Home » L’invasione degli alieni verdi

L’invasione degli alieni verdi

L’invasione degli alieni verdi

Impossibile non notarli. Ormai i pappagallini color smeraldo hanno conquistato parchi, città, campagne. Scacciano gli altri uccelli dai nidi e fanno razzia di frutti. Combatterli però è impopolare: protetti dal loro charme esotico, la gente ama vederseli intorno…


Alla fine, anche le cornacchie si sono rassegnate. I primi tempi inseguivano con protervia militare i voli in solitaria dei pappagallini che, schiamazzando allarmati, scappavano a zig zag. Al parco Lambro, i milanesi che assistevano a quel bullismo alato, tifavano, ovviamente, per i batuffoli indifesi. Oggi, gli ex predatori del verde cittadino si immergono nei cestini della spazzatura (dopo il lockdown, anche per loro sono tornati i rifornimenti) assuefatti agli stormi di parrocchetti che, sempre più numerosi, planano e giravoltano con allegra noncuranza. Belli, sono belli: quando decidono di lasciare un albero dove vivono tutti assieme come in un condominio, lo spettacolo è notevole. Schegge verdi di esotica graziosità. Moltiplicate però questa scena per innumerevoli volte, in innumerevoli parchi, campi, prati, città, Paesi del mondo e avrete un’idea del problema. Siamo invasi dai pappagallini color smeraldo. Che a noi cittadini alienati dal lockdown appena concluso farà anche piacere vedere, vuoi mettere con le sinistre cornacchie e gli insopportablli piccioni? Ma contadini e coltivatori si arrabbiano, e anche gli ornitologi scuotono la testa. Non dovrebbero essere qui, non così tanti, non così insistenti.

Dalla prima gabbietta alla conquista del pianeta. L’allarme viene da 35 Paesi europei (compresi quelli del Nord come Inghilterra, Olanda, Belgio), dagli Stati Uniti (persino in Nord Dakota, come segnala il National Wildlife Research Center), da Israele, dall’Azerbaijan. Li hanno avvistati, a quanto pare, anche alle pendici dell’Himalaya. E che male c’è? Ecco, qualcuno, anzi più di uno. I piccoli alieni (e il riscaldamento globale ne agevola i traslochi) cominciano a danneggiare seriamente le coltivazioni e i frutteti, e voraci di frutta come sono devastano campi di mandorle, albicocche, ciliegie. Piombano dall’alto come piccoli sputnik e divorano tutto. Coldiretti l’anno scorso ha lanciato l’allarme proponendo di prenderli a cannonate, nel senso di far risuonare colpi di cannone per spaventarli. Sempre ammesso che si spaventino.

«Stanno invadendo tutta Europa: il parrocchetto dal collare, quello che troviamo nei nostri parchi, originario dall’India, e il parrocchetto monaco, più numeroso da Roma in giù, che viene dal Sud America» dice Emiliano Mori, socio del Ciso, Centro italiano studi ornitologici, e ricercatore all’Università di Siena. «Sono specie molto “plastiche”, nel senso che si adattano a ogni clima, persino alle pendici delle montagne. E se è vero che i guai maggiori li fanno nei campi, proprio l’altro giorno parlavo con un coltivatore pugliese che si lamentava perché tutte le mandorle del suo frutteto erano finite, anche negli ambienti urbani danni ne fanno, nei confronti di altre specie di cui invadono l’ecosistema».

La cosa potrà non impensierirci troppo, alle prese come siamo con ben altri affanni, ma se foste un’upupa, un picchio muratore, uno storno, un assiolo (un microgufo che si è guadagnato una parte in Harry Potter) sareste in evidente difficoltà: in primavera iniziate a cercarvi una buona cavità negli alberi o nelle vecchie case, e le trovate occupate dai pappagallini «abusivi», che il rifugio se lo fanno già a febbraio; e, se pure arrivano dopo, scacciano i legittimi proprietari.

«A Siviglia, con questo sistema, hanno depauperato l’habitat di un pipistrello rarissimo, la nottola gigante, e i pipistrelli sono tutti specie protetta, utilissimi per la lotta alle zanzare e agli insetti nocivi per le coltivazioni» dice Mori. Non bastasse, portano anche, potenzialmente, parassiti che trasmettono alle altre specie e dermatiti che possono colpire anche noi, oltre a una malattia, sia pure abbastanza rara, causata da un batterio, la psittacosi.

Ma come ci sono arrivati questi sgargianti invasori alle nostre latitudini? Le leggende abbondano, come racconta il New Scientist. Si dice una colonia scappò dal set La Regina d’Africa (celebre film con Katharine Hepburn del 1951) quando la troupe si trasferì, per un po’, a Londra, ora piena di uccellini schiamazzanti. Un’altra voce vuole che il musicista Jimi Hendrix ne liberò una coppia a Carnaby Street, sempre a Londra, nel 1968. In Belgio, così si dice, la popolazione alata prese il via nel 1974 quando il guardiano di uno zoo decise di liberarli, forse per rallegrare i cieli di Bruxelles.

Per quanto riguarda l’Italia, si parla di un camion che una decina di anni fa li stava trasportando sulla Statale 16 Adriatica quando per un incidente si rovesciò, alcune gabbie finirono per strada e i pappagallini si guadagnarono la libertà, moltiplicandosi senza ritegno.

Dalle gabbie, in ogni caso, sono usciti, sia pure non da una sola e non nello stesso momento. «Derivano tutti, ovunque, da immissioni accidentali o involontarie» conferma Mario Muzzatti, ornitologo che lavora all’oasi naturalistica La Valle a San Savino (in Umbria). «Sia il pappagallo con il collare sia quello monaco sono specie ornamentali molto richieste, oggi come in passato. Sono fuggiti o sono stati rilasciati già centinaia di anni fa, e nelle città trovano da mangiare tutto l’anno, la gente li foraggia perché sono carini». A Milano, pare sia stata avvistata una terza specie, l’amazzone dalla fronte blu. Parliamo, per ora, di sette-otto esemplari. Ma diamogli tempo…

Adesso, in ogni caso, che si può fare? C’è un modo per contenerli? Alle Seychelles non ci hanno girato intorno: nel 2017 hanno sparato all’ultimo esemplare di una colonia di 500 e da allora non se ne sono visti più. Anche in Israele non si formalizzano: «Sparano e via» conferma Mori. «Da noi sarebbe inaccettabile. Dare la pillola per sterilizzarli non so quanto sia efficace e semplice, temo poco. Altrove hanno provato a mettere olio di oliva nelle cavità, le uova così oliate soffocano. L’altra possibilità è usare trappole e catturarli. Ma i gruppi animalisti potrebbero non reagire bene. E negli ambienti urbani, la gente li accetta volentieri. Per ora, se non fanno troppi danni, ce li teniamo».

In fondo, sapere che nei cavi degli alberi ci sono i pappagallini, per noi cittadini ignoranti degli equilibri della natura poco cambia. Speriamo che i tronchi abbiano buchi a sufficienza per accogliere tutti. Questo vale, però, per i parrocchetti con il collare. I pappagallini monaco hanno altre abitudini: «Nidificano sugli alberi dove costruiscono nidi collettivi giganteschi, pesanti anche quintali» racconta Muzzatti. «Spesso facendo franare interi tronchi. A volte può cadere l’intero albero».

Leggiamo sul web che questi nidi di comunità sono vere e proprie case: hanno «un ingresso tubolare largo circa 12 centimetri, un vano di soggiorno e poi la camera di incubazione». Rifugi talmente grandi da essere percorsi da tunnel, dove talvolta si sistemano comodamente persino gli opossum.

Un condominio di pennuti e marsupiali pesante due quintali che ci cade in testa è un’esperienza che non vogliamo neppure immaginare. Teniamoci i pappagallini, visto che ormai sono qui, ma se sentiamo un cigolio sopra la testa, affrettiamo il passo. Non si sa mai.

© Riproduzione Riservata