Con un neurostimolatore midollare una donna paralizzata è tornata «in piedi». È solo l’ultima delle micro meraviglie – dai device cardiaci ai defibrillatori interni – che inserite nel nostro organismo possono cambiarci (e salvarci) la vita.
Nel cervello, nel cuore, nel midollo, sottopelle.
Pacemaker, neurostimolatori, defibrillatori, impianti cocleari, loop: tutto impiantabile nel nostro corpo, per guarirci. Il futuro della medicina sarà un veloce viaggio verso la trasformazione dei pazienti in esseri bionici? Esagerazioni a parte, la tecnologia dei device sta permettendo alla ricerca scientifica – e alla nostra qualità di vita – un deciso passo in avanti.
L’ultima notizia, in questo campo, non è uno scenario remoto ma vita vissuta: al San Raffaele di Milano è stato portato a termine un intervento che, grazie all’impianto di un neurostimolatore midollare, ha consentito a una donna di 32 anni paralizzata alle gambe di ricominciare a camminare. «Il dispositivo che abbiamo impiantato» spiega Pietro Mortini, primario di Neurochirurgia e professore ordinario all’Università Vita – Salute San Raffaele «è composto da un generatore di impulsi simile a un pacemaker e da un supporto biocompatibile, una specie di “piattina”, con 32 elettrodi. Tecnicamente, sono device che usiamo già da tempo anche nel dolore cronico: ma stavolta, con una diversa programmazione del dispositivo, e un intervento di neurochirurgia per collegare gli elettrodi al midollo spinale, siamo riusciti a ottenere le risposte motorie desiderate. Adesso la paziente cammina con due stampelle, ed è autonoma nel superare qualsiasi barriera architettonica».
L’operazione, che fa parte di un protocollo di ricerca clinico avanzato, è durata tre ore, con un’équipe di chirurghi, neurofisiologi e neuroingegneri dell’Istituto di biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
«Al momento, essendo interventi innovativi, vengono inseriti nel trial solo i pazienti con lesioni midollari “basse”, agendo così nella maniera meno pericolosa possibile per il malato» continua Mortini .
«Speriamo, in futuro, di poter intervenire su qualsiasi paziente abbia disfunzioni significative del midollo, quindi anche su problemi dovuti a malattie neurodegenerative».
Ma è solo l’ultima tappa della medicina dei device: anche per quanto riguarda i problemi di udito, per esempio, si stanno facendo passi in avanti. Se oggi esistono protesi acustiche ancorate al cranio, con un processore e una vite in titanio dietro l’orecchio, per i casi di sordità gravissima si può ora procedere con l’impianto di un «orecchio bionico», cioè una serie di elettrodi all’interno della coclea. Il device, stimolando il nervo acustico, ripristina la via neurosensoriale, sostituendo la funzione uditiva danneggiata.
Oltre oltre agli stimolatori midollari classici nel trattamento del dolore cronico, composti da un apparecchio posizionato sotto la cute dell’addome e un elettrodo che agisce sullo spazio epidurale del midollo, c’è poi la lunga storia dei device cardiaci: i pacemaker sono impiantati da più di 60 anni, ma lo scenario sta cambiando: «Fino a un paio di anni fa, lo standard per curare diversi tipi di aritmie consisteva nell’inserire gli elettrodi terminali del pacemaker in un punto qualsiasi del ventricolo destro, generalmente l’apice» spiega Antonio Frontera, responsabile Elettrofisiologia dell’IRCCS Istituto clinico Humanitas di Milano. «Negli ultimi tre anni, studi internazionali hanno dimostrato che la stimolazione selettiva della branca sinistra migliora la prognosi. Adesso, quindi, cerchiamo di posizionare gli elettrodi esattamente a valle del blocco, proprio dove prima passava l’impulso che, a causa della patologia, non passa più».
Questo tipo di intervento (Humanitas è stato tra i primi centri in Italia ad effettuarlo) comporta solo un allungamento dei tempi operatori, ma il vantaggio è ripristinare esattamente la condizione fisiologica delle vie elettriche del cuore, consentendo un migliore prognosi e una diminuzione dei pazienti che possono comunque andare incontro a scompenso cardiaco.
Sempre in Humanitas, l’équipe di Cardiologia interventistica ha appena realizzato l’impianto di una nuova protesi per l’insufficienza valvolare mitralica. L’intervento, per via transfemorale e senza incisione chirurgica, costituisce un primato in Europa, offrendo nuove possibilità di cura per i malati non idonei alla riparazione percutanea e chirurgica convenzionale.
«Un’altra grande innovazione nei device cardiaci» racconta Angelo Di Grazia, dirigente medico presso la Cardiologia del Policlinico G. Rodolico di Catania (diretta dal professore Corrado Tamburino) «è il pacemaker Micra: rispetto al dispositivo tradizionale, è una semplice “capsula” senza elettrocateteri, posizionata nella cavità endocardica attraverso la vena femorale. Viene fissato con 4 alette metalliche che gli permettono di agganciarsi all’interno del ventricolo destro. Noi per ora ne inseriamo una quindicina all’anno».
Ci sono poi i defibrillatori impiantabili per le aritmie maligne che potrebbero essere fatali: il loro compito consiste nell’erogare uno shock (di defibrillazione), per salvare il paziente dall’arresto cardiaco.
Ma il nostro corpo non riconosce mai come «estranei» questi device? «No, nella pratica clinica non abbiamo mai riscontrato reazioni allergiche o rigetto» risponde Frontera «né è mai stata descritta in letteratura». Ciò che può succedere, ma in una piccolissima percentuale, è che il paziente non accetti il dispositivo e continuando a «toccare» ripetutamente il punto di impianto riesca a ruotarlo, ingarbugliando i fili. È la sindrome di Twiddler, che spinge a manipolare il dispositivo dall’esterno, anche in modo inconscio; è la nostra mente, assurdamente impegnata a boicottare la tecnologia che, invece, può salvarci la vita.