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J-Ax: «Gli umani sono super perché sono fragili»

La responsabilità di essere padre, mettere in pausa concerti e rimodulare la propria vita a causa del virus. Uno dei primi rapper italiani si confessa a Panorama e racconta come ha fatto, negli ultimi 30 anni, a «non essere mai di moda, ma sempre in voga».


Per fortuna i bambini ci ricordano che con la fantasia si viaggia anche quando si è chiusi in casa». J-Ax fotografa così lo spirito di questi tempi carichi di angoscia. Lo raggiungiamo via telefono nella sua abitazione e, naturalmente, il primo argomento non è la musica: «Se non ci fosse mio figlio Nicolas (nato nel 2018, ndr), avvertirei meno la paura del coronavirus. Invece, temo di ammalarmi e di non poterci essere per lui» racconta il cantante che per primo ha dato voce e rappresentanza in classifica al rap italiano con gli Articolo 31. «Sono giorni difficili. Anche per questa ragione non posto molto sui social, perché voglio misurare ogni parola e, soprattutto, rimanere concentrato sulla famiglia» racconta a Panorama, mentre tutto quello che riguarda il suo mondo professionale è fermo, immobile. A cominciare, com’è ovvio, dai concerti.

Che effetto le fa vedere la gente che canta e suona sui balconi per esorcizzare la paura?

L’ho vissuto in prima persona nel condominio dove abito. Abbiamo cantato tutti l’inno di Mameli, e devo dire che è stato molto bello, mi ha risollevato l’umore. Io non mi sono mai sentito patriota come in questi giorni. Si dice sempre, ma in fondo è vero: gli italiani, quando sono in difficoltà, riescono sempre a trovare la forza per dare il meglio.

Blocco totale delle attività live e uscite discografiche ridotte al minimo: che cosa resterà del music business quando l’emergenza coronavirus sarà terminata?

Dal punto di vista economico, la sospensione dei concerti è una vera catastrofe. In termini artistici le pause e i momenti di riflessione possono anche rivelarsi utili, ma queste considerazioni non sono certo prioritarie oggi. Di fronte ai rischi per la salute, tutto il resto diventa una quisquilia. Quando l’emergenza sarà finita, allora conteremo i danni…

Gli essere umani sono «Super» proprio perché sono fragili: è questo il messaggio del suo ultimo singolo, Supercalifragili?

Involontariamente è la canzone adatta al momento che stiamo vivendo, perché, come recita il testo, è proprio dentro la fragilità che possiamo trovare la nostra forza. Anche il videoclip che l’accompagnerà è figlio di questo tempo. Io, Annalisa (la cantante ospite del brano, ndr) e altri amici che ho coinvolto lo gireremo ciascuno dentro il proprio appartamento e poi monteremo le immagini.

In questi giorni sui social si parla molto del testo di 2030, una canzone degli Articolo 31 uscita nel 1996, che immagina un futuro inquietante: «L’inno nazionale suona tipo marcia funebre, il sesso virtuale è più salubre in quanto c’è un virus che si prende tramite il sudore e in 90 ore si muore. L’Hiv in confronto sembra un raffreddore…». Qual era l’ispirazione di quelle strofe?

L’ho scritta nel tentativo di accendere una luce su quali sarebbero state le conseguenze peggiori dei comportamenti in atto negli anni Novanta. Mi riferisco alla disattenzione della politica nei confronti della sanità e dei tagli che ci sono stati allora, ma anche negli ultimi vent’anni. Per quanto riguarda l’immaginario del virus di cui parlo nella canzone, la fonte d’ispirazione sono stati articoli e inchieste in cui si parlava di esperimenti chimici segreti da parte degli eserciti.

Beretta, uno dei brani del suo ultimo album, ReAle, racconta la storia di una donna massacrata di botte dal campagno che reagisce sparandogli. Qual è la sua posizione sulla legittima difesa?

Non mi riconosco nelle posizioni estreme in un senso o nell’altro. Per questo, non ho un atteggiamento ostile a priori nei confronti di chi si difende anche con le armi. Ovviamente, bisogna valutare caso per caso. Detto ciò, io sono un libertario convinto e credo che la casa di una persona debba essere inviolabile come una nazione. Per i ladri, per i criminali e anche per lo Stato. Tornando a Beretta, giustifico pienamente il gesto di quella donna che reagisce sparando a un uomo che la massacrava da anni. Per inquadrare le diverse posizioni su un tema così controverso e delicato, consiglio di guardare in rete l’intervista rilasciata a una televisione francese da Jesse Hughes, il cantante degli Eagles of Death Metal, la band americana che si stava esibendo al Bataclan di Parigi nel novembre 2015, la sera della strage.

Ovvero?

Hughes sostiene senza se e senza ma il diritto di ognuno a possedere un’arma per difendersi e quando la giornalista francese gli fa notare che la libera circolazione di fucili e pistole negli Stati Uniti è la ragione dei sempre più frequenti «mass shooting», lui le risponde così: «Già, perché invece la vostra politica sulle armi è riuscita a salvare anche una sola persona al Bataclan?».

Passando alla musica, l’Italia è stato uno degli ultimi Paesi al mondo a decretare il successo del rap. Perché?

Siamo arrivati vent’anni dopo e quando cerco di capire il perché di questo incredibile ritardo mi immagino il classico programmatore delle radio fan di Phil Collins, che metteva in scaletta chiunque tranne gli artisti rap. Può sembrare una battuta, ma le cose sono andate veramente così. Prima degli Articolo 31 il rap italiano era politicizzato, oppure si rifaceva agli stereotipi americani a base di donne, pistole e champagne. Noi l’abbiamo italianizzato e abbiamo vinto.

Dopo 30 anni di carriera riesce ancora a parlare alle nuove generazioni. Qual è l’antidoto all’invecchiamento artistico per un performer?

La curiosità, che in pratica si traduce nel non essere refrattari alle innovazioni. Sia musicali sia tecnologiche. Io, fatta eccezione per un breve periodo, sono sempre stato in voga ma mai di moda. E le mode, i trend per la gente cool, come è insito nella loro natura, passano, invecchiano e finiscono nel dimenticatoio. Ma, al netto di questa considerazione, quello che non ti fa invecchiare è continuare a sognare l’impossibile e lavorare per realizzarlo. Io lo faccio ancora oggi, esattamente come quando lo facevo da ragazzino della periferia milanese, inseguendo qualcosa che agli altri sembrava irraggiungibile. E cioè spaccare con il rap…

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