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(Getty Images)
Calcio

Il caso Acerbi e quanto costa sbagliare le parole

In attesa di capire dall'inchiesta della procura federale quale versione dei fatti di San Siro sia corretta, se quella accusatoria di Juan Jesus o quella difensiva di Francesco Acerbi, il dibattito sul presunto insulto razzista rivolto dal difensore dell'Inter al collega del Napoli si è allargato alla gestione comunicativa dell'evento. Quanto può costare in termini di immagine (e ricadute concrete) una gestione non adeguata di una crisi?

La domanda è sorta spontanea osservando Acerbi nella camminata circondato di giornalisti sugli scaloni della stazione Centrale di Milano, una volta lasciato il ritiro della nazionale a Roma. Avrebbe fatto meglio a rispettare la consegna del silenzio o, al limite, a sposare la versione sdoganata da Juan Jesus nel ventre di San Siro: è successo, si è scusato, per me è chiusa. Non è successo e le sue parole hanno riaperto il caso mettendolo alla gogna.

Posto che è diritto di chiunque affermare la propria innocenza, la sensazione è che sia mancata una strategia complessiva di gestione di una situazione estremamente critica. Già il trovarsi da solo, in un ambiente abituato a filtrare tutto con addetti stampa e specialisti nella comunicazione, è parso paradossale. Acerbi era l'uomo sulle prime pagine dei giornali e sulla bocca di mezza Italia (colpevole o innocente?) eppure in quei mille passi prima di rifugiarsi nell'auto di una conoscente era solo.

Solo in tutta evidenza anche nello strutturare la strategia comunicativa. Comunque vada a finire questa vicenda, è ragionevole pensare che con le parole dette a Milano di ritorno da Roma l'uomo Acerbi si sia creato un danno. Per capirci, ha obbligato la controparte a reiterare e circostanziare le accuse, riaprendo un caso che aveva definito chiuso solo poche ore prima, e si è messo davanti a un bivio: o dimostra di essere dalla parte della ragione, oppure finisce per essere colui che con la sua versione ha messo in imbarazzo il club (Inter), il commissario tecnico (Spalletti) e la Federcalcio.

Al netto delle questioni disciplinari e legali, della squalifica e della sua lunghezza - sempre che non dimostri la propria innocenza - non sono in molti oggi quelli disposti a pensare a un suo ritorno in maglia azzurra. Tanto meno all'Europeo che incombe e nel quale Spalletti ha detto chiaramente di volere un gruppo libero da altri pensieri e lineare nei comportamenti. E anche il futuro con la sua società, obbligata oggi a sostenerlo fino a prova contraria, potrebbe avere uno sviluppo differente rispetto a quanto preventivato nelle scorse settimane, quando sul tavolo c'era l'ipotesi di un prolungamento di contratto oltre la scadenza del 2025.

La domanda resta: quanto può costare in termini di immagine e non solo la pessima gestione comunicativa di un momento di crisi?

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