8 marzo
(Ansa)
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Che l'8 marzo sia una Festa della Donna «universale», in Iran, in Afghanistan...

8 marzo, si festeggia “la donna”.

Ma ha ancora senso? Non è forse una festa dal sapore retorico ed evocativo di una situazione non più attuale?

Per rispondere a siffatto quesito, facciamo un passo indietro di oltre un secolo.

La prima Giornata Nazionale della donna venne celebrata negli Stati Uniti il 28 febbraio 1909, su impulso del Partito Socialista Americano, che scelse questa data per sostenere lo sciopero attuato dalle dipendenti delle camicerie newyorkesi che rivendicavano migliori condizioni di lavoro.

L'anno seguente la ricorrenza venne introdotta anche in Europa su iniziativa dell'Internazionale Socialista, che, durante lo svolgimento del congresso di Copenaghen, decise di indire la Giornata della donna per sostenere la campagna in favore del suffragio universale.

In Italia questa ricorrenza arrivò qualche anno dopo, nel 1922, ma soltanto nel 1946, su proposta delle prime deputate donne al Parlamento, Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei, venne individuata la mimosa come suo simbolo ufficiale.

Perché la mimosa? Perché è un fiore precoce che sboccia agli inizi di marzo, con i primi tepori di una primavera che invade il campo ad un inverno agli sgoccioli e perché, per l’epoca, costava relativamente poco, diventando accessibile a tutti in un’Italia poverissima devastata dalla guerra.

Nei primi del 1900, quando nacque la festa della donna, il suffragio universale era un oggetto sconosciuto in società maschilistiche dove, in casa, nei luoghi di lavoro e in politica, solo gli uomini avevano pieno potere.

Le donne erano macchine per far figli da prestare alle guerre, destinate per genere ad ubbidire ai mariti, dividersi fra casa e lavoro, essere sfruttate e sottopagate.

È passato poco più di un secolo ma sembra un’era geologica.

Oggi in Italia abbiamo come Presidente del Consiglio una giovane donna di poco più di quarant’anni, madre di una figlia, non sposata. E anche il segretario del primo partito d’opposizione, erede di quella forza politica che istituì la festa della donna, è una giovane donna, che quarant’anni non ne ha ancora compiuti, dichiaratamente omosessuale.

Sullo scranno più alto del supremo organo giurisdizionale italiano, la Corte di Cassazione, siede una donna.

In Europa, o nei maggiori stati occidentali d’oltreoceano, le cose funzionano così già da moltissimi anni così come l’India, la Turchia, la Tunisia, il Senegal e il Mali che hanno già avuto un presidente donna.

Ma il genere femminile non ha fatto cronaca solo per ottenere posizioni di potere visto che c’è una parte di mondo dove la donna è ancora un oggetto, vittima di discriminazioni ancora più gravi che agli inizi del secolo breve.

Parliamo delle donne trucidate in Iran perché avevano indossato il velo lasciando scoperto un ciuffo sbarazzino.

Di decine e decine di ragazze, ma anche bambine, avvelenate a scuola o nelle università iraniane, un po’ per ritorsione verso le proteste che hanno scosso il paese, un po’ per disincentivarne il diritto allo studio e relegarle ai margini della società.

Parliamo di Paesi, come l’Afghanistan, dove le donne hanno forse gli stessi diritti degli animali, ossia nessuno, di Paesi dove la donna non può votare o essere eletta ma nemmeno guidare, studiare, uscire di casa da sola.

Stati africani in cui vengono rapite bambine e usate come spose, incubatrici o sollazzo per i soldati, di donne stuprate o trucidate in Ucraina a suggello di una conquista territoriale.

Quindi sì, ha ancora un senso celebrare la festa della donna.

Perché se in una parte patinata di mondo si è finalmente giunti alla parità di genere, in metà del globo la donna vive una condizione di sottomissione e di pericolo costante, punita ogni qual volta tenti di rivendicare anche solo il diritto a essere trattata in modo dignitoso.

Ha senso oggi più che mai perché una conquista non è tale se non è universale.

Finché rimarrà anche solo una donna al mondo cui viene negato il diritto allo studio, a sposare l’uomo che sceglie, il diritto di decidere se sposarsi o meno, se avere figli o meno, se studiare o meno, se votare o meno, il diritto di guadagnare per quanto vale, ad esprimere il proprio pensiero, fino ad allora questa festa va celebrata con rinnovato vigore.

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