzazioni di hacker spesso si sciolgono per poi ricostituirsi in entità con nomi diversi.

L'attacco al Colonial Pipeline si è comunque rivelato particolarmente traumatico per gli Stati Uniti. Come riferito da The Hill, a partire da giovedì pomeriggio, erano rimaste senza carburante il 73% delle stazioni di servizio di Washington DC, il 69% di quelle della Carolina del Nord, il 52% di quelle della Carolina del Sud e il 51% di quelle della Virginia. Situazioni problematiche si sono inoltre registrate, da questo punto di vista, anche in Tennessee, Maryland e Georgia. In particolare, gli analisti hanno sostenuto che queste carenze fossero in gran parte causate da acquisti di panico: panico nato dal timore che i rifornimenti potessero esaurirsi nel giro di pochi giorni a seguito dell'attacco hacker.

Ricordiamo che il Colonial Pipeline sia il più grande oleodotto degli Stati Uniti, con tubature lunghe quasi 9.000 chilometri, che mettono in collegamento il Texas allo Stato di New York, riuscendo a trasportare fino a tre milioni di barili al giorno: si stima che l'opera fornisca circa il 45% del carburante usato nell'East Coast. A seguito del blocco, il prezzo medio della benzina è arrivato a 3,03 dollari per gallone: il più alto dall'autunno del 2014. L'entità economica e psicologica dell'accaduto ha spinto a intervenire lo stesso presidente statunitense, Joe Biden. "Non fatevi prendere dal panico", aveva detto in un discorso alla Casa Bianca giovedì. "So che vedere le file alle pompe o alle stazioni di servizio senza benzina può essere estremamente stressante, ma questa è una situazione temporanea. Non procuratevi più gas del necessario nei prossimi giorni".

Anche se ormai risolto, quello del Colonial Pipeline costituisce un problema politico molto complesso per l'attuale inquilino della Casa Bianca. Da un punto di vista internazionale, si è diffusa la rappresentazione di un'America di fatto incapace di tutelare le proprie infrastrutture strategiche: le immagini delle file ai distributori, che hanno fatto il giro del mondo, costituiscono un duro colpo al soft power statunitense. Dal punto di vista interno, i repubblicani sono sul piede di guerra. In particolare, l'elefantino sta criticando Biden per aver bloccato la realizzazione dell'oleodotto Keystone XL. "La crisi del Colonial Pipeline mostra che abbiamo bisogno di più energia americana per alimentare la nostra economia, non di meno. Ma l'amministrazione Biden ha già cancellato l'oleodotto Keystone e ha sospeso le trivellazioni di petrolio e gas, lasciando la nostra fornitura di energia più vulnerabile agli attacchi", ha twittato il capogruppo repubblicano alla Camera, Kevin McCarthy, mettendo nel mirino l'ostilità della Casa Bianca nei confronti delle forme di energia tradizionali.

In tutto questo, va anche sottolineato che la crisi del Colonial Pipeline è esplosa, per Biden, negli stessi giorni in cui sono arrivati i deludenti dati sul lavoro e i numeri preoccupanti dell'inflazione: il che costituisce un significativo grattacapo per l'inquilino della Casa Bianca. Non è ancora chiaro l'impatto politico di questa situazione sull'ambizioso progetto di riforma infrastrutturale, presentato dal presidente il mese scorso. Non mancano tuttavia delle iniziative parlamentari bipartisan per cercare di affrontare il problema. In particolare, l'11 maggio sono stati reintrodotti due disegni di legge alla Camera che mirano a rafforzare il Dipartimento dell'Energia nel rispondere ad attacchi informatici: si tratta, nella fattispecie, del Pipeline and LNG Facility Cybersecurity Preparedness Act e dell'Energy Emergency Leadership Act.

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