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La diaspora cecena che minaccia l’Europa

La brutale uccisione del professor Paty in Francia è l’episodio più recente che ha coinvolto un fondamentalista della repubblica del Caucaso. La minaccia è reale in vari Paesi del continente.


Un uomo decapitato, una testa gettata per strada, una rivendicazione dell’assassinio. Sono gli elementi della miscela esplosiva di furore islamista e criminalità internazionale, che in Europa oggi si saldano e sostanziano con le frange più estreme del fondamentalismo: quelle che provengono dalla Cecenia e fanno parte alla Fratellanza musulmana.

Prima ancora dell’attacco alla cattedrale di Nizza (tre morti, di cui due decapitati), l’orrenda uccisione a Parigi del professor Samuel Paty, reo di aver mostrato in una classe di liceo caricature di Maometto, chiarisce una volta di più- se ancora ce ne fosse bisogno – ciò che sono state programmate a compiere le nuove generazioni di aspiranti jihadisti in Europa. E se si tratta di ceceni, come nel caso di Parigi, c’è da temere il peggio. Abdoullakh Abuyezidvich Anzorov, giovane rifugiato dal Paese del Caucaso e autore dell’azione terroristica, è stato ucciso dalla polizia, ma era pronto a morire da tempo. Addestrato all’odio religioso, era stato introdotto al Jihad dalla famiglia.

Gli Anzorov fanno parte di quelle migliaia di immigrati ceceni fuggiti dalle due guerre combattute contro la Russia, che fecero complessivamente oltre 100 mila morti tra 1999 e 2009. La loro tragedia ha creato una diaspora che nell’ultimo ventennio li ha visti disseminarsi in tutto l’Occidente. Ma ha anche prodotto sacche di irriducibili ribelli e un potente movimento separatista: denominato «Emirato del Caucaso» e guidato inizialmente da Doku Umarov, è oggi la stella polare degli jihadisti ceceni.

I legami del clan Anzorov arrivano fino in Siria, dove il giovane omicida del professor Paty era da tempo impegnato nel mantenere aperti i contatti con un jihadista russofono che si trova ancora oggi a Idlib, ultimo bastione di ciò che resta dei sostenitori del Califfato islamico e della guerra civile.

In Europa, in ogni caso, la più grande comunità è proprio quella della Francia, che ospita oltre 70 mila ceceni; 40 mila sono in Austria e altrettanti in Germania; altri 20 mila nel piccolo Belgio. Senza contare gli oltre due milioni fuggiti nelle altre Repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Molti di loro non hanno mai tagliato i legami con la madrepatria dalla storia tormentata. Che, nel frattempo, è divenuta una piccola Repubblica incastonata nel Caucaso settentrionale, governata con il pugno di ferro dal controverso Ramzan Kadyrov, che guida anche un esercito privato (i Kadyrovtsy) accusato di ogni nefandezza, e gode del sostegno di Mosca in funzione anti-islamista e quale argine all’instabilità dell’intera area.

Ma la Cecenia resta una porta scorrevole per il terrorismo: l’ascesa della famiglia Kadyrov non ha impedito la radicalizzazione della comunità islamica sunnita (che rappresenta la maggioranza della popolazione), né le partenze di jihadisti ceceni verso la Siria e l’Iraq. Così come il suo governo non si è mai impegnato nel contrastare davvero il terrorismo. Anzi, il suo tentativo di mantenere l’identità musulmana del popolo ceceno e, al contempo, conformare le leggi nazionali alla costituzione russa, è ritenuto quanto meno ambiguo. Questo ha aperto le porte anche a traffici di armi e droga condivisi con la cosiddetta «mafia cecena», spesso contigua o addirittura più forte rispetto persino alla mafia russa in Europa. E il più delle volte, quei proventi servono a finanziare proprio la «guerra santa» europea.

Prima dell’assassinio del professore francese, gli islamisti ceceni hanno più volte condotto attacchi terroristici nel vecchio continente: come il 12 maggio 2018, quando il ventenne Khamzat Azimov accoltellò cinque persone nel centro di Parigi. O, come ha plasticamente dimostrato la guerriglia di Digione nel giugno di quest’anno, quando ceceni e arabi hanno scatenato una settimana di disordini e scontri armati per il controllo del territorio (e dei traffici di droga) nel cuore della Borgogna.

In Germania, nel gennaio scorso, una massiccia operazione dell’antiterrorismo tedesco in molti lander ha portato all’arresto di una cellula terroristica composta da cinque ceceni, tutti tra 23 e 28 anni: tra gli obiettivi del gruppo, la Nuova Sinagoga lungo Oranienburger Strasse, cuore storico di Berlino e uno dei centri più importanti dell’ebraismo in Germania.

Anche l’Italia ha avuto a che fare con gli estremisti ceceni: l’8 luglio 2017 a Foggia è stato arrestato il trentottenne Eli Bombataliev, foreign fighter dell’Isis in transito attraverso l’Italia per raggiungere il Belgio. Nelle intercettazioni telefoniche affermava esplicitamente la volontà di portare a termine un attentato terroristico, e riportare in auge l’ormai leggendario Emirato del Caucaso.

Spiega Aldo Ferrari, del Dipartimento di studi sull’Asia e sull’Africa mediterranea per l’Università Ca’ Foscari: «Le popolazioni montanare musulmane hanno una tradizione secolare, se non millenaria, di combattività. Il loro valore militare, la fedeltà, la resilienza ne hanno fatto una realtà che non si è mai sottomessa o piegata. Nessuno è mai riuscito a conquistare il Caucaso, se non i russi. Che però, per sottomettere quei popoli hanno impiegato quasi un secolo di guerra incessante, quella che i russi chiamano la grande guerra caucasica. Tra questi, i ceceni erano e restano tra i più bellicosi combattenti musulmani al mondo. E hanno mantenuto questa specificità sino a oggi. Deportati in massa durante la Seconda guerra mondiale, anche nei lager sovietici, in questi contesti hanno mantenuto sempre una compattezza etnica e una refrattarietà tale che erano temutissimi dai russi stessi. La loro capacità di solidarietà reciproca e di offensiva militare non ha pari, ed è un po’ il simbolo che li ha contraddistinti sia in epoca zarista, sovietica e anche post sovietica. Inoltre, la Cecenia è l’unica delle Repubbliche della Federazione russa ad aver tentato la secessione, e questo la dice lunga sulla loro specificità, che si mantiene viva tuttora. Ceceno non vuol dire automaticamente radicale islamico, ovviamente, ma se un ceceno si radicalizza diventa temibile».

Violenza ed estremismo religioso sono parte integrante della storia cecena: e non è un caso che i ceceni partiti per il Medio Oriente durante l’ascesa dello Stato islamico siano stati oltre quattro mila, dei quali quasi due terzi provenienti dalla diaspora europea. Alcuni hanno scalato i vertici dell’Isis fino a diventare dei dirigenti di primo piano: come il carismatico Tarkhan Tayumurazovich Batirashvili, nome di battaglia Abu Omar al-Shishani, uno dei comandanti militari più giovani ma anche più importanti del Califfato, morto in battaglia nel 2016 ad appena trent’anni. Gli islamisti ceceni rappresentano insomma la minaccia forse più pericolosa per l’antiterrorismo europeo. Di certo, sono degli irriducibili e preoccupa la loro determinazione.

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