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Gli errori fatali dell’intelligence israeliana

Gli errori fatali dell’intelligence israeliana

Tutta la potenza di fuoco e di intelligence di Israele non l’ha messa al riparo dal devastante attacco dello scorso 7 ottobre. Perché una serie di valutazioni sbagliate, la tragica noncuranza degli allarmi ricevuti, le scelte strategiche rivelatesi fallimentari, insieme a una generale «sordità» delle alte cariche nazionali, hanno reso quella macchina perfetta, perfettamente inutile.


Gli israeliani, più o meno un anno fa, avevano deciso di tapparsi le orecchie. È stata quella una della principali cause del disastro del 7 ottobre 2023. Perché è stato grazie alla sordità di Tel Aviv se, all’alba di quel sabato maledetto, i terroristi di Hamas hanno potuto abbattere impunemente le recinzioni e le difese piazzate attorno alla Striscia di Gaza, e conquistare caserme e casematte, penetrare nei kibbutz, trucidare orribilmente 1.460 abitanti e rapirne altri 250. Tutto è avvenuto, in gran parte, per una scelta di Unit 8200, la sezione dell’intelligence militare israeliana che dal 1952 ha il compito di monitorare le comunicazioni di ogni potenziale nemico. In tutto il mondo, Unit 8200 viene riconosciuta come l’insuperabile élite tecnica nella cyber guerra, e in Israele è considerata la punta di lancia dei servizi segreti. È una fama meritata. Era stata proprio Unit 8200 a intercettare re Hussein di Giordania e il presidente egiziano Jamal Nasser, nel giugno 1967, e a capire dalle loro telefonate in codice che stava per partire l’attacco che avrebbe scatenato la Guerra dei 6 giorni. E alla fine del settembre 1973, pochi giorni prima della Guerra del Kippur, era stata sempre Unit 8200 a cogliere indizi dell’imminente aggressione di Egitto e Siria.

Nel 1967 e nel 1973 l’allarme era partito, ma era stato ignorato dai comandi militari e politici d’Israele. Stavolta, se possibile, è andata ancora peggio. Perché a metà del 2022 Unit 8200 ha preso una decisione che forse è stata dettata da un taglio di bilancio, o forse dai contrasti con il potere politico retto da Benjamin Netanyahu, ma comunque si è rivelata un errore fatale: l’Unità ha smesso d’intercettare le migliaia di radio portatili attive nella Striscia di Gaza. Qualcuno, dentro o fuori il quartier generale di Unit 8200, aveva ritenuto quel servizio «eccessivamente costoso e poco fruttifero». Qualcuno aveva deciso che troppi erano gli apparecchi da tenere sotto controllo, e troppo pochi i segnali «utili», quelli che davvero consentivano di ascoltare la voce dei capi e dei miliziani di Hamas.

Il problema è che, nei lunghi mesi trascorsi a organizzare l’attacco e poi la stessa mattina del 7 ottobre, Hamas ha utilizzato esclusivamente radio a bassa frequenza e walkie-talkie. Così, per tutto quel tempo, Unit 8200 è andata a pesca d’informazioni nel mare sbagliato. I suoi agenti si sono concentrati su altri mezzi di comunicazione, dai cellulari ai social network. E non hanno colto particolari segnali di pericolo. Malgrado l’errore, qualche anomalia era stata comunque percepita, nella notte tra il 6 e il 7 ottobre, tant’è vero che in quelle ore lo Shin Bet, il servizio segreto interno israeliano, aveva trasmesso ai vertici militari i segnali di un’attività insolitamente vivace di Hamas. Ma i capi dell’esercito e della sicurezza nazionale, convinti che i terroristi insediati a Gaza e dintorni non avessero alcun interesse a fomentare un vero conflitto, s’erano convinti si trattasse al massimo di un’intensa esercitazione notturna. Un altro errore fatale.

Negli ultimi due anni, del resto, Hamas ha fatto di tutto perché Tel Aviv derubricasse lo status di «minaccia prioritaria» inciso a lettere di fuoco sulla Striscia di Gaza. Le Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato dell’organizzazione terroristica, avevano ridotto al minimo i lanci di missili da quell’area. A Tel Aviv si erano così convinti che Hamas avesse spostato le sue azioni di violenza in Cisgiordania, anche allo scopo di danneggiare i concorrenti politici «moderati» dell’Autorità nazionale palestinese. Dal maggio 2021, poi, la valutazione ufficiale dell’intelligence militare israeliana e del Consiglio di sicurezza nazionale era che Hamas non avesse interesse a lanciare un attacco da Gaza per «la paura che questo potesse provocare una risposta devastante». Eppure dalla scorsa estate (vedere il riquadro a sinistra) era emersa con forza l’ipotesi opposta: e cioè che Hamas, spalleggiata dall’Iran, stesse organizzando un attacco clamoroso e una strage così terribile da obbligare Israele a una reazione durissima, una vera e propria guerra. Il conflitto, nei piani dei vertici jihadisti, avrebbe avuto il duplice obiettivo di bloccare i negoziati di pace tra Tel Aviv e l’Arabia Saudita, e di scatenare una nuova «guerra santa» su scala globale.

Negli ultimi tempi, gli alti comandi e i politici d’Israele avevano fatto un altro fatale errore di valutazione. Si erano convinti che dalla Striscia di Gaza un attacco potesse essere tentato non via terra ma dall’aria, con il lancio di droni suicidi, forniti ad Hamas dal regime degli ayatollah iraniani. E un mese prima del 7 ottobre, Hamas aveva rafforzato l’ipotesi diffondendo un video di propaganda che aveva generato grande inquietudine. Quel filmato, che è ancora online, mostra gli effetti letali di una decina di droni ad ala lunga, lanciati nel deserto da alcuni uomini incappucciati. Sui velivoli campeggia la scritta «Zouari» in onore di Mohamed Zouari, un ingegnere aerospaziale tunisino che lavorava per la Jihad e che nel 2016 è stato ucciso dal Mossad. Nel video si vedono i velivoli abbattersi sull’obiettivo, un finto avamposto israeliano circondato da bandiere con la stella di Davide e da sagome in cartone raffiguranti soldati. Alla fine del filmato, i danni provocati dai droni «Zouari» sono evidenti e ingenti.

Eppure, il 7 ottobre i terroristi non hanno fatto uso di bombe volanti. L’8 ottobre, all’inizio della immediata controffensiva israeliana sulla Striscia di Gaza, si è pensato che le Brigate Al-Qassam le avessero conservate per frenarne l’avanzata, ma non è accaduto. L’ipotesi alternativa, che si rafforza di giorno in giorno, è che i droni «Zouari» – assieme al video – siano serviti soltanto a confondere le idee al nemico. Il punto è che la complessa strategia di Hamas ha avuto successo. Da molti mesi gli occhi e le orecchie d’Israele avevano smesso di puntare su Gaza, e si erano rivolti a Nord e a Est: verso la Cisgiordania e il confine con il Libano, a protezione dei coloni minacciati dai miliziani di Hezbollah. Tant’è vero che il governo di Netanyahu aveva ordinato all’esercito di trasferirvi oltre due terzi degli effettivi.

Oggi i servizi segreti israeliani annunciano dolorose indagini interne. Ma è evidente che le principali responsabilità del disastro del 7 ottobre cadono sui vertici politici, da tempo in rotta di collisione con i supremi comandi militari. Il 24 luglio due generali di Tsahal, l’esercito israeliano, avevano in programma un’audizione alla Knesset e avevano preparato un discorso pieno di allarmi. L’incontro, purtroppo, non è avvenuto perché quel giorno il Parlamento israeliano era in subbuglio per un voto sulla controversa riforma del sistema giudiziario, voluta da Netanyahu. Pochi giorno dopo anche il generale Herzi Halevi, capo di Stato maggiore, aveva chiesto d’incontrare il premier. Non è mai stato ricevuto.

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