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Le cattive gestioni delle società  partecipate

Le cattive gestioni delle società  partecipate

In Italia le società con capitale pubblico, specialmente a livello regionale, sono in rosso per oltre 550 milioni di euro. Lo certifica la Corte dei conti. Da Nord a Sud, tra aeroporti in perenne adeguamento, alte remunerazioni ai dirigenti, società di finanziamento «da rifinanziare», il catalogo delle gestioni è questo.


Una società «partecipata» è per sempre, un po’ come un diamante. Specie se si tratta di enti locali, che a parole il governo centrale si è impegnato a razionalizzare, ma che in molti casi continuano a restare in vita. Anche al costo di gravare sulle casse pubbliche a causa dei 500 milioni di euro in perdita, come testimoniano gli ultimi dati a disposizione. Un vezzo comune, dunque, che attraversa tutta la Penisola, dal Nord al Sud.

Dalla Finpiemonte Spa, punto di riferimento del tessuto produttivo piemontese, al caso del Consorzio Aeroporto Pontecagnano Scarl, che coinvolge Basilicata e Campania per la realizzazione dell’aeroporto Salerno – Costa di Amalfi, le problematiche abbondano.

A mettere tutto nero su bianco è una corposa relazione della Corte dei conti, che Panorama ha esaminato, e che fornisce una radiografia completa della situazione. Emblematico il caso della Regione Basilicata proprio in riferimento al consorzio aeroportuale: la partecipazione nella società «oltre a essersi fortemente diluita – passando dal 16,5 per cento del 2015 (primo anno di adesione), al 29,75 per cento del 2016, per scendere al 6,79 per cento del 2019 – continua a comportare oneri di ripiano e accantonamento a carico delle finanze regionali, in ragione delle continue perdite registrate».

Così, mentre nelle migliore delle ipotesi lo scalo vedrà decollare il primo volo solo nel 2024, i soldi vengono spesi. E a quanto pare a getto continuo. Ma il problema non è di un singolo caso. Anzi. La magistratura contabile rileva, in generale, che ci sono «situazioni particolarmente critiche di società partecipate da enti locali che, seppure in liquidazione da diversi anni, fanno registrare perdite reiterate, con risvolti negativi sui bilanci degli enti soci che continuano a ripianarle con esborsi annuali significativi».

Tornando a situazioni specifiche, la Toscana si colloca tra le Regioni più complicate. I trasferimenti erogati nel corso del 2019, a favore delle proprie società partecipate e controllate, «sono aumentati rispetto al 2018, confermando così il trend già registrato negli scorsi anni. I trasferimenti, tanto in conto capitale quanto in conto esercizio, sono notevolmente incrementati, con una “impennata” dal 2018» denuncia la sezione regionale della Corte. La Regione, prima governata da Enrico Rossi e ora passata sotto l’egida di Eugenio Giani, non vuole saperne di ridurre le partecipate: «Soltanto un quarto circa del totale delle partecipazioni dirette è stato ritenuto meritevole di dismissione» si legge nel documento. Inoltre «le razionalizzazioni operate sulle partecipazioni dirette che gli enti hanno deciso di mantenere sono pari soltanto all’8 per cento del totale». E che dire del Molise, che sul tema delle partecipate è stato fortemente bacchettato dalla magistratura contabile. Le verifiche hanno individuato «non solo la cronicizzazione di situazioni critiche rilevate negli anni, ma anche l’insorgere di nuove criticità».

Insomma, i problemi vengono aggiunti e non combattuti. La Regione Lazio di Nicola Zingaretti è invece alquanto attenta a remunerare bene i dirigenti. Scrive la Corte dei conti: «Criticità sono talvolta emerse per i compensi riconosciuti in favore degli organi di revisione delle Società regionali in house, attesa l’emersione della “prassi” di riconoscere loro un emolumento aggiuntivo per lo svolgimento dell’attività».

Dalle parti della Regione hanno subito promesso un impegno su questo fronte. Ma l’annotazione resta. Eccome.

Il quadro complessivo, insomma, non lascia spazio a interpretazioni equivoche. «Nei servizi pubblici locali meno di un quinto delle società controllate è in perdita (16,36 per cento), nei servizi strumentali quasi un terzo (27,73 per cento) presenta un risultato di esercizio negativo» sottolineano i giudici contabili. E l’abitudine a correre in soccorso alle società è dura a morire. «Gli enti tendono a “conservare” le partecipazioni detenute, senza alcun intervento di razionalizzazione, con percentuali sopra l’80 per cento».

A dire il vero, in questo caso, le Regioni sono meno sotto i riflettori. La tendenza, si legge nella relazione, «si riscontra diffusamente nei Comuni mentre le Province/Città metropolitane e Regioni/Province autonome hanno dimostrato condotte più attive». I numeri? I Comuni hanno scelto di mantenere le partecipazioni, con o senza interventi di razionalizzazione, nell’87,38 per cento dei casi. Una quota molto più alta rispetto al 59,48 per cento delle Regioni-Province autonome e al 67,52 delle Province-Città metropolitane.

Una parziale consolazione, ma che non intacca il tema principale: resta ancora molto da fare. Altrimenti non si spiega come «il 23 per cento delle 2.656 società a controllo pubblico» hanno «un risultato d’esercizio negativo che si attesta sul valore di 555 milioni di euro». Che gravano sulle tasche di tutti i contribuenti.

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