Mentre fronteggiamo la pandemia, in Africa altri virus continuano a colpire: Ebola, Zika, malaria… Sottovalutarli è un rischio mortale, avverte il virologo Aldo Morrone, che questi nemici li conosce bene.
Nelle zone più remote e povere del mondo si muore, ogni giorno, per virus o batteri più letali della pandemia che in cinque mesi ha messo in ginocchio il resto del pianeta. Ce lo ricorda Aldo Morrone, direttore scientifico dell’ISG San Gallicano di Roma, infettivologo ed esperto in malattie dermatologiche e tropicali. Da anni viaggia in Africa, dov’è coinvolto in molti progetti per contrastare infezioni mortali e formare medici locali. In quei luoghi dove oggi è arrivato anche il coronavirus (che però non ha ancora numeri esplosivi), i nemici di sempre si chiamano Ebola, Zika, lebbra, malaria. «La salute di un popolo dipende dalla salute dei popoli delle altre nazioni, anche di quelle che ci sembrano lontane» dice Morrone. «Lo pensavo quando iniziai ad andare in Africa 30 anni fa, per contrastare la lebbra in Eritrea, lo penso ancora oggi. Questa pandemia lo insegna: i virus non conoscono né confini né passaporti».
Lei che l’Africa più povera la conosce bene, come pensa evolverà laggiù l’epidemia da coronavirus?
Temo soprattutto che non si possa intervenire in maniera capillare. Che il Covid-19 si associ ad altre epidemie come Ebola e morbillo, più letali. Infine, se laggiù ci si ammala quando noi abbiamo meno paura, la popolazione africana è condannata. In Africa si fanno già pochissimi tamponi, meno dell’1 per cento. Non ci sono né reagenti né i kit per fare le analisi.
Che ricordo ha dei suoi primi viaggi in Africa?
La prima volta che ci sono andato decisi che non ci sarei tornato: ci sono luoghi, come il deserto della Dancalia, che d’estate arriva a 50 gradi. Una zona terribile, si passa da un’altitudine di 2.500 metri a depressioni di 150 metri sotto il livello del mare. Poi, però, la gravità della situazione sanitaria africana mi ha convinto a ripartire. C’erano focolai di infezioni da evitare, strutture da predisporre per impedire morti per noi occidentali «assurde». Oggi i motivi dei miei viaggi sono tanti: dall’organizzazione di strutture sanitarie dove prima non c’erano, alla formazione di personale medico locale, alla cura di malattie.
Quali, esattamente?
Senz’altro Ebola. Un virus terribile, provoca una febbre emorragica che non si arresta. Nella Repubblica Democratica del Congo nel 1995 c’è stata una prima epidemia, poi un’altra nel 2014 e nel 2018, che è arrivata anche in Europa. Ancora oggi nel Congo c’è una forte presenza di Ebola. Nei mesi in cui i Paesi occidentali lottavano contro il coronavirus, in Africa si sono avuti più di 3 mila casi di Ebola.
Perché di Ebola non si parla più, allora?
È un paradosso massmediologico: un’epidemia allontana l’altra. Così come la malaria. Quando è stata l’ultima volta che i media se ne sono occupati? Eppure ha un’incidenza di oltre 230 milioni di casi nel mondo, di cui oltre il 90 per cento in Africa. Per Ebola c’è un tentativo di vaccino abbastanza efficace, ma i vaccini funzionano se funzionano i sistemi sanitari e sociali di un territorio. Nel 2018 ci fu un’epidemia di questo virus in Sierra Leone, Guinea e Liberia, Paesi distrutti da guerre civili, colpi di Stato, privi di strutture sanitarie e sociali. Il problema non è se esiste un vaccino, ma come fare a somministrarlo alla popolazione. In Africa ci sono zone così inaccessibili che è impossibile portarlo alle persone, anche se è in corso un’epidemia. Da noi di morbillo, per esempio, si muore di rado. In Africa no.
Il vaccino anti-morbillo però c’è e funziona bene…
In Europa siamo molto fortunati ad averlo, nel resto del mondo il morbillo miete vittime tra bambini e adulti. Ha un R0, il «numero di riproduzione di base», molto alto, 18: un malato ne contagia altri 18. Nei piccoli villaggi africani, il rischio di morire di morbillo è altissimo. Per questo laggiù mi impegno tanto per vaccinare i bambini anche dove non ci sono le strutture.
Il virus Zika, invece, oggi è un problema per il Sud America, come ci è arrivato?
È un virus nato nella foresta di Zika, in Uganda, e noto sin dalla fine degli anni Quaranta, ma il focolaio restava circoscritto a quella zona. Viene trasmesso da zanzare infette del genere Aedes. Da qualche anno si è espanso in Brasile, probabilmente attraverso persone che vi erano giunte nel 2014 per i Campionati del mondo di calcio. E ha spaventato l’America fin quasi a bloccare le Olimpiadi.
Che danni provoca?
Causa gravi problemi neurologici. Nelle donne incinte porta alla nascita di bambini microcefali, ossia con uno sviluppo cerebrale incompleto.
Da noi non si è mai diffuso però.
Ma le zanzare Aedes, in particolare la zanzara tigre, si sono stabilite anche in Italia. Sono arrivate a Genova nel 1990 in un carico di copertoni, dove si riproducevano nell’acqua calda che vi ristagnava. Nel giro di due decenni si sono diffuse in tutto il Paese. Possono trasmettere malattie come Febbre gialla, dengue, chikungunya.
Lei citava anche la malaria, che a noi occidentali non fa più paura…
Ma provoca ancora molte vittime. Negli ultimi anni ho visto troppi bambini morire di malaria, alcuni mentre li avevo in braccio, e non mi va giù che questa malattia uccida i più deboli e i più poveri senza che nessuno faccia abbastanza. Sono stato anche a lungo in un lebbrosario, e una volta ci ho portato anche mio figlio, che oggi ha 31 anni. Volevo fargli capire l’importanza della vita e della salute. Allora era piccolo e si meravigliava di questi bambini senza dita o senza mani con cui giocava a pallone.
Ci saranno mai vaccini risolutivi per malaria, tubercolosi e altri virus?
Ne dubito. Sviluppare un vaccino costa milioni di dollari. Una casa farmaceutica li spende per svilupparne uno se poi ha la possibilità di venderlo a Paesi che lo possono pagare. Per Covid-19 stanno correndo tanto perché andrebbe a nazioni che ne acquisterebbero a palate pagando un prezzo concordato.
L’Africa avrà il vaccino contro il Covid-19?
E chi pagherà? L’Africa non ha nemmeno i farmaci di base per malattie come la poliomelite o il morbillo. Figuriamoci per il Covid-19.
