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Parlamento irrilevante

In attesa della riforma istituzionale, in Italia il monocameralismo esiste già, con una Camera che esamina un testo e l’altra che spesso si limita a vidimare. E deputati e senatori pronti a ripartire fin da metà settimana.

C'era una volta la navetta, che trasportava le leggi dalla Camera al Senato e viceversa in un continuo andirivieni. Spesso vanificando l’iter dei provvedimenti. Un antico problema del meccanismo parlamentare italiano, legato alla guerriglia tra forze politiche, che riporta la memoria alla Prima Repubblica. Ma con gli anni si è fermato a colpi di decretazione d’urgenza e questioni di fiducia poste dai governi, indipendentemente dal colore politico o dalla propria natura, tecnica o politica. Una riforma costituzionale attuata nella pratica quotidiana: l’italico bicameralismo perfetto ha ceduto il passo al monocameralismo di fatto, all’evidenza che una Camera esamina e modifica il testo, l’altra si limita a bollinare senza toccare palla. Una tendenza che non può essere ignorata quando si affronterà il tema delle riforme istituzionali, già sul tavolo del nuovo governo.

Con un Parlamento che, numeri alla mano, diventa sempre più marginale e irrilevante, soprattutto per i lavori d’Aula con deputati e senatori trasformati in schiaccia-bottoni. Onorevoli sì, ma quasi più attenti a lasciare Montecitorio o Palazzo Madama il prima possibile, con l’inconfondibile trolley a portata di mano, già a metà settimana, il mercoledì pomeriggio. O al massimo il giovedì sera. Rendendosi di tanto in tanto protagonisti di bagarre come quella scoppiata sul caso Cospito e 41-bis tra il capogruppo di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, e il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni. Il dato più significativo riguarda le leggi di iniziativa parlamentare diventate esecutive: fino alla metà di febbraio erano a quota zero. Eppure solo in questa legislatura, dall’ottobre 2022, sono state depositate oltre 1.500 proposte di legge, in media circa 375 al mese, oltre 12 al giorno, festivi inclusi. Di queste la stragrande maggioranza resta nei cassetti ed è già mezzo miracolo se viene incardinata in commissione per avviare un confronto, che però molte volte si ferma dopo la partenza. Un dossier della Fondazione Openpolis rende l’idea di come il Parlamento sia man mano diventato irrilevante: finora tutti i provvedimenti approvati sono stati di matrice governativa e una sola Aula è intervenuta nel concreto delle norme, ratificando quel monocameralismo di fatto già menzionato.

Una dinamica che comunque potrebbe essere corretta, con una razionalizzazione dei lavori parlamentari. «Con due Camere dotate degli stessi poteri, l’efficienza dei lavori può essere anche superiore» spiega a Panorama Andrea Pertici, docente di diritto costituzionale all’Università di Pisa. «Normalmente è la Camera chiamata a intervenire per prima a compiere tutta l’istruttoria relativa alla deliberazione da assumere, cosicché, con due Camere, se ne possono svolgere due contemporaneamente. Per esempio, mentre il Senato si occupa di una legge, la Camera può dedicarsi a un’altra, per poi scambiarsi i testi». La conseguenza? «Se ben confezionati e condivisi possono essere approvati». In altri casi, conclude Pertici, «la seconda Camera può essere uno strumento utile a correggere errori tecnici o posizioni politiche non consolidate. Solo in casi rari sarà utilizzata quale meccanismo meramente dilatorio». Dunque, non un doppione ma uno elemento di velocizzazione. Almeno in teoria.

La ricerca di Openpolis mette in evidenza un altro elemento, per certi versi impressionante: le modifiche ai provvedimenti avvengono quasi sempre in commissione, lasciando all’Aula - sia Montecitorio o Palazzo Madama - un ruolo marginale, più simbolico. Gli emendamenti approvati dall’inizio della legislatura fino alla metà di febbraio sono in totale 360, in media 3 e mezzo su ogni testo. Alla Camera sono stati effettuati 257 cambiamenti rispetto alle formulazioni iniziali: 246 sono stati votati nelle varie commissioni competenti per materia e appena 11 in Aula, meno del 5 per cento.

Numeri leggermente diversi al Senato, dove le proposte emendative approvate sono stati 103, di cui 91 in commissione e 12 in Aula, con una soglia di poco inferiore al 12 per cento. Nel dettaglio dei decreti convertiti, quello con maggiore interventi è stato il decreto Aiuti-ter, con oltre 100 interventi di modifica. Sulla stessa lunghezza d’onda l’Aiuti-quater, che è stato licenziato in una versione ampiamente modificata rispetto a come uscito dal Consiglio dei ministri, contando su 17 articoli aggiuntivi. E sul monocameralismo, Pertici propone un’osservazione molto significativa: «L’estenuante “ping-pong” delle leggi, di cui si è molto parlato in occasione della Riforma Renzi, in realtà non esiste da tempo». Difatti si concretizza, «quando non c’è un accordo politico e la legge non si vuole in realtà approvare. Ma è un mero pretesto che, se non ci fosse il bicameralismo, troverebbe altre forme di dilazione».

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