Allegorie

Ci sono paesi dal destino imperiale e paesi che invece no. L’Italia, che pure ne ha ospitato uno a suo tempo (ma Roma si erse contro i popoli italici, non alla loro testa, e suscitò semmai contro di sé la …Leggi tutto

Ci sono paesi dal destino imperiale e paesi che invece no. L’Italia, che pure ne ha ospitato uno a suo tempo (ma Roma si erse contro i popoli italici, non alla loro testa, e suscitò semmai contro di sé la primissima coscienza nazionale), è un paese assolutamente lontano da qualsiasi idea di Impero.

Quello che abbiamo di imperiale, perciò, nelle nostre città e nella nostra storia, ci è venuto dal di fuori. Il che non significa che tutto sia stato costruito e ideato dagli Imperi che si sono succeduti nella nostra penisola; ci sono cose e parti d’Italia, più frequentemente, che sono state riempite di significato in determinati periodi storici e che poi, ritiratisi gli imperi, si sono ritrovate svuotate o prive di senso. Si potrebbe fare questo discorso, in grande, per le città di Napoli e Milano, che per certi versi avevano trovato la propria collocazione ottima nell’Impero universale di Carlo V (e continuatori), e che invece in un piccolo stato policentrico come il nostro risultano in un certo senso eccessive e deformi; ma esulerebbe dai temi di questo blog, e in più è un ragionamento troppo grande per la mia penna e la mia testa, perciò mi guardo bene dall’addentrarmici.

Prendiamo invece Ravenna, città in cui è particolarmente evidente la cesura, e direi quasi il delta, tra passato imperiale e importanza odierna. Ravenna, che pure fu un centro economico e soprattutto militare di primaria importanza, è conosciuta oggi soprattutto per i suoi tesori d’arte. Ma perché? Perché è in essi che sopravvive, o perlomeno si manifesta, l’eredità imperiale. La Basilica di San Vitale, ad esempio (consacrata, pare, il 17 maggio del 547: auguri), avevano iniziato a costruirla sotto Teodorico, ma è con la riconquista bizantina della città che assume senso. E d’altronde immaginare tutto quell’oro come ostentazione di un re barbarico (sia pure, per molti aspetti, italianizzato, sorta di Droctfult prima di Droctfult), farebbe pensare solo a una pacchianeria fuori posto, inaccettabile per un italiano ad occhi italiani; mentre la maestà di Bisanzio, dell’impero immobile e sacrale durato mille anni, è tale da nobilitare anche il metallo più nobile. Cosicché l’eternità dell’oro, l’eternità di Bisanzio, l’eternità dell’idea imperiale e della fede cattolica si fondono inestricabilmente, e rendono di fatto eterni anche la città di Ravenna e i suoi mosaici.

Mi è capitato molto di rado di trovarmi a Ravenna, e comunque sempre per qualche ora e con degli impegni ben precisi, sicché, ad essere onesti, non ho mai visitato i monumenti della città, che conosco solo attraverso fotografie e video. Mi ricordo però che una volta, mentre tornavo verso la stazione (avevo partecipato a un concorso) e avevo un occhio che non smetteva di lacrimarmi, per motivi che non ricordo, incontrai sulla mia strada un africano che indossava l’inconfondibile maglietta lilla del Legnano calcio; adesso, se fossi un appassionato di allegorie e parallelismi forzati, direi che ha un qualche significato incontrare nella città italiana più legata all’impero d’Oriente una chiara testimonianza del luogo in cui l’Italia batté ed espulse l’Impero d’Occidente, ma sarebbe francamente troppo. La cosa più probabile è invece che agli africani piacciono i colori allegri.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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