Sono stati venduti da Sotheby’s per 420 mila euro tre fogli del grande studioso sugli enigmi delle piramidi e sulle profezie sull’Apocalisse. Qui la ragione coincide col mistero.
Si racconta che quando Samuel Horsley, primo curatore dell’opera omnia di Isaac Newton, trovò i manoscritti di argomento religioso del celebre scienziato, restò talmente scandalizzato da richiudere con forza il baule che li conteneva. Venduti all’asta da Sotheby’s per 420 mila euro, lo scorso 8 dicembre, i tre fogli di appunti di Newton sulle dimensioni della grande piramide di Giza e le profezie sull’Apocalisse rendono l’idea di cosa dovette suscitare quella reazione. Nel forziere c’erano scritti nella tradizione ermetica e magico-rinascimentale che stridevano già allora, nel 1700, con l’immagine del Newton che conosciamo: l’eroe delle scienze positive e padre della legge sulla gravitazione universale.
Continuarono a destare scandalo anche dopo, tanto che, in diversi periodi, la Royal Society, l’Università di Cambridge, il British Museum e le università di Harvard, Yale e Princeton si rifiutarono di acquisirli. Fu nel 1936 che l’economista John Maynard Keynes acquistò quei manoscritti discussi e solo dagli anni Cinquanta gli storici ebbero accesso a inediti su temi quali l’alchimia, l’interpretazione della scrittura e la cronologia universale.
Come riporta la storica Sarah Dry nel libro The Newton Papers, sono arrivate fino a noi 10 milioni di parole dello scienziato inglese, pari all’incirca a 150 romanzi; la metà su argomenti connessi alla religione, un altro milione su argomenti alchemici, un altro milione sul suo lavoro di maestro della zecca e tre milioni su fisica e matematica. I tre fogli venduti da Sotheby’s hanno bruciature ai bordi causate dal cane Diamond che, saltando sul tavolo, aveva fatto cadere una candela. Newton aveva lasciato l’animale nella camera quando era uscito una mattina d’inverno del 1680, come si deduce dagli scambi con lo scienziato olandese Christiaan Huygens.
Accorgendosi del danno, aveva esclamato: «O Diamond, thou little knowest the mischief thou hast done» (O Diamond, tu poco conosci il male che hai fatto). Quei fogli contenevano comparazioni tra le dimensioni esterne delle piramidi, i loro tunnel e le misure dei mattoni, come si può ancora leggere nelle parti rimaste intatte.
Lo scopo di Newton era quantificare la loro unità comune di riferimento, il cosiddetto cubito reale egizio. Arrivare a quel numero significava misurare con esattezza la circonferenza terrestre, valore cruciale per dimostrare l’azione della gravitazione su scala planetaria. Lo scienziato riteneva che le misure della circonferenza della Terra dei Greci fossero espresse in un’unità derivata dal cubito egizio, che occorreva conoscere.
Con quella ricerca, fa sapere Sotheby’s, si prefiggeva anche di scoprire la data dell’Apocalisse svelando messaggi arcani nascosti nella Bibbia. Dalla misura del cubito egiziano sarebbe potuto risalire al cubito del popolo ebraico e da lì alle dimensioni del tempio di Salomone, descritto nelle profezie di Ezechiele. Secondo il fisico inglese (e tutto il sistema filosofico rinascimentale) quel numero custodiva un senso recondito. «Attraverso il calcolo Newton voleva risalire alla informazioni che Dio stesso aveva depositato nelle Scritture o consegnato ai maghi del passato; la stessa legge di gravitazione è forse l’elaborazione dell’idea di forze occulte che caratterizzano il pensiero alchemico» sostiene Gilberto Corbellini, storico della scienza del Cnr. «Nelle sue opere una visione magica e una meccanicista convivono, nella credenza che l’universo sia stato plasmato dal Creatore secondo principi intelligibili e sia un sistema interconnesso di materia in continuo movimento».
Lo storico della scienza Paolo Rossi ha scritto che Newton condivideva l’idea «che prima della filosofia dei Greci fossero state intraviste alcune verità in seguito perdute». Nel suo Trattato sull’Apocalisse, sulla base di un passo di Daniele e dei suoi calcoli, si disse convinto di vivere negli ultimi tempi della storia e di aspettarsi una seconda venuta di Gesù nel secolo XXI. Si sentiva un eletto da Dio, e in un passo dei suoi appunti si definì una delle «persone che Dio ha scelto e che, senza essere condotto da interesse, educazione e autorità, possono porsi sinceramente al servizio della verità».
Orfano di padre, quando la madre si risposò andò a vivere con la nonna. Al Trinity College di Cambridge ebbe accesso come «subsizar», studente servitore i cui obblighi includevano lustrare le scarpe dei fellows e svuotarne i pitali. Quasi sempre in solitudine, nei terribili anni della peste (1665-66) si rinchiuse nella casa della madre, che lo aveva riaccolto, e a 23 anni formulò la regola del binomio, il metodo delle flussioni e la legge che i pianeti nelle orbite stanno fra loro come i quadrati delle distanze dai centri intorno ai quali ruotano.
Un suo parente, Humphrey Newton, disse che in cinque anni aveva riso una sola volta. Dopo il 1688 s’impegnò nella vita pubblica, mostrando ancora interesse per i temi religiosi e insistendo che Gesù non è Dio e che l’amore per il prossimo era stato già insegnato da Socrate e Confucio. Di lui l’economista John Maynard Keynes scrisse che «non fu il primo dell’Età della Ragione ma l’ultimo dei maghi». Gli inediti venuti alla luce suggeriscono che fu entrambe le cose.