Rendiamo la dignità a chi ci aiuta
(Ansa)
Politica

Rendiamo la dignità a chi ci aiuta

Ossia, i medici di famiglia. Che in Italia sono sempre meno. Colpa della continua e folle svalutazione di una professione fondamentale.


Cercasi disperatamente medici di base. Ne abbiamo già parlato ma ora ci tocca riparlarne perché l’emergenza è ormai evidente, a portata di mano e palpabile da chiunque. Ci limitiamo a quello che è successo nel Milanese e nel Lodigiano, ma potrebbe essere detto purtroppo per gran parte dell’Italia: su 296 posti vacanti di medici di famiglia le risposte sono state appena 25. Uno ogni 1.300 pazienti è il rapporto in base al quale viene calcolato il fabbisogno di dottori in un territorio. Invece 1.050 è il massimo degli assistiti che possono avere i medici di famiglia ancora in formazione. Mentre sale a 2 mila il numero massimo degli assistiti per quelli già formati.


Anche in questo caso le periferie rimangono le più scoperte. Non fa eccezione Milano ma è riscontrabile in molte altre città. Siamo al punto in cui l’ingresso dei laureati che tutt’ora stanno seguendo dei corsi è diventato un fenomeno normale per riequilibrare la situazione e per tappare i buchi esistenti. Niente in contrario, ma certamente è un campanello d’allarme importante.

In Italia il medico di medicina generale, di famiglia o il medico condotto - come si chiamava tanti anni or sono - è sempre stata una figura centrale molto più che in altri paesi. E questo deriva da una felice intuizione del legislatore italiano che ha da sempre capito come l’esigenza delle famiglie non fosse soltanto quella di disporre di strutture bensì di persone, in carne e ossa, capaci di accompagnarle durante tutta la vita per quanto riguardava la salute.


Sapete che cosa significa questa carenza di medici di famiglia? Inciderà negativamente e sempre di più sulla vita di una popolazione che invecchia e deve contare più che mai sull’assistenza. In attesa dell’intelligenza artificiale e di robot che sostituiscano l’umana figura, a oggi, e speriamo per sempre, per la medicina il paziente rimane centrale, perché il malato ha bisogno di una persona, non di una struttura, semplicemente perché è fatto di anima e di corpo, di mente, di anatomia, di fisiologia e patologia, tutte insieme. Il medico di famiglia ha sempre avuto un ruolo chiave perché, seguendo i componenti delle singole famiglie nel loro percorso sanitario, ne conosceva le caratteristiche, le debolezze e i punti di forza. E pur affidandosi, laddove necessario, allo specialista o all’ospedale, rimaneva lui il punto di riferimento principale.

Che errore smantellare la struttura dei medici di famiglia e della medicina cosiddetta territoriale per concentrare tutto negli ospedali, e pensare che il pronto soccorso potesse davvero sostituire queste figure. Un errore madornale. Un’insensatezza senza limiti, una misura priva di qualsiasi ragionevolezza e soprattutto di considerazione per l’umanità dei pazienti. Non occorreva certo il Covid-19 per dimostrare l’assurdità di queste scelte e non occorreva neanche leggere le disposizioni date ai medici di base («Tachipirina e vigile attesa) per capire lo sbandamento totale a proposito della concezione relativa a questa figura professionale.

Certo, in questo caos generale, a proposito dei ruoli e delle funzioni che dovrebbe ricoprire e svolgere un medico di famiglia, non c’è da meravigliarsi se di fronte a un bando con l’offerta di un posto di lavoro sicuro in molti si rifiutano di farlo. Difficile accettare un lavoro senza sapere esattamente cosa si deve fare, quali sono gli strumenti che si hanno a disposizione, soprattutto di fronte a un’evidente, continua e perseverante svalutazione di questa figura professionale a favore degli ospedali.

Ma cosa deve accadere perché questi cervelloni che si occupano di sanità arrivino a comprendere che le fondamenta sulle quali si costruisce la «casa della Sanità» sono rappresentate dalla medicina territoriale? Si potrebbe capire se storicamente in Italia tale medicina avesse funzionato male o fosse stata sgradita da parte dei cittadini e dei pazienti. Ma poiché la storia ha dimostrato sempre il contrario, è proprio una cretinata non tenerne conto e agire di conseguenza. Occorre dare dignità a questo ruolo configurando con esattezza le sue funzioni. E non c’è dubbio che una volta recuperata tale dignità, i concorsi non andranno più deserti.

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Paolo Del Debbio