Mondiali Qatar 2022, incontri ravvicinati con il futuro
Courtesy of Qatar's Supreme Committee for Delivery & Legacy
Inchieste

Mondiali Qatar 2022, incontri ravvicinati con il futuro

Tra stadi smontabili e architetture fantascientifiche, tradizioni e molte contraddizioni, il Paese si prepara a ospitare tifosi in arrivo da tutto il pianeta. Viaggio nel cantiere di Doha, a un anno dal fischio d’inizio.

da Doha

A tratti sembra una Venezia in versione Las Vegas, con i condomini dalle facciate multicolore, i canali in miniatura e la copia, bruttina, di un Ponte di Rialto. Più in là ricorda Los Angeles, con le autostrade a connettere i quartieri, lo skyline notturno luccicante di grattacieli sempre accesi.

Scimmiotta un po’ Dubai, con i lungomari pedonali per gli espatriati americani ed europei, la parata sfarzosa di yacht e centri commerciali. Nel frattempo, cova manie architettoniche fantascientifiche: costruisce palazzi sbilenchi, irregolari, diagonali, in semicerchio verticale. Si lancia in avanti, eppure trattiene il suo passato beduino, tra le dune gonfie di sabbia del deserto e il Souq Waqif, reticolo di banchetti di spezie, chincaglierie plurime, abiti bianchi, veli neri, oasi per falchi e cammelli.

Il Qatar è inaspettato e non del tutto definibile come lo sono Mondiali che ospiterà tra circa un anno, nel tardo autunno, per quasi un mese: dal 21 novembre al 18 dicembre del 2022. I primi della storia in Medio Oriente e dalla geografia limitata, in scala ridotta: per coprire la massima distanza tra gli impianti basterà un’ora di viaggio, mentre i più vicini sono a cinque chilometri l’uno dall’altro. Significa che i tifosi più bulimici potranno vedere anche due gare al giorno. «Oppure tre, saltando il riscaldamento e qualche minuto di recupero» suggeriscono esultanti dall’organizzazione, che ha investito 6,5 miliardi di dollari per realizzare gli stadi e i campi d’allenamento per le squadre. Innescando un fermento edilizio che metterà a disposizione 130 mila stanze per oltre un milione di fan attesi da tutto il mondo. Doha, d’altronde, non richiede più di 4 ore di volo per 2 miliardi di persone e il suo già troppo brulicante aeroporto serve 140 destinazioni internazionali.

Non c’è niente di più efficace di un luogo comune per descrivere come appare la capitale oggi: è un cantiere operoso, diffuso, anzi ubiquo. Con vie sbarrate e deviazioni perenni, quartieri sventrati e rifatti da zero, sacrificando il fascino polveroso originale, le insegne ammaccate in arabo, i condizionatori immensi, che brontolanti domavano il caldo insensato dell’estate o smorzavano l’afa diurna dell’inverno. Oggi i bocchettoni sono integrati nelle piazze e negli stadi (vedi l'intervista sotto), quelli sì già tutti pronti.

I cancelli per le tribune si varcano se si è ampiamente autorizzati, bisogna superare vari controlli di sicurezza, lasciare documenti e numero di telefono all’ingresso. Si viene scortati tra gli spogliatoi, che hanno accanto la vasca idromassaggio e le macchine per la crioterapia, una cura del gelo, toccasana per i muscoli; si prende l’ascensore per le aree vip, persino modeste rispetto a quelle riservate ai «Vvip», le persone molto, molto importanti. A cominciare dall’emiro (che decolla e atterra dal suo aeroporto privato), la sua famiglia e i loro tanti ospiti, poi i massimi dirigenti della Fifa e altri irraggiungibili innominabili. Avranno chef dedicati, attenzioni assortite, ingressi esclusivi per le loro auto. Perché, complici i prezzi esigui della benzina e la ricchezza diffusa nell’élite della popolazione, i qatarini amano muoversi su vetture di taglia extra large anche per percorsi minimi.

I locali, discendenti dei pescatori di perle, baciati dalla fortuna doppia dei giacimenti di petrolio e delle scorte generose di gas naturale, sono in netta minoranza rispetto ai due milioni di migranti che rappresentano il reale, essenziale, motore produttivo del Qatar. Arrivano da India, Pakistan, Bangladesh o varie regioni dell’Africa, sono i corpi e le braccia che hanno tirato su le principali infrastrutture per la grande manifestazione calcistica. Solo l’anno scorso, in tutto il Paese, ne sono morti 50 sul lavoro, oltre 500 sono stati seriamente feriti, 37.600 in modo leggero, stando agli ultimi dati ufficiali delle Nazioni Unite. In passato, in tantissimi erano sfruttati con stipendi miseri, costretti a vivere in stanze affollate, a dividersi pochi bagni dalle condizioni igieniche relative.

Il Governo assicura di aver voltato pagina, introducendo un salario minimo, pensionando l’odioso sistema della kafala, che consentiva alle imprese di confiscare il passaporto dei dipendenti, diventando, di fatto, i padroni delle loro vite. Varie inchieste giornalistiche uscite anche nei giorni scorsi raccontano che non è finita, da Doha rispondono che occorre tempo, però il cambiamento è in corso. Insistono che il Paese «è stato trattato ingiustamente», per citare le parole di Nasser Al-Khater, il Ceo dei Mondiali del 2022. Che aggiunge: «C’è del lavoro da fare, ci sono stati comunque molti progressi».

Sui diritti umani, il Qatar è un cantiere aperto. Come per l’estetica in divenire dei suoi quartieri o l’ossequio al capitalismo occidentale, demolitore delle tradizioni, cemento di valori di contemporaneità o almeno di fragili, provvisori compromessi. Durante i Mondiali si potrà bere alcol in alcune aree specifiche. A oggi, vino, birra e liquori sono abbastanza introvabili in città, salvo pochi alberghi di note catene internazionali e altre sparute eccezioni. I viaggiatori omosessuali saranno i benvenuti, sebbene essere gay sia un reato. La legge non viene mai applicata, fonti locali assicurano che bastano la discrezione per evitare fastidi e sanzioni, ma sulla carta la norma esiste e resiste. Come la mancanza di una concreta libertà politica e di una trasversale rappresentatività elettorale: alle prime consultazioni della storia del Paese, tenutesi lo scorso ottobre, nessuna donna è stata eletta; giusto i qatarini hanno potuto votare per nominare i due terzi di un organo dal raggio d’azione modesto, in quanto lascia all’emiro il diritto di veto.

Al di là di come saranno i Mondiali, sarà interessante capire quale eredità lasceranno. Di sicuro non lo stadio 974 (l’equivalente del prefisso internazionale del Paese), un puzzle di altrettanti container che verranno recuperati dopo le competizioni. «Potranno essere utilizzati altrove per strutture simili con la stessa capienza o dalla capacità ridotta. Per fare da uffici nei cantieri oppure come bagni trasportabili» elenca a PanoramaMohamed Al-Aatwan, il project manager dell’impianto.

Doha non vuole scivolare sull’obiezione più banale ma calzante, ovvero che dopo il fischio finale le resteranno soltanto cattedrali nel deserto. Donerà 170 mila sedili alle nazioni che hanno carenza di infrastrutture sportive: «Ridurremo la capacità degli stadi, smantelleremo completamente gli ultimi anelli, realizzati con un materiale smontabile. Trasformeremo quegli spazi in hotel, apriremo servizi a disposizione della comunità, che potranno essere usati tutto l’anno».

Oltre a tentare di imparare dai suoi errori, il Qatar vuole fare scuola nella gestione di un evento globale. Convincere un mondo diffidente che c’è altro, oltre i pregiudizi.

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«Si starà al fresco anche al caldo»

«Guardi lei stesso: dietro ogni sedile delle tribune, c’è un piccolo diffusore. È stato disegnato in modo che il refrigerio non si limiti alle gambe, ma crei e mantenga una bolla attorno a ogni spettatore». Lo stesso avviene in campo per gli atleti, grazie a grandi bocchettoni lungo il terreno di gioco. A spiegarlo a Panorama è Saud Abdulaziz Abdul Ghani (foto sopra), professore d’ingegneria meccanica all’università del Qatar, per tutti il «Dottor Cool»: il dottor fresco. Ha perfezionato il metodo rivoluzionario per portare l’aria condizionata anche all’aperto: «Bastano dieci minuti per raggiungere una temperatura di circa 21-22 gradi». Il sistema funziona ovunque, non solo negli stadi. E verrà regalato al mondo: «Non lo abbiamo brevettato, sarà una delle eredità dei Mondiali. Pensiamo torni utile ovunque, ora che il Covid spinge a vivere parecchio all’esterno». Oltre a essere raffreddata, l’aria viene filtrata e riciclata: «Sarà la più pulita di tutta Doha». E la più sostenibile: «La gente pensa che il fatto di avere molto gas a disposizione ci autorizzi a sprecare energia. Noi la produciamo nel deserto, grazie ai pannelli solari. Sarà un Mondiale a emissioni zero».

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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