In questo Paese africano giungono via terra, da Libia e Algeria, sognando un irreale Eldorado europeo. Sono migliaia (oltre 53 mila quelli intercettati finora sui barchini, ma 88 mila già arrivati in Italia), pieni di rabbia e disperazione. Spesso armati e pronti a dare battaglia se bloccati in mare, come racconta l’inviato di Panorama.
Le impronte nel deserto fra Libia e Tunisia non lasciano dubbi: alcuni migranti hanno passato clandestinamente il confine camminando scalzi nella sabbia. Una figura avanza a piedi, cappellino in testa per proteggersi dal sole, maglietta nera, jeans e scarpe da ginnastica. Abdul-Mahdi, 20 anni, è fuggito dal Sudan travolto dalla guerra civile. «Arrivo dalla Libia e cammino da due giorni» dice, senza neanche uno zainetto, con la pelle nera offuscata dalla sabbia sollevata dal vento. La sua meta è Zarzis, la città nel sud della Tunisia prima tappa del viaggio verso un illusorio Eldorado europeo. Poco dopo ecco altre due figure. Uno con lo zainetto e l’altro con una busta nera della spazzatura come bagaglio. «Vorremo arrivare in Italia o Francia. Un posto sicuro per la nostra vita» spiegano. Al momento seguono i cavi dell’elettricità tesi fra i piloni, come bussola, per raggiungere Zarzis. Fino al 28 settembre la Guardia costiera tunisina ha intercettato 53.788 persone sui barchini in ferro lungo la rotta verso Lampedusa. Ben 88 mila migranti, però, sono passati sbarcando in Italia. «I numeri aumenteranno» afferma sconsolato un alto ufficiale «perché continuano ad arrivare costantemente in Tunisia via terra, dalla Libia e dall’Algeria».
A Zarzis, l’edificio bianco e basso dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, sembra un fortino. Sopra le mura di cinta c’è il reticolato e le transenne all’esterno riescono a contenere a stento l’assedio quotidiano di centinaia di persone. «La gente vuole andare in Europa per una vita migliore, ma l’Onu non fa nulla. L’appuntamento per il colloquio lo fissano fra un mese e nel frattempo niente documenti, niente soldi e niente aiuti» si lamenta un migrante. Ogni tanto escono dal fortino delle volontarie con la pettorina Unhcr, che rilasciano l’agognato foglietto per i colloqui. Sempre attorniate da guardie private, che a malapena contengono la rabbia dei migranti arrivati da mezza Africa. Il loro accampamento di fortuna è un’area abbandonata dove bivaccano sotto i pochi alberi. «Molti vogliono attraversare il mare» conferma Dima. Un altro migrante ribadisce che «andiamo a Lampedusa. Non torniamo indietro». La vicina spiaggia di un hotel turistico, chiuso per la crisi, non sembra la Tunisia bensì un pezzo d’Africa a sud dell’Equatore. I migranti lavano i vestiti stendendoli al sole e fanno il bagno in mare togliendosi i pidocchi dai capelli. L’assurdo è che ogni tanto passano a cavallo o a piedi pasciuti turisti europei. I bianchi occupano una spiaggia, un centinaio di metri più in là.
L’hub dei migranti di Sfax, tre ore di macchina verso nord, è stato svuotato dalla Guardia nazionale. In pochi giorni colonne di minibus hanno trasferito tutti a El Amra, una cittadina vicina al tratto di mare più breve per arrivare a Lampedusa. Lungo l’unica strada asfaltata si incrociano a intermittenza piccole file di migranti in cammino che chiedono acqua. El Amra sembra invasa da una ondata nera, che occupa i caffè per ricaricare i telefonini e contattare i trafficanti presenti sui social con veri avvisi promozionali. «Questo battello è pronto a partire con un motore Yamaha. Ho bisogno di 35 africani. Per ulteriori informazioni contattami in privato» scrive un passeur del mare con foto della barca e bandierine tricolori. Un trafficante utilizza la foto della nave di Medici senza frontiere invitando a chiamare «chi vuole viaggiare per andare in Francia, Italia e Spagna il gruppo di trasporto marittimo a pagamento» a un numero con il prefisso internazionale francese. Dieu m’aime (Dio mi ama) il 14 settembre informa che sta preparando «un convoglio» diretto a Lampedusa per «1.300 dinari a persona», meno di 400 euro. In alcuni casi i trafficanti inviano nelle chat clandestine la posizione sulla spiaggia e l’orario di imbarco.
Alla periferia di El Amra, un campo di olivi è stato trasformato in bivacco in attesa di imbarcarsi per l’Italia. Mohammed si è comprato una polo della Polizia italiana al suk e ci fa vedere i cartoni che utilizza come giaciglio. «I miei amici sono già arrivati a Lampedusa» racconta il giovane sudanese. «Il prezzo varia da persona a persona, ma al momento la traversata costa attorno ai 2.000 dinari (600 euro ndr)». Il mare dista un pugno di chilometri e lungo la strada si incontrano carcasse di barchini in ferro messi fuori uso dalla Guardia nazionale. Sul bagnasciuga ci sono altre battelli inutilizzabili, messi insieme con lamiere in ferro saldate alla meno peggio. In un caffè di El Amra un gruppo di giovani, con qualcuno già al terzo tentativo di raggiungere l’Italia, non ha dubbi: «Stiamo arrivando con il bel tempo. La vostra Guardia costiera deve avvicinarsi per soccorrerci così in poche ore siamo a Lampedusa».
«Cristiano» è il soprannome di un trafficante di fede cattolica che vive a Sfax, ma arriva probabilmente dal Mali. Via whatsapp accetta di parlare: «Aiuto i migranti ad andare in Italia per 400-600 euro. Trovo la barca, il motore, controllo il meteo e la Guardia costiera tunisina. Se tutto è a posto partono alle dieci del mattino e in 15 ore arrivano a Lampedusa». Volto mascherato per non farsi riconoscere sostiene che «i veri trafficanti sono i presidenti africani che lasciano partire la loro gente». «Cristiano» ammette di avere contattato Alarm phone, il centralino dei migranti, per facilitare l’arrivo di un barchino con dei minori a bordo. Alla fine «ringrazia» l’Italia: «Ospitate tanti migranti, ma la colpa è della Francia che ha colonizzato l’Africa. E voi pagate il conto». Il presidente Kaïs Saïed è ai ferri corti con l’Unione europea. «La Tunisia non accetta la carità né l’elemosina» ha dichiarato il 2 ottobre scorso. Il riferimento è ai 127 milioni di euro che l’Europa era pronta a versare a Tunisi. Fondi già stanziati da tempo, ma il memorandum Ue firmato con Saïed prevede 900 milioni, che non sono stati ancora approvati a causa della fronda interna Ue.
Non è un caso che il ministro degli Esteri tunisino, Nabil Ammar, sia volato il 26 settembre a Mosca. E subito dopo siano arrivate a Sfax due navi russe cariche di grano. Il pericolo è che Saïed si stufi dei giochetti europei e guardi al Cremlino. Lampedusa i trova a 80 miglia, circa 150 chilometri, da El Amra dove sono pronti a partire cinquemila migranti. La Guardia costiera di Sfax, che schiera motovedette italiane di 35 metri e veloci imbarcazioni americane fa il possibile «anche se molte unità sono in manutenzione e i tempi di riparazione con l’Italia continuano a essere lunghi» rivela un alto ufficiale. La motovedetta «3502» pattuglia il mare illuminato dalla luna a metà strada fra la Tunisia e Lampedusa.
Il barchino di ferro carico di migranti si è fermato ondeggiando paurosamente anche se il mare è abbastanza calmo. «Volete morire? Vi hanno ingannato» urla in francese dalla prua il capitano Faisal. «Ci hanno scambiato per la Guardia costiera italiana. Vedrai che adesso scappano» spiega l’ufficiale. Subito dopo il migrante al timone dà gas al motore fuoribordo e schizza via a zig zag. Gli uomini mascherati della Guardia nazionale, per evitare rappresaglie dei trafficanti, mettono in mare il gommone Zodiac e partono all’inseguimento. «È finita. Spegnete il motore. Rispettate l’autorità» urla Faisal. Il barchino trasporta una quarantina di migranti che hanno a tracolla la camera d’aria gonfiata di un’automobile come salvagente. Il gommone si affianca e l’ufficiale grida «Chi è il capitano? Se non ti fermi finisci in prigione». I migranti supplicano in coro di lasciarli andare «per favore, per favore». La scena è straziante e stringe il cuore, ma non si può arrivare a ondate illegali in Europa.
Alla fine i subsahariani cedono, ma sempre più migranti danno battaglia. Il giorno dopo tre motovedette veloci non riescono a fermare un barchino carico di sudanesi che sventolano la loro bandiera. Uno di loro agita in aria un machete e altri due sono addetti ai lanci di grossi sassi. «Lasciateci andare, lasciateci andare» urlano navigando a manetta. Le motovedette girano a tutta velocità attorno al barchino sollevando onde per fermarlo, ma i sudanesi in rotta per Lampedusa non demordono e come grido di battaglia ripetono «Allahu akbar» «Non c’è altro Dio che Allah».
La nostra motovedetta riceve l’ordine di fermarli a ogni costo, ma come si avvicina parte la sassaiola. Dopo un’ora i marinai mettono fuori uso il motore speronandolo con la prua. I sudanesi si arrendono e faranno parte dei 682 migranti intercettati verso l’Italia in 24 ore. Un battello di ferro vuoto in mezzo al mare viene affondato da una delle motovedette americane. Un ragazzino del Gambia in felpa bianca guarda la scena sconsolato dal ponte dell’unità più grande venduta dall’Italia. In mezzo a un centinaio di migranti intercettati giura «di non avere alternative. Devo arrivare in Europa». E altri del Mali e del Burkina Faso ripetono in coro: «Dovete lasciarci proseguire verso Lampedusa. L’Africa è una merda».
