Per risalire il «piano» inclinato
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Politica

Per risalire il «piano» inclinato

È stata la rigidità dell’Europa a produrre i meccanismi del Pnrr. I ritardi dell’Italia sulla sua attuazione partono da questa mancanza di elasticità. E la vera sfida ora è far ragionare Bruxelles.

Lo sanno tutti, se uno nasce tondo non muore quadrato, e così è per il Pnrr: è nato male, è cresciuto peggio e ora si prova, come quegli alberi che crescono storti, a raddrizzarli quando è troppo tardi. Ma anche qui il pesce puzza dalla testa, infatti è stata l’Europa a sbagliare profondamente la filosofia e le regole di questo Piano. Fare un piano di politica economica è una questione molto seria. L’Europa da questo punto di vista ha compiuto molti errori dei quali noi ora paghiamo il conto. Un piano di politica economica richiede primariamente la conoscenza delle risorse necessarie e da dove queste risorse verranno prese. In Italia, se tutto va bene, su oltre 200 miliardi ne arriveranno solo una quarantina a fondo perduto che comunque poi l’Unione europea dovrà ricavare nel proprio bilancio, quindi sono probabili: sugar tax, plastic tax e altre «balle tax». Poi i soldi a debito andranno restituiti e vedremo quanto ci costeranno.

Secondariamente l’Europa (in realtà ha fatto un grande favore alla Germania e un po’ alla Francia) ha scritto un piano di politica economica per la ripresa uguale per tutti i Paesi europei. L’ho già sottolineato altre volte ma questo è un punto chiave. Volendo essere precisi i burotauri europei, alla fine, in alcuni casi, sono stati così vaghi che leggere l’elenco delle opere che, per esempio, l’Italia ha buttato dentro al piano nazionale presentato in Europa, presenta una serie di mostruosità, di progetti banali, inutili, tra i quali le bocciofile assurgono al ruolo che nei musei d’arte assumono gli Uffizi di Firenze. Assalto alla diligenza, avrebbe detto Giovanni Giolitti, riferendosi alla situazione in cui, essendoci dei soldi da spendere, e non avendo in testa un becco di idea o di progetto, qualche celebroleso (politico) ordina ai propri sottoposti amministrativi di tirar fuori dai cassetti qualsiasi progetto ci sia per fare cassa e contentare il governo o i ministeri. Perché dico che è colpa dell’Europa? Perché il percorso che andava fatto era esattamente il contrario di quello che si è fatto. E cioè si doveva partire dai bisogni reali post-Covid dei singoli Stati membri, trovare eventualmente anche alcune linee comuni ma lasciare alle esigenze dei singoli Paesi, diverse da quelle degli altri, una quota-parte dei soldi da spendere.

In terzo luogo c’è un altro errore che ha commesso l’Unione europea nel formulare il Recovery Plan. L’errore consiste nell’aver considerato il piano difficilmente modificabile, cioè troppo rigido, come se la situazione dopo la pandemia fosse la stessa per i sei anni che copre il piano stesso. Solo come esempio, stiamo ancora aspettando i soldi per il drammatico caro energia seguito alla guerra russo-ucraina. I programmi di politica economica non possono non prevedere forme di elasticità, di aggiornamento alla situazione cangiante e ripensamenti sulla distribuzione delle risorse. È vero che il piano prevede forme di adattamento, ma sono troppo complesse e richiedono lungaggini burocratiche che praticamente annullano le possibilità previste di cambiamento.

Ha ragione il ministro Raffaele Fitto, che ha in mano il dossier Pnrr, quando dice: «Noi stiamo lavorando e porteremo in Europa fatti, non chiacchiere, per spiegare perché il piano vada smantellato e profondamente cambiato anche negli obiettivi. Altrimenti ci facciamo molto, molto male». È lo stesso ministro ad informarci che dei fondi scaduti nel 2020 abbiamo usato solo il 34 per cento. Vogliamo fare lo stesso ora, chiede il ministro? Riferendosi all’inflazione e allo choc energetico ritiene questi due fattori lo strumento per invocare il cambiamento del Pnrr a seconda di situazioni diverse che sono sopravvenute e che, come sostiene ancora il ministro, non erano prevedibili. Ci pare francamente deciso il ministro Fitto nel battagliare in Europa per ottenere tutto ciò che è necessario per poter spendere i soldi e soprattutto impiegarli in modo utile. Certo, avrà il suo bel da fare, perché se c’è una caratteristica dell’Unione, di questa Unione, è proprio la rigidità che è «stupida», come la definì Romano Prodi.

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Paolo Del Debbio