Lauree contraffatte, licenze di studio fasulle, attestati senza valore. Dilagano i «diplomifici» con fatturati miliardari, come dimostrano i controlli di Cimea (una task force incaricata dal ministero dell’Università e ricerca): il 12 per cento dei titoli esaminati risulta carta straccia.
«All’Università di Ferrara si ottiene il titolo con due prosciutti». La maldicenza di quelli di Ravenna che nel Quattrocento mandavano per campanilismo i rampolli a studiare a Bologna ci racconta qualcosa di vecchio e nuovissimo insieme: il sospetto che il «30 con frode» esistesse già nel Medioevo. Storia antica, effetti moderni a ogni latitudine. Senza riesumare la chiusura di 17 università in Albania (compresa la mitica Kristal dove si sarebbe laureato Renzo Bossi detto il Trota), un mese fa la procura di Vallo di Lucania ha chiesto il processo per 373 persone accusate di corruzione in concorso, falso ideologico e truffa per diplomi con firme false. Pochi giorni dopo, negli Stati Uniti è stata smantellata una rete di diplomifici che fatturavano miliardi di dollari nel vendere titoli di abilitazione di infermieri, tutti fasulli.
Il fenomeno è dilagante, il pezzo di carta è sempre più indispensabile, le scelte familiari passano attraverso il web e i ragazzi sono esposti alla trappola online dei titoli contraffatti. «Così, più che denunciare, diventa una missione fondamentale proteggere i titoli genuini e quindi gli studenti che chiedono un’istruzione vera, approfondita, al di là delle furberie». A parlare è Luca Lantero, direttore di Cimea (Centro di informazione sulla mobilità e le equivalenze accademiche), «ghostbuster» numero uno di diplomi e lauree fantasma a livello internazionale. È alla guida di una task force di 50 giovani esperti che si occupano con mandato governativo – e seguendo i dettami della Convenzione di Lisbona – della valutazione e della comparazione dei titoli di studio esteri, più informazione e consulenza nell’ambito dell’istruzione e della formazione superiore.
«Con l’uso massiccio delle tecnologie la contraffazione è aumentata, facilitata dalla rete» spiega Lantero. «Si è passati dall’8-9 per cento di falsificazioni al 12 per cento, sono state affinate le tecniche per aggirare le normative e rendere più efficaci i messaggi fraudolenti. È importante che le famiglie siano consapevoli, nel momento della scelta, che dietro i diplomifici spesso c’è la malavita. E la pratica serve a sponsorizzarla. In Norvegia, Anders Breivik finanziò la strage di Utoya aprendo università online». Cimea esiste dal 1984, è nata tre anni prima dell’Erasmus, compara e certifica titoli secondo protocolli studiati da istituzioni sovranazionali (come il Consiglio d’Europa) e l’anno scorso ha stilato 60 mila valutazioni in 35 competenze linguistiche.
La buona notizia: l’Italia è un Paese virtuoso con Francia, Olanda, Norvegia e Svezia. Quella cattiva: la vicina Svizzera è un «bad country», con un proliferare continuo di istituti fasulli perché in quel sistema manca la protezione legislativa delle stesse istituzioni e del titolo di studio. Il rischio di diplomifici con la bandiera rossocrociata è alto, anche se il record mondiale della contraffazione appartiene agli Stati Uniti, dove non esiste il valore legale del titolo di studio. «Negli Usa il fenomeno è radicato per un motivo storico» sottolinea Lantero. «Dopo la Seconda guerra mondiale c’era il problema del reinserimento dei reduci. Allora furono messe in atto due operazioni: la scolarizzazione di massa con la creazione delle High School, autostrade verso un diploma purchessia, e l’apertura di istituti non accreditati per sfornare certificazioni che aprissero le porte al mondo del lavoro».
L’indagine dei cacciatori di frodi porta alla luce situazioni paradossali come quella di Seborga, il paese della Liguria che volle farsi principato. Già 20 anni fa il Dipartimento di Stato americano chiedeva a Cimea di approfondire casi di privati o enti che mostravano diplomi e titoli universitari riconosciuti da Seborga, dove c’è solo una scuola elementare e l’indirizzo di immaginifici istituti porta davanti a una cantina. Siamo ai marchi contraffatti con l’uso involontario del nome del paese, all’University sounding comparabile al Parmesan, all’Addas, al capo cinese Dolce e Banana: la Standford di Seborga emette Master e Phd.
Per non finire in trappola, perdere denaro e avere in mano solo carta straccia, è bene seguire le cinque «golden rules» scolpite nella pietra da Cimea, grazie alle quali suddividere gli istituti seri da quelli del «30 con frode». 1) Stai sul pezzo prima di scegliere, informati sulla qualifica rilasciata (accademica o professionale), sui crediti e i diritti accademici garantiti. 2) Cerca il meglio: consulta il sito Universitaly. Se un’istituzione ti fa credere che è possibile ottenere un titolo di studio senza sforzo, soltanto pagando di più, c’è qualcosa che non va. 3) I sistemi all’estero variano da quelli italiani, fondamentale informarsi attraverso i centri Enic-Naric del proprio Paese. 4) Controlla l’accreditamento dell’istituzione e non temere di fare domande. 5) Sappi che sei anche tu parte della comunità accademica. A questo punto le garanzie aumentano ma secondo Lantero nessuno può definirsi blindato al 100 per cento. «Perché sono arrivati a falsificare anche i nostri attestati». n
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