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Antonio Scurati, 'Il padre infedele' - La recensione

Il giorno più bello della vita schiude le porte degli inferi. Tenerezza, dedizione e incondizionato amore accompagnano verso l'abiezione. Come in un patto geneticamente scellerato, paternità e infedeltà alimentano la radice della nostra specie: "L'uomo non è veracemente uno, ma veracemente due" diceva il dottor Henry Jeckill nel romanzo di Robert Louis Stevenson. Fin dai tempi di Platone, la dualità della condizione umana è il rebus che in cent'anni la psicanalisi si è arrovellata invano a capire.

Padri e madri di questo occidente, quarantenni satolli di vita ma ossessionati dal tempo che passa, anagraficamente incongrui all'esordio genitoriale. Antonio Scurati vi battezza con un libro-confessione a un tempo feroce e consolatorio, luciferino e amletico, dissacrante, disturbante, divertente: Il padre infedele . Non fedifrago o traditore, o meglio non semplicemente questo. Glauco Revelli, chef in carriera e padre novello, è il maschio ontologicamente infedele.

Testimone e mallevadore della violenza insita nel parto, quindi bonificatore della nascita dalla mostruosa, leopardiana antinomia, il padre si guarda allo specchio soddisfatto. Ma l'ebbrezza dura un istante. In quella triade appena composta che non può dirsi ancora una famiglia, scopre ben presto di aver perduto la sua identità. Finita la breve stagione di tormento ed estasi votata a un amore che pareva soprannaturale, l'arrivo dell'amata primogenita schiude una stagione malinconica di ribellione repressa. Impreparato al rifiuto coniugale della moglie caduta in depressione, il padre soccombe a una condizione esistenziale di ontologica insicurezza, mescolando totem e tabù in un demoniaco orizzonte di fantasie erotiche serializzate e stereotipate.

Nel diario di Glauco Revelli sgorga un flusso di coscienza dominato dal senso di spossessamento e inganno. I pensieri onirici in fase di veglia si mescolano al senso di colpa surrettiziamente indotto dalla società dei consumi. È l'effetto collaterale della paternità terziarizzata. Voi, la generazione boom padrona di un mondo ricostruito attraverso il sudore dei padri, voi che avete barattato la socialità per la carriera, voi che avete acchiappato l'ultimo treno verso l'atavico rito della riproduzione: come potete permettervi di non sentirvi felici?

"Quando la bufala è una cosa seria": il padre infedele è un cuoco, cioè il rappresentante di una nuova generazione di artisti nell'epoca del divismo minore di massa. Scurati ci invita con gusto al banchetto paradigmatico del kitsch metropolitano, plasmato dalle mode, dai social talk e dal passa parola. Food design e lesbismo di ripiego, bebè testimonial e bio-eco mamme, maschi cacciatori e aguzzini del Fate la nanna. Fra un mohito e un negroni, nel retrobottega di quella che fu una trattoria storica milanese tramano gli adepti della nuova rivoluzione antropologica: macchè politica, macchè cultura, brindiamo alla leadership della gastronomia.   

Io, lei, noi tutti. Se l'infelicità è lo scandalo della società del benessere, come sostare dentro l'insormontabile dualismo? Come rimanere predatori senza uccidere la preda? È possibile, cioè, sopravvivere e continuare ad amarsi? Sulla soglia di questa domanda Antonio Scurati abbandona Glauco Revelli e chiude con una dolce reverie della figlia Anita, ormai adulta, sullo sfondo della periferia milanese. Una voce fuori campo che parla dal fondo del tempo, è come se ripetesse "non sei il solo, non sei il primo, non sarai l'ultimo".

Antonio Scurati
Il padre infedele
Bompiani
pp. 194, 17 euro

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