Abracadabra, scene da un pandemonio – La recensione
Un marito grezzo e brutale, una moglie pazientemente innamorata. In mezzo un ipnotizzatore e un fantasma. La commedia di Pablo Berger
Se è commedia, è nera, anzi nerissima. Forse neppure commedia. Abracadabra (in sala dal 17 maggio, durata 97’) si piazza a metà strada tra Álex de la Iglesia e Brian De Palma, però con tentazioni di horror soprannaturale e grottesco ruzzolanti verso il Grand Guignol. In questa dimensione, comunque personalissima nonostante i molti referenti, si muove Pablo Berger, basco di Bilbao che si riaffaccia quattro anni dopo l’exploit di Blancanieves friggendo una storia circolare capace di passare attraverso cinque fasi narrative prima di chiudersi con una metaforica sbattuta di porta.
In fondo sono scene da un matrimonio tendente al pandemonio quelle che si consumano tra Carlos (Antonio de la Torre), marito grezzo, brutale e malato di divano e calcio in tv e Carmen (Maribel Verdú), moglie pazientemente innamorata che incomincia ad avere le scatole piene d’un uomo che ha pure smesso di guardarla.
E lo spirito assassino entrò nel corpo di Carlos
C’è la svolta quando lo spirito assassino di un certo Tito (Quim Gutiérrez) – apparentemente gentile e mansueto dunque tutto il contrario del suo ospite - entra nel corpo di Carlos dopo una paranoica seduta d’ipnosi condotta dallo sfigato maghetto Pepe (José Mota), a sua volta innamorato perso di Carmen e adepto del pittoresco santone dottor Fumetti (José Maria Pou): pare un disturbo dissociativo dell’identità invece si stramazza nell’occulto: con una possessione che di Carlos, in effetti, ne crea due, uno più pericoloso dell’altro. Tanto che forse Carmen potrebbe scegliere di sbarazzarsi d’entrambi.
Un paggio servizievole e un Tony Manero sanguinario
Attori luminosi danno vita alla coppia: lui, Antonio de la Torre, risolve efficacemente il problema delle diverse identità con una maschera molto dinamica, pencolando tra il “vero” Carlos e la reincarnazione dell’altro, a mezza strada tra un paggio servizievole emanante una serenità sinistra e una specie di Tony Manero sanguinario; lei, Maribel Verdú, icona del cinema spagnolo già fantastica protagonista di Y tu Mamá También di Alfonso Cuarón, recita una parte più semplice ma carica di una espressività travolgente e irrimediabilmente sexy.
Le musiche aderiscono al film come un guanto: c’è perfino Abracadabra della Steve Miller Band ma I Feel Love di Donna Summer e I’m Not in Love dei 10cc non scherzano. Che dire poi di El Baile De Los Pajaritos versione iberica del Ballo del Qua Qua?