Il 2023 di Elly Schlein, che non abbiamo visto arrivare

Un anno trasparente, quello di Elly Schlein. “Non ci hanno visti arrivare”, disse il 27 febbraio quando i gazebo delle primarie la incoronarono segretaria del Pd, contro il grande favorito Bonaccini. Sicuramente un’elezione storica, carica di aspettative e di speranza. Ma per il resto?

In effetti, no: dieci mesi dopo, nessuno l’ha vista arrivare. Non sono arrivate le proposte, non sono arrivate le idee, non è arrivata la linea al partito, non è arrivato il carisma, non è arrivata l’autorevolezza che il Pd cercava. E non sono arrivati i consensi, visto che il partito targato Schlein continua a stagnare intorno al 19% nei sondaggi, senza aver acquisito un solo voto in più.

Non l’abbiamo vista arrivare, Schlein. Semmai è arrivato al suo posto un profluvio di frasi pre-incartate, prefabbricate, come i regali di Natali riciclati. Perifrasi lunghe come tangenziali, supercazzole contorte come nei film di Tognazzi, che nel 2023 hanno riempito i talk show e i programmi di satira ma non le urne, come dimostrano le prove fallite nelle elezioni territoriali.

Insomma, tolte le scene mute, nel programma schleiniano sono rimasti solo gli scioglilingua incomprensibili. Il carico ideologico sugli “schwa”, una manciata di asterischi e di frasi fatte sul patriarcato e sul futuro sostenibile. Ma nulla di chiaro su temi cruciali, come ad esempio il Mes, il ruolo italiano in Ucraina, il posizionamento tra Israele e Palestina, le politiche fiscali, financo i nodi etici come la maternità surrogata sono per lei un terreno minato che evita di calpestare. Ma si capisce: non le è possibile prendere posizione, visto che il partito è sull’orlo del collasso, con l’ala riformista pronta ad arruolarsi con Renzi e Calenda, o magari ad andare per suo conto. Per non parlare della guerriglia permanente portata avanti dal governatore campano De Luca, che dopo il successo alle provinciali ambisce seriamente alla scalata alla segreteria.

Anche se la vera spina nel fianco nel 2023 di Schlein, si chiama Giuseppe Conte. A sinistra della sinistra, il leader pentastellato spadroneggia, e succhia consensi al Nazareno. Da mesi ormai Conte picchia con la grancassa sui temi sensibili che nuocciono agli schleiniani, ed ingrana la sesta su populismo spinto, diritti sociali, sovranismo assistenzialista, antiamericanismo e antieuropeismo. Più Elly Schlein immagina un’alleanza, un immaginifico campo largo, più Conte si diverte a dinamitarlo, trasformandolo nel campo santo del Pd.

Insomma, l’anno di Schlein è stato quello di un vaso di coccio tra vasi di ferro (o perlomeno di bronzo). Il risultato è che nel (ben poco interessante) dibattito sul futuro “federatore” del centrosinistra, la segretaria è considerata alla stregua di comprimaria. Conte aspira a diventare il leader della compagine: mentre Schlein la sua autorevolezza dovrà guadagnarsela voto per voto alle Europee. Un appuntamento disseminato di trappole, che i suoi nemici aspettano fregandosi le mani. Il 2024 per Schlein sarà maledettamente in salita, l’anno del verdetto finale: o la segretaria troverà il coraggio di sorprendere tutti, inventandosi un modo per salvare l’unità del partito, oppure verrà decretata inevitabilmente la fine della sua parabola alla guida del Pd. Da giovane promessa, a meteora della politica italiana, in una manciata di mesi?

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