Alla Scala, un Wagner... poco Wagner
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Musica

Alla Scala, un Wagner... poco Wagner

Dal 16 marzo sono in scena "I maestri cantori di Norimberga", l'unica commedia del musicista tedesco

Sì, val la pena. Val la pena organizzarsi, incastrare appuntamenti, correre forse un po’ per arrivare alle 18 alla Scala, in tempo per assistere a I maestri cantori di Norimberga, in scena dal 16 marzo al 5 aprile.

I motivi sono molteplici. Il primo, Richard Wagner è Richard Wagner, un monumento per chi ami la musica; e sentirlo dal vivo è sempre un’altra cosa. Il secondo: l’opera manca nel cartellone del teatro milanese da 27 anni, un’assenza troppo lunga. Il terzo: è un Wagner diverso da tutti gli altri Wagner, è l’unica commedia scritta dal musicista, presa e lasciata innumerevoli volte, e infine pronta ad essere rappresentata nel 1868, a Monaco di Baviera.

Leggenda vuole (narrata dallo stesso Wagner nella sua autobiografia) che “l’illuminazione” di abbandonare il musikdrama a favore di un titolo “leggero”, divertente gli venne a Venezia, ammirando l’Assunzione della Vergine di Tiziano.

Preso da energia vitale, Wagner scopre il suo lato solare, abbandona l’abituale dualismo Eros e Thanatos e si immerge in una storia divertente, addirittura corredandola di lieto fine. C’è l’amore, c’è la rivalità maschile, e soprattutto c’è una profonda riflessione sul senso delle regole.

Con la scusa di narrare una gara canora, con rivalità, virtuosismi e prese in giro da parte dei partecipanti (i cantori di cui sopra), Wagner mette infatti sotto i riflettori il motivo per il quale una società civile deve darsi regole e convenzioni. Qui lo spirito tedesco dà il meglio di sé, liberandosi di rigidità dogmatiche a favore di un pensiero liberale.

Musicalmente I maestri cantori di Norimberga sono una cattedrale di note, non solo per la durata (più di cinque ore, intervalli compresi) ma perché il genio compositivo di Wagner esplora nuovi territori.

L’opera è divertente e profondamente umana; alla Scala sarà diretta da Daniela Gatti per la regia di Harry Kupfer.  

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Stefania Berbenni