I 9 paradossi del «Farm to Fork»

Il settore zootecnico europeo pronto a mettere a disposizione il suo know-how per un sistema produttivo realmente sostenibile; perché ad oggi le difficoltà contro cui le aziende zootecniche si trovano a combattere sono enormi

Si chiama "Farm to fork", dalla fattoria alla forchetta, ed è il piano strategico con cui l'Europa, nell'ambito del Green Deal, vuole cambiare in modo sostanziale gli indirizzi della sua politica agricola e alimentare. L'obiettivo del piano, che sarà votato a giugno dalle commissioni Agricoltura e Ambiente del Parlamento Europeo in sessione congiunta, è creare un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell'ambiente. Nel piano però, secondo gli operatori del settore zootecnico europeo, sono presenti alcuni paradossi, che evidenziano come sarà difficile mantenere in equilibrio la sostenibilità ambientale con la sostenibilità del settore alimentare.

Per questo motivo gli operatori della filiera zootecnica del continente hanno presentato un appello in video, intitolato appunto "I 9 paradossi del Farm to Fork", destinato alle istituzioni europee che stanno lavorando alla definizione del piano. Nonostante le buone intenzioni, spiegano gli operatori, la strategia Farm to Fork non considera la situazione attuale e le sfide del settore zootecnico. Il video è nato da un'iniziativa di Carni Sostenibili - l'organizzazione italiana che riunisce le associazioni che rappresentano i produttori di carni e salumi – e European Livestock Voice – l'organizzazione che riunisce gli organismi europei della filiera zootecnica – ed è stato lanciato contemporaneamente in 7 Paesi europei: Belgio, Italia, Francia, Spagna, Germania, Portogallo e Polonia.


I 9 paradossi del Farm to Fork (video integrale)www.youtube.com


Tra i nove paradossi evidenziati dai produttori il primo riguarda la nutrizione: la Commissione Ue spinge per il passaggio a una dieta con meno consumo di carne, ma le proteine animali dal punto di vista nutrizionale sono le più efficienti. La carne contribuisce inoltre al benessere dell'individuo: consumare proteine animali ha favorito dalla preistoria in poi lo sviluppo del cervello umano. C'è poi il tema del consumo del suolo; secondo i produttori gli allevamenti non sottraggono terreno alle colture e gli animali non sottraggono cibo all'uomo, ma al contrario trasformano i residui delle colture non commestibili dall'uomo in proteine ad alto valore biologico. Il terzo paradosso riguarda l'ambiente: la Commissione indica di ridurre i consumi di carne per ridurre l'impatto ambientale, ma In Europa l'allevamento è responsabile solo del 7,2% delle emissioni di gas serra, le sole auto inquinano più degli allevamenti. Guardando all'economia, i produttori sottolineano un'altra incongruenza: il progressivo ridimensionamento del settore zootecnico europeo potrebbe costringerci a importare carne da altri Paesi, mettendo a rischio intere filiere. Se poi parliamo di benessere animale, la legislazione europea, spiegano i produttori, è tra le più avanzate al mondo. Il sesto paradosso riguarda i fertilizzanti: meno allevamenti significa meno disponibilità di fertilizzanti organici, quindi un maggiore ricorso alle sostanze chimiche. C'è poi da considerare l'aspetto occupazionale: ogni allevamento impiega infatti una media di 7 persone. L'ottavo paradosso è di ordine culturale: le strategie che penalizzano l'allevamento, spiegano i produttori, spianerebbero la strada alla globalizzazione dei cibi surrogati e ultra-trasformati, senza identità territoriale, culturale e di origine. Infine, la sicurezza alimentare: la riduzione della produzione europea di carni avrà come conseguenza l'aumento dei prezzi alimentari e la riduzione di cibo disponibile penalizzerà 22 milioni di persone.

"Tra i paradossi più evidenti c'è il fatto che si chiede una riduzione degli input, e non si tiene conto che si riducono in questo modo anche gli output", spiega a Panorama.it il professor Giuseppe Pulina, presidente di Carni Sostenibili. "Se riduco l'uso di fertilizzanti per andare verso un'agricoltura bio e riduco il numero degli animali la coperta è corta: non c'è uno scenario su come si possano sostituire questi prodotti. Per 30 anni abbiamo pagato le tasse perché gli agricoltori riconvertissero a pascoli i terreni, su indicazione dell'Europa che chiedeva l'uso di ampie superfici da destinare a foraggio e ora le stesse autorità europee fanno marcia indietro?". Per Pulina "un altro paradosso rilevante è quello della sicurezza alimentare a livello planetario. L'Europa è uno dei maggiori produttori di cibo del mondo: se riduciamo la nostra produzione creiamo un disequilibrio in tutto il pianeta. Con questa politica 22 milioni di persone rischiano di ridursi alla fame: se l'Europa riduce la produzione destabilizza l'intero sistema globale. Questo è appunto un paradosso su cui invitiamo la Commissione europea a riflettere".

L'Italia, aggiunge Pulina, "è campione mondiale di sostenibilità. Il nostro settore agroalimentare, tutto, non solo la zootecnia, è specializzato nel produrre di più inquinando di meno. Inoltre noi italiani abbiamo il paniere di alimenti più ricco a livello globale: nel nostro Paese c'è una biodiversità alimentare unica al mondo. E la tecnologia, al contrario di quanto credono in molti, non è qualcosa che ha necessariamente un impatto negativo: se si utilizzano tecnologie dolci, come quelle digitali che ormai sono una realtà per molti allevatori italiani, l'effetto è positivo. La zootecnia si fa in campagna, non nelle zone industriali: è un'attività che ha un impatto sull'ambiente ma si svolge in un luogo deputato ad assorbire questi impatti". Per questo Pulina rivolge "un appello alle istituzioni europee: se danno indicazioni così forti di riduzione degli asset siano consapevoli delle conseguenze. Se l'Europa invece ci chiede di migliorare i processi di sostenibilità delle filiere sostenendo la transizione ecologica siamo d'accordo. Le aziende che inquinano di più sono anche le meno efficienti, quelle che vengono mandate via dal mercato rapidamente se le regole del gioco sono uguali per tutti".

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