Guantanamo 11 settembre
Alex Wong/Getty Images - agosto 2018
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9/11, che fine hanno fatto gli attentatori?

Tutto da rifare. Il processo per i cinque attentatori dell'11 settembre alle Torri Gemelle di New York potrebbe ripartire da zero. Il giudice titolare del processo a loro carico, infatti, ha annunciato le dimissioni e sarà sostituito a fine settembre. Ma che ne è intanto dei terroristi ritenuti responsabili del più grave attacco agli Stati Uniti? I cosiddetti "9/11 five" si trovano in una cella a Guantanamo, il centro di detenzione noto per le torture che vi sarebbero state compiute all'interno. Avrebbe dovuto essere smantellato già durante il primo mandato dall'ex presidente Usa, Barack Obama, ma è ancora attivo. I cospiratori vi sono rinchiusi dal 2008.  

Chi sono gli attentatori

Dietro le sbarre e il filo spinato di Guantanamo, la base Usa nell'estremo sud est di Cuba, ci sarebbero circa 40 detenuti (ma secondo alcuni media anche 90). Tra loro anche i cosiddetti "9/11 five", ovvero i cinque uomini accusati di aver pianificato l'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001. Ma chi sono?

Khalid Sheikh Mohammed, 52 anni, nato in Pakistan e cresciuto in Kuwait, prima di trasferirsi negli Stati Uniti per studiare, si autoaccusato pubblicamente di essere stato il principale ideatore dell'attacco terroristico. E' anche sospettato di altri reati, tra i quali la decapitazione del reporter americano Daniel Pearl nel 2002. Chiamato con le iniziali semplicemente KSM, l'uomo si trova a Guantanamo dal 2006: prima era stato catturato in Pakistan e sottoposto a waterboarding, una delle pratiche più diffuse per estorcere confessioni dai prigionieri.

Un altro componente della cellula responsabile degli attentati dell'11 settembre è Ramzi Bin al-shibh, 45 anni, cittadino dello Yemen. Secondo quanto ricostruito dalle inchieste, affittò un appartamento ad Amburgo, in Germania, insieme a Mohammed Atta, ritenuto il presunto capo della cellula che organizzò l'attacco a New York. Prima di entrare in azione, tentò inutilmente quattro volte di ottenere un visto Usa per diventate uno dei dirottatori. Anche lui venne catturato in Pakistan, nel settembre del 2002. E' considerato l'anello di congiunzione tra i dirottatori negli Usa e i referenti di Al Qaeda in Afghanistan e Pakistan, che avrebbe agito da collegamento negli otto mesi prima degli attacchi.

A far parte dei "9/11 five" è anche Ali Abd al-Aziz Ali, 40 anni, pachistano, cresciuto in Kuwait, nipote di Khalid Sheikh Mohammed e cugino dell'autore dell'attentato del World Trade Center del 1993, Ramzi Youssef. A lui, noto anche con il nome di Ammar al-Baluchi, sarebbero stati affidati l'organizzazione logistica e il trasferimento di denaro negli Stati Uniti, per permettere l'ingresso in territorio americano dei dirottatori. La sua cattura, ancora una volta, è avvenuta in Pakistan, nel 2003.

Il quarto membro della cellula è Walid bin Attash, circa 40 anni, figlio di yemeniti, ma cresciuto in Arabia Saudita, è conosciuto anche semplicemente come Khallad. Secondo le accuse sarebbe stato lui a formare i dirottatori in un campo di Al Qaeda. E' anche accusato di aver coordinato l'attentato del 2000 sul cacciatorpediniere USS Cole, che costò la vita a 17 soldati Usa in Yemen. Venne catturato nell'aprile del 2003 insieme ad Ali in Pakistan.

Infine, Mustapha al-Hawsawi, 49 anni, cittadino saudita, è ritenuto il tesoriere del gruppo soprattutto nel primo anno di vita della cellula. Sarebbe stato molto vicino a Osama bin Laden e si sarebbe occupato della raccolta dei fondi per gli attentati dell'11 settembre. La sua cattura risale al 2003 in Pakistan durante in raid aereo delle forze speciali Usa in una villa, dove fu scoperto anche Khalid Sheikh Mohammed.

Il processo

Dopo la cattura e il trasferimento a Guantanamo, gli imputati sono stati accusati della pianificazione, organizzazione e messa in atto degli attentati del 2001, compresa la formazione dei dirottatori (19 in tutto). A loro carico c''è l'accusa di aver ucciso quasi 3.000 persone, per questo rischiano la pena di morte. Ma il processo rischia di ripartire da zero, per l'annuncio del ritiro del giudice James Pohl, un togato di lungo corso, militare col grado di colonnello dell'Esercito. "Il 30 settembre, quando scadrà il termine del richiamo volontario del Colonnello Pohl, lui ha deciso di non richiedere un ulteriore periodo di richiamo volontario": così uno dei portavoce del Pentagono, il tenente colonnello Chris Logan, ha annunciato all'AFP l'avvicendamento con il colonnello della Marina, Keith Parrella.

Secondo quanto riporta il Miami Herald, il primo che ha annunciato l'uscita di scena di Pohl, il suo successore ha solo tre anni di esperienza come giudice militare. Ora dovrà studiarsi un fascicolo a dir poco voluminoso, costituito da anni di richieste e migliaia di pagine di trascrizioni, testimonianze e documenti, per venire a capo di un caso molto complicato e delicato. Il tutto in un momento in cui alcuni dei detenuti potrebbero lasciare la prigione in territorio cubano.

Il futuro di Guantanamo e dei suoi detenuti

Lo scorso maggio è stato annunciato il primo trasferimento di un prigioniero dall'insediamento di Donald Trump alla Presidenza Usa. si tratta di Ahmed Muhammed Haza al-Darbi, dunque non uno dei 5 attentatori di New York, che è stato affidato alla custodia dell'Arabia Saudita. L'obiettivo delle ricollocazioni, già decise da Obama che però non era riuscito a chiudere la base, è quello di sfoltire la popolazione carceraria nella base navale statunitense.

Il trasferimento, rimasto per ora isolato, va però in controtendenza rispetto alla volontà dichiarata dal capo della Casa Bianca di ripopolare il centro di detenzione.

Proprio l'inversione di rotta di Trump rende incerto il futuro degli attentatori del 2001. Nonostante le proteste delle associazioni di difesa dei diritti umani, che invocano processi giusti, equi e rapidi per tutti i detenuti, i prigionieri rischiano di rimanere a lungo con indosso la nota tuta arancione dei confinati a Guantanamo.

L'autoaccusa di Khalid Sheikh Mohammed

A febbraio del 2017 negli Usa è stata resa parzialmente nota una lettera, firmata Khalid Sheikh Mohammed, nella quale colui che è ritenuto la mente degli attacchi alle Twin Towers si autoaccusa e spiega i motivi dell'attentato. Secondo la missiva, datata 2015 ma che le autorità carcerarie di Guantanamo si erano rifiutate di rendere pubblica, il governo di Washington avrebbe "ucciso persone innocenti in tutto il mondo", rendendosi dunque responsabile della reazione tramite l'attacco dell'11 settembre.

Secondo lo jihadista "non abbiamo iniziato la guerra contro di voi (...) lo avete fatto voi stessi ed i vostri dittatori nel nostro Paese". Khalid Sheik Mohammed scriveva di non essere preoccupato della pena di morte e affermava che non potrà mai "chiedere la grazia". "Sono felice di essere da solo in cella per pregare Allah per il resto della vita e pentirsi di tutti i peccati. Se i vostri giudici mi condanneranno a morte, con maggiore gioia incontrerò Allah ed i profeti, rivedrò i miei amici che ingiustamente avete ucciso in tutto il mondo e rivedrò lo sceicco Osama bin Laden".

Quanti prigionieri ancora?

Le forze militari americani hanno fatto sapere che con il trasferimento di al Darbi i detenuti ancora presenti a Guantanamo sono 40. Un numero decisamente inferiore ai 558 nomi contenuti in una lista pubblicata dallo United States Department of Defence (Dod) nell'aprile del 2006. Un elenco ritenuto però sempre incompleto e approssimativo, senza la possibilità di effettuare verifiche da parte della stampa Usa. Di tutti erano indicati nome, cognome e paese d'origine. In alcuni casi, col passare del tempo, si è aggiunta l'indicazione di rimpatrio nello Stato d'origine. Per alcuni, invece, secondo un'inchiesta del Miami Herald del 2013 che si è appellata al Freedom of Information Act, c'è uno status di indefinite detainment, detenzione senza termine.

Trasferimenti, anche in Italia

A gennaio del 2017 è stato invece il governo Federale ad annunciare che oltre 10 persone avevano abbandonato il centro di Guantanamo per raggiungere l'Oman: si tratta di afgani, sauditi, yemeniti, pakistani e algerini.

Tra coloro che sono stati trasferiti negli anni, secondo il New York Times, c'è anche l'Italia: nel nostro Paese, ad esempio, risultano giunti nel 2009 Adel Ben Mabrouk e Mohamed Ben Riad Nasri, entrambi tunisini e sospettati di essere membri di Al Qaeda nel Maghreb, accusati di aver reclutato combattenti terroristi in Afghanistan.

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