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Criminalità e stranieri – In flagranza di reato

Criminalità e stranieri – In flagranza di reato

Le statistiche parlano al di là della propaganda ideologica: in proporzione, le persone che arrivano da altri Paesi commettono più crimini rispetto agli italiani. E i sociologi confermano questa tendenza a delinquere, causata da condizioni di clandestinità, svantaggio sociale, una marginalità da cui uscire non sembra possibile.


Maria, 21 anni, spinta a terra a Milano mentre tornava dal lavoro da un 29 enne egiziano che voleva strapparle la borsa. Provincia di Lodi, giovane nordafricano arrestato per stalking: aveva minacciato la vittima di sfregiarla con l’acido perché gli aveva detto «no». Ancora: Mahmoud Abdalla, giovane barbiere egiziano, ucciso da due connazionali perché voleva cambiare lavoro, a Sestri Ponente, nel Genovese. E poi a Rovereto, Trento, la morte di Iris Setti: la 61enne ex infermiera è stata aggredita e picchiata selvaggiamente da un senza fissa dimora nigeriano che finora era riuscito a evitare l’espulsione. Crimini ormai quotidiani che fanno apparire il caso di Innocent Oseghale – il nigeriano condannato per la violenza, l’assassinio e lo scempio del cadavere di Pamela Mastropietro – un cupo campanello d’allarme.

Questi episodi non sono eccezioni. Gli stranieri delinquono di più, come confermano i dati della popolazione carceraria, da cui emerge che solo loro rappresentano circa il 32 per cento del totale. Se si considera che tra regolari e non, i non italiani costituiscono circa il 10 per cento della popolazione, si evince che finiscono in carcere oltre tre volte più degli italiani. Poiché si tratta in buona parte di «irregolari» – cioè di persone in condizioni economiche svantaggiate, senza rete di sostegno, che usufruiscono di misure alternative al carcere meno degli italiani – è importante integrare questi numeri con quelli sulle denunce forniti dall’Istat, l’Istituto nazionale di statistica. Da cui emerge un quadro ancora più preoccupante. Gli immigrati vengono denunciati per gravi reati almeno quattro volte più degli italiani. Particolarmente significative le cifre su violenze e aggressioni sessuali che vedono gli stranieri rappresentare il 41 per cento dei denunciati.

Una tendenza confermata in altri Paesi europei di forte immigrazione come Svezia e Francia dove i reati sessuali commessi da immigrati sono rispettivamente il 59 e il 63 per cento del totale. Sui motivi per cui gli stranieri commettano in genere un maggior numero di reati rispetto alla popolazione locale, la comunità scientifica è sostanzialmente unanime. La responsabilità va individuata nelle loro condizioni di vita, spesso di deprivazione economica o marginalità. Una chiave interpretativa che trova il proprio riferimento teorico nella classica interpretazione marxista della criminalità, secondo cui è lo stato di povertà a portare alla delinquenza.

Ciò nonostante, tale spiegazione viene negata da vari commentatori di sinistra che considerano la relazione stranieri-criminalità un mito alimentato da chi parla di «invasione». Una sorta di spauracchio che anche nei dibattiti televisivi, politici e organizzazioni umanitarie cercano di smontare ricorrendo ad alcuni escamotage retorici. In primis il fatto che, nonostante negli ultimi vent’anni la popolazione immigrata sia aumentata passando dall’1,8 al 9 per cento della popolazione, il totale dei crimini è diminuito. Un fenomeno che il sociologo Marzio Barbagli, professore all’Università di Bologna e direttore scientifico di quattro edizioni del Rapporto sulla criminalità in Italia, ha indagato spiegando che si tratta di una «distorsione ottica» perché il calo dei reati, iniziato negli anni Novanta, è dovuto principalmente al minor numero degli italiani che li commettono.

Ma c’è una seconda contro-argomentazione, molto citata da chi sostiene che i migranti siano «sovrarappresentati» nelle statistiche. Poiché gli stranieri commetterebbero violenze soprattutto nei confronti di persone non conosciute, queste sarebbero più propensi e sporgere denuncia di quanto non facciano le vittime degli italiani, che spesso hanno una qualche forma di rapporto con l’aggressore. E quindi tenderebbero a denunciare meno. «Si tratta di mere ipotesi» commenta il sociologo Luigi Solivetti, docente all’Università La Sapienza di Roma e autore di vari saggi su immigrazione società e crimine. «I dati sul tipo di relazione tra aggressore e vittima, rilevati dalle forze dell’ordine, non sono infatti disponibili. Più volte ne ho fatto richiesta, ma senza avere risposta». Un curioso vuoto informativo che complica l’analisi del fenomeno anche se, in realtà, il sospetto è che i reati commessi dagli stranieri non siano «amplificati» bensì sottostimati. Poiché molti crimini, tra cui le stesse violenze sessuali, sono intra-etnici, spesso finiscono per non essere denunciati a causa delle condizioni di marginalità e irregolarità dei migranti che ne sono vittima.

In ogni caso, prosegue Solivetti, «se i dati confermassero il sospetto che gli immigrati aggrediscono soprattutto persone a loro estranee più di quanto non facciano gli italiani, ci troveremmo di fronte a un elemento da non sottovalutare perché indicativo di un’aggressività diversa, non certo meno grave rispetto a quella di esercita violenza contro familiari o conoscenti». L’ultima argomentazione portata da chi vuole ridimensionare la correlazione tra stranieri e reati, evoca gli Stati Uniti, Paese di immigrazione per eccellenza. Qui, tra i nuovi arrivati per lo più dal Sudamerica, il tasso di delinquenza è più basso rispetto a quello della popolazione locale. Una prerogativa interessante che aiuta ad uscire dall’idea che gli immigrati siano una «macro-categoria» indistinta da criminalizzare o assolvere a priori. All’origine del fenomeno vi sarebbero infatti fattori ambientali propri della società Usa, come la flessibilità del mercato del lavoro e l’alto livello di libertà economica. Aspetti favorevoli all’integrazione e che non si riscontrano nella realtà italiana. Un ruolo importante lo rivestirebbe inoltre la cultura dei sudamericani, caratterizzata da vincoli familiari stretti e da impegno religioso. Tutte specificità che abbassano la propensione al crimine.

Ancora. Tutti gli studi di criminologia concordano che i principali autori di reati sono maschi giovani nella fascia anagrafica 18-49 anni. Quella che coincide con buona parte dei migranti che sbarcano sulle nostre coste e, guarda caso, come i tre quarti degli imputati in Italia. Proprio i più giovani, insieme con gli immigrati di seconda generazione e ai minori non accompagnati, sono le categorie più esposte a problemi di identità e integrazione. Il 22 luglio scorso, per esempio, sette minori stranieri sono stati arrestati per l’aggressione di alcuni anziani fuori da un supermercato sempre a Milano. Anche qui i dati dell’Istat sono chiari. Nonostante i minori stranieri tra i 14 e i 17 anni rappresentino solo il 9 per cento del totale dei denunciati, sono responsabili del 65 per cento degli scippi, del 50 per cento dei furti, del 48 per cento delle violenze sessuali e del 40 per cento delle percosse. Una situazione che la presidente del Tribunale per i minorenni di Milano, Maria Carla Gatto, ha più volte definito ormai «fuori controllo». A questo punto, c’è da crederci.

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