Agrama, Berlusconi e un dubbio

Le motivazioni della Cassazione per la condanna definitiva di Silvio Berlusconi nel processo per i diritti tv Mediaset  hanno acceso l’ultima polemica in punta di diritto. Ma più che il diritto, è la logica a difettare, in molte delle tante pagine della sentenza, irritualmente firmata da tutti e cinque i giudici sella sezione feriale della Suprema corte.

L’occhio (con la logica) cade proprio su quello che pare il cuore della condanna: il punto che riguarda i rapporti tra Mediaset e Frank Agrama, l’imprenditore che era riuscito a trasformarsi in tramite obbligatorio per la compravendita di film prodotti dalle major statunitensi. I giudici scrivono che Agrama era «socio di fatto» di Mediaset, quindi di Berlusconi. Ma dagli atti risulta che Agrama pagasse sistematicamente i dirigenti del settore acquisto diritti di Mediaset. Una domanda sorge spontanea: se Berlusconi fosse davvero stato il socio occulto di Agrama, perché mai avrebbe dovuto consentire che questi pagasse i dirigenti della sua azienda, visto che sarebbe stato sufficiente ordinare loro di acquistare i diritti proprio da Agrama?

La logica pare indicare che la strada fosse diversa: Agrama pagava alcuni dipendenti infedeli del gruppo Mediaset proprio per indurli ad acquistare i film da lui, a un prezzo maggiorato. Ma evidentemente una cosa è la logica. Un’altra (in certi casi) la giustizia della cassazione.

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