Doping e atletica, Alessandro Donati: "Nessuna sorpresa"

Un altro colpo di spazzola sulla credibilità dello sport internazionale. Tyson Gay e Asafa Powell, due tra i più veloci atleti del pianeta, avversari pregiatissimi e ingombranti di Usain "Lightning" Bolt nelle corse più importanti degli ultimi anni, sono stati accusati nelle scorse ore di aver fatto uso di sostanze dopanti. Con Powell, nella bufera finisce una squadra intera, in ritiro in questi giorni a Lignano Sabbiadoro. Gay ha fatto invece sapere da Amsterdam di essersi "fidato della persona sbagliata". Presto saranno resi noti i risultati delle controanalisi, ma la decisione delle autorità sportive è già stata presa: Powell e Gay non parteciperanno ai Mondiali di Mosca in programma dal 10 al 18 agosto. Altri due campioni dello sport escono quindi di scena con la coda tra le gambe...

"Siamo ormai di fronte a una prestazione artificiale totale", racconta  Alessandro Donati, dal 1977 al 1987 tecnico della nazionale italiana di atletica leggera, oggi consulente della Wada (Agenzia mondiale antidoping) e autore di libri che hanno sottolineato il grande impatto delle sostanze chimiche illecite nello sport d'élite internazionale. L'ultimo lavoro, "Lo sport del doping" (i cui introiti sono interamente devoluti all'associazione "Libera" di Don Ciotti), è uscito nello scorso autunno, anticipando molti dei temi di questo ennesimo scandalo, che vediamo dunque di approfondire con lo stesso Donati.

Prima Gay, poi addirittura un'intera batteria di fulmini giamaicani, con il fuoriclasse Asafa Powell in testa. Che cosa sta succedendo ai protagonisti mondiali della velocità?

"I protagonisti mondiali della velocità sono chiari prodotti artificiali già da diversi anni. Ogni tanto ne viene preso qualcuno e ci sono delle intensificazioni nei controlli. In questo caso specifico, è evidente che il mito dei giamaicani riceve un brutto colpo. Non perché i giamaicani non siano dotati fisicamente per le prove di velocità, perché sicuramente lo sono. E vanno forte non soltanto i giamaicani che in Giamaica ci vivono, ma pure quelli che sono nati da quelle parti e che ora vivono altrove. Hanno caratteristiche fisiche e atletiche senza dubbio notevoli, questo è certo. Ma da qui a dominare le corse di velocità come acacduto di recente... Non ci sono precedenti nella storia: be', fa pensare. Statisticamente è impossibile, ecco. E poi bisognerebbe parlare degli stimolanti".

Appunto, c'è già chi dice che gli stimolanti servano anche e soprattutto per coprire altre sostanze, evidentemente ancora più performanti.

"Gli stimolanti non fanno gonfiare i muscoli. Buffo che in soggetti ipertrofici come loro emerga la presenza di stimolanti e non di altre sostanze. E poi sono stati trovati in gara e questo significa che gli atleti in questione non soltanto fanno uso di metodi a me sconosciuti per aumentare il volume dei muscoli, perché i muscoli non diventano così gonfi con la pesistica, ma pure di sostanze che stimolano il sistema nervoso. Siamo di fronte quindi a una prestazione artificiale totale, ecco tutto". 

Per il momento gli atleti giamaicani negano ogni addebito. Dicono che la sostanza incriminata, la metilsilofrina, sarebbe stata assunta inconsapevolmente con un integratore...

"Queste giustificazioni si ripetono senza soluzione di continuità tra gli atleti accusati di aver fatto uso di sostanze dopanti. Pur non dando colpe dirette, anche Tyson Gay ha detto qualcosa di simile. E' sempre un demandare le responsabilità agli altri, come fossero dei bambini della scuola elementare. E invece sono degli atleti supernavigati che girano il mondo e conoscono le lingue. Sono perfettamente informati dai vari manuali diffusi dalla Wada. Insomma, sanno benissimo di cosa si tratta. Non c'è credibilità nelle loro giustificazioni".

Da Ben Johnson in poi vale la regola non scritta dello scaricabarile. "Io colpevole?", la colpa, quando viene riconosciuta, è sempre degli altri, spiegano solitamente gli atleti beccati con le mani nei barattoli di pillole. Possibile che chi corre non conosca le ragioni e le logiche delle proprie prestazioni?

"Certamente le conoscono. Tra di loro si scambiano anzi moltissime informazioni. Non sono dei novellini, tutt'altro. Hanno accanto dei manager furbi e dei medici espertissimi. Non è proprio credibile che siano inconsapevoli. Non siamo di fronte a un giovane che arriva da un villaggio sperduto dell'Africa e che improvvisamente viene selezionato per correre in gare importanti. Stiamo parlando di soggetti che sono sulla scena da molti anni e che fanno lunghi stage all'estero, durante i quali scambiano informazioni con colleghi e medici di tanti Paesi al mondo".

A Lignano è finito sotto inchiesta uno dei club più prestigiosi della Giamaica. E qualcuno sta iniziando più o meno velatamente a puntare il dito su Bolt: la sua opinione al proposito?

"Bolt è già stato raggiunto da accuse molto pesanti che sono state fatte indirettamente da Victor Conte, l'ex manager della Balco (l'azienda di San Francisco che produceva steroidi per atleti professionisti e che nel 2002 è stata al centro di uno scandalo mondiale, ndr). Conte ha fatto precisi riferimenti a un rapporto intercorrente fin dal 2009 tra Bolt e Angel Heredia, che oggi si fa chiamare Angel "Memo" Hernandez. Angel Heredia era un lanciatore del disco che usava gli anabolizzanti. Per giunta, nel 2005 è stato arrestato per riciclaggio di denaro sporco e traffico di droga. Heredia è entrato nell'affare Balco come testimone A. Questo perché ha concordato con le autorità inquirenti degli Stati Uniti di dare informazioni dettagliate circa il suo ruolo nella diffusione della pratica del doping internazionale in cambio dell'anonimato. Se l'accusa di Conte risponde al vero e Angel Heredia non lo ha denunciato per calunnia, allora Bolt deve rispondere a due domande molto imbarazzanti".

La prima?

"Come mai un atleta sceglie come proprio collaboratore un chimico farmaceutico?".

E la seconda?

"Come mai ha scelto un chimico farmaceutico della Balco?".

Insomma, a suo giudizio si stanno allungando oscure ombre anche sull'immagine sportiva del re assoluto della velocità...

"La storia di Armstrong, come peraltro molte altre precedenti, qualcosa dovrebbe avere insegnato. Vale a dire: che gli indizi non possono essere sempre accantonati con la logica del garantismo. Ma io mi chiedo: chi garantisce gli atleti innocenti? Nessuno. Sicuramente non quelli che adesso ritornano sulla vecchia proposta di liberalizzazione. Un disastro, perché vorrebbe dire mettere sotto i piedi tutti gli atleti che fanno sport in maniera pulita. Loro, questi ultimi, cosa dovrebbero fare? Dovrebbero doparsi per forza? Oppure lasciare la scena... perché è chiaro che il doping, nel caso di liberalizzazione completa, la farebbe da padrone".

Ad ascoltare le sue parole, è solo questione di tempo. Prima o poi molti altri campioni finiranno per essere smascherati. Possibile che il marcio sia così dilagante?

"Le Federazioni internazionali cercano di evitare che i loro atleti di vertice finiscano nel fango, questo è evidente. Difficile dire chi potrebbe essere il prossimo campione a essere smascherato, ma certo posso dirvi che nelle discipline in cui la forza ha un ruolo determinante, i primi 10-15 al mondo sono tutti più che sospettabili di doping. Perché gli ormoni anabolizzanti modificano la forza in modo così imponente che si apre un baratro con gli altri che non li utilizzano. Discorso analogo vale per le specialità di resistenza in cui l'Epo scava un abisso rispetto a chi non lo assume. Questi sono dati di fatto. E' ipocrita chi sostiene che con un allenamento corretto si possono raggiungere certi risultati. Non è vero. Questo lo dice chi ha sposato la causa del doping, per confondere addetti ai lavori e appassionati". 

Dai fatti ai rimedi. Che cosa si dovrebbe fare a suo parere per sradicare la pratica del doping in modo definitivo?

"Il problema si risolve se il sistema sportivo capisce una volta per tutte che il doping può servire al fine egoistico del singolo ma non è utile per l'organizzazione in sé. Perché procura soltanto guai e calo della credibilità. Come fare? Affidare a organizzazioni esterne e neutre il compito di controllare che tutto proceda senza dolo. Senza vincoli di sorta, perché facciano ciò che ritengono opportuno, a partire dai controlli a sorpresa. E poi, chiaro, ci deve essere la collaborazione diretta delle autorità giudiziarie, che devono avere la possibilità di fare il loro lavoro fino in fondo. Come per il caso di Alex Schwazer. Soltanto in questo modo si potrà prima o poi avere la meglio sul doping".

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