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«Non sono una Bond Girl come le altre»

«Non sono una Bond Girl come le altre»

In No Time To Die (ora al cinema) torna per la seconda volta accanto all’agente 007, ma Léa Seydoux, come racconta in esclusiva a Panorama, è molto di più. Oltre ad avere vinto, giovanissima, la Palma d’oro a Cannes, a ottobre sarà protagonista di un film che mette alla berlina il giornalismo tv. E poi di un «action movie» firmato Cronenberg.


Quando nel 2013 Léa Seydoux ha vinto la Palma d’oro al Festival di Cannes per il film La vita di Adele insieme alla collega Adele Exarchopoulos, e al regista Abdellatif Kechiche, i critici e il pubblico francese si sono accorti che sarebbe diventata presto una delle più luminose stelle del cinema transalpino. Anche per l’audacia mostrata nei 17 minuti di sesso-verità messi in scena con la collega. Due anni dopo, per la 36enne attrice parigina è arrivata la consacrazione internazionale grazie al ruolo di Madeleine Swann, la psicologa figlia di un killer che viene salvata da morte certa da 007 in Spectre. Ora, dopo apparizioni in film come Grand Budapest Hotel, La bella e la bestia, Kursk e The Lobster, è come se il cerchio tra blockbuster d’azione e cinema impegnato si chiudesse: dal 30 settembre Seydoux è di nuovo sugli schermi con No Time To Die sempre nei panni di Madeleine, «felice al fianco di Bond», come dice lei stessa, «e pronta a entrare in una relazione più intima con la spia». Nel film l’agente segreto di Sua Maestà, interpretato per l’ultima volta da Daniel Craig, si è ritirato dai Servizi e dopo anni di incontri fugaci con diverse Bond girl si gode la vita di coppia con la nuova compagna a Matera. Il buen retiro tra James e Madeleine viene disturbato quando un vecchio amico di 007 gli chiede di aiutarlo a salvare uno scienziato rapito, gettandolo in una missione rischiosissima. Poi, dal 21 ottobre Léa vestirà anche i tailleur sexy della telegiornalista più famosa d’Oltralpe in France, del provocatorio autore Bruno Dumont: osannata dai fan, intrappolata in un matrimonio infelice, protagonista di un talk in cui frusta i politici peggio di Lilli Gruber, la donna un giorno investe un giovane in motorino; scossa dall’accaduto, oltre a risarcire la famiglia decide di abbandonare la tv e la vita pubblica in un film che mette alla berlina il giornalismo spettacolo e l’ossessione per le celebrity. «Per me, oltre alla critica dei media» racconta Seydoux in collegamento via Zoom dalla sua luminosa casa di Parigi, nel quartiere di Montparnasse «France è un film sul senso della vita. Il mio personaggio è vittima del sistema capitalistico che le ha regalato fama e ricchezza, apparentemente ha successo, in realtà è alienata. Così, quando le accade questo incidente inizia a sentirsi in colpa, anche perché il ragazzo che investe appartiene a una classe sociale indigente, perciò decide di dargli del denaro alla ricerca di redenzione. Questa storia racconta bene l’esistenza di tutti noi: speriamo sempre di poter cambiare le cose, ma spesso restiamo disillusi».

Come ha costruito questo personaggio?

Il regista mi ha lasciato piuttosto libera e così l’ho interpretato con un po’ di autoironia, come fosse la diva di un fotoromanzo patinato o la caricatura di tante giornaliste che conducono programmi in tv. Per questo le sue emozioni sono così estreme, di conseguenza lo è anche la recitazione. In realtà però dietro la spiccata personalità e la vivacità che mostra quando va in onda, si nascondono grande fragilità e solitudine.

Sembra quasi il contrappasso per una vita da star del piccolo schermo. A lei è mai capitato, visto che è una celebrity, di sentirsi sola?

Oh sì, non è che perché sono famosa non succede anche a me a volte di sentirmi estremamente sola. Certo, io non vivo in un fotoromanzo come il mio personaggio, ma capisco benissimo lo stridente paradosso di chi è costantemente al centro dell’attenzione e nei pensieri della gente, e tuttavia si sente sperduto.

Come vive le aspettative del pubblico, che proietta su di lei i suoi personaggi e crede così di conoscerla? Il film parla anche di questo…

La gente si innamora di un’immagine e quella gli interessa. Spesso mi fermano per strada e vogliono una foto insieme, ma a loro non importa nulla di sapere chi sono, gli basta posare in quello scatto con me. Per fortuna non sono famosissima, come certi miei colleghi che perdono totalmente la propria libertà di movimento. Con me le persone sono discrete.

France descrive anche il rapporto tra i personaggi pubblici e i giornalisti. Lei che rapporto ha con la mia categoria?

Non amo molto andare in tv dove spesso non c’è il tempo per fare un discorso ampio, bisogna rispondere come robot, andando subito al sodo, mentre in questo io sono un impiastro. I giornalisti mi piacciono, ma non rileggo mai quel che scrivono di me, né le critiche mi influenzano: ognuno ha diritto alla propria opinione e non posso piacere a tutti.

All’inizio della carriera lei dichiarava di essere molto timida. Com’è cambiata diventando più matura e dopo quasi 20 anni di carriera?

La mia timidezza non l’ho mai superata, ancora oggi quando sono su un nuovo set vengo assalita dai dubbi e devo ripetermi a voce alta che ho lavorato in tanti film importanti. In realtà però non sono l’unica, ci sono molti attori e attrici estremamente ritrosi a mettersi in mostra, anche se può sembrare un paradosso. Forse, come me, cercano di esorcizzare questo timore attraverso un atto creativo.

Parliamo di No Time to Die, è felice di essere tornata al fianco di 007?

Quando mi hanno scritturata la prima volta, pensavo di non essere abbastanza bella rispetto alle attrici che mi hanno preceduta, o all’altezza per una saga che ha attraversato con enorme successo la storia del cinema. Sono felice di essere tornata anche perché Madeleine non è più il classico personaggio femminile del passato.

In che senso?

La definirei una Bond lady, nel senso che tiene testa a 007 e si pone su un piano di uguaglianza reciproca, è indipendente, scaltra, ha personalità da vendere. In passato le Bond girl erano più che altro oggetti sexy, come spesso lo sono state le donne nella storia del cinema. Per questo, quando mi chiedono chi siano i miei modelli di riferimento rispondo sempre che sono gli attori e non le attrici: gli interpreti maschi non sono ossessionati dall’idea di dover sedurre quando appaiono sullo schermo. E dovessi dire qual è, tra loro, quello cui mi sono ispirata di più, risponderei Jean-Paul Belmondo.

In che film la vedremo?

Ho appena finito di girare il nuovo film di David Cronenberg, che si intitola Crimes of the Future. È una storia ambientata in un futuro agghiacciante in cui le persone si cibano di plastica e non provano più alcun dolore.

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