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Vino al fondo della bottiglia

Vino al fondo della bottiglia

Salta per il secondo anno consecutivo la tradizionale edizione di Vinitaly. Se ne svolgerà una con formula «mini», aperta ai soli operatori. Lo stop di ristoranti ed enoteche ha messo in ginocchio il settore che vale il primato mondiale dell’Italia e 13 miliardi di fatturato, mentre l’Europa lo attacca.


Ci sono voluti 25 secoli, una pandemia, gli egoismi europei, la burocrazia, ma ci siamo riusciti a smentire Aristofane che scriveva: «Bevendo gli uomini migliorano: fanno buoni affari, vincono le cause, son felici e sostengono gli amici». Il vino italiano, il più importante al mondo per quantità, export e qualità media – 46 milioni di ettolitri, 13 miliardi di euro di fatturato diretto di cui 6,3 dall’export che con l’indotto complessivo supera i 40 miliardi, 1,5 milioni di posti di lavoro, 6.500 aziende imbottigliatrici – vive la più profonda delle sue crisi.

Neppure con lo scandalo del metanolo (1986, 13 morti per il vino piemontese contraffatto) da cui si risollevò cambiando criteri produttivi e puntando sulla qualità, era precipitato così in fondo. Ed è carta velina la protezione dei luoghi comuni; sostenibilità, resilienza, biologico, vegano. Il mercato è cambiando: comprando solo online o nei supermercati i consumatori hanno capito che si può bere bene a prezzi contenuti. Il vino però non se n’è ancora reso conto.

La prova? I fatturati dei maggiori siti di vendita che Denis Pantini con Winemonitor di Nomisma ha analizzato. «Hanno fatto il +102 per cento» dice il ricercatore bolognese. «L’86 per cento di questo mercato è costituito dai siti specializzati, ma è pur vero che per ogni 16 bottiglie vendute al supermercato se ne vende una sul web». E lo scontrino medio si è dimezzato: dunque più volumi, ma meno fatturato.

All’annuncio che il Vinitaly salta anche quest’anno, però, il coro degli emuli di Ettore Petrolini è stato nutrito. Tutti a intonare «Son contento di morire, ma mi dispiace» per dirsi contriti del salone mancato e spostare più in là i conti con la realtà. Il direttore generale di Veronafiere Giovanni Mantovani ha provato in tutti i modi a salvare la più imponente e caotica rassegna mondiale sul vino, già saltata lo scorso anno. Organizza una rassegna «b2b» (cioè solo per professionisti) con i corridoi sanitari per portare a Verona gli operatori.

Si salva anche Opera Wines, 19 e 20 giugno, in collaborazione con la rivista americana Wine Spectator per raccontare – non si capisce bene a chi – le 100 migliori cantine italiane. Ma bisogna essere resilienti ed ecco la «special edition» a porte chiuse dal 17 al 19 ottobre per fare il consuntivo delle missioni all’estero, a partire dalla Cina che ci compra vino per 101 milioni di euro; lì abbiamo perso il 28 per cento del fatturato ed è meno del 4 nell’export italiano, ma ci andiamo con la carovana e apriamo il cordone sanitario per portare i cinesi in gita a Verona.

Il neoministro agricolo Stefano Patuanelli sostiene Vinitaly (sarebbe come parlar male di Garibaldi) poi spiega che l’Italia e la Spagna a Bruxelles provano a chiedere sostegni. Ma in Europa la faccenda è così: si vuole liberalizzare i vini senza alcol per fare un piacere ai birrai belgi, olandesi e tedeschi: fra un anno si vuole imporre di scrivere sulle bottiglie «nuoce alla salute» perché il vino è stato inserito nelle bevande sospette cancerogene (la birra, pure alcolica, no); per lo stesso motivo si azzerano i contenuti alla promozione ed è stato rinnovato il regime delle quote (niente nuovi vigneti) fino al 2045. Così Ernesto Abbona, presidente di Unione italiana vini, si preoccupa per il Vinitaly, ma fa sapere che c’è altro con cui fare i conti: «Il mercato interno nel 2020 ha perso un quarto del valore, e gli ordini globali del settore “horeca” internazionale hanno accusato una contrazione di oltre il 50 per cento. Il vino italiano ha bisogno di ripartire dal business».

All’appello mancano sul mercato interno tre miliardi di euro di fatturato (il 45 per cento). Non è da meno Sandro Boscaini, presidente di Federvini e patron della Masi. Mister Amarone è in allarme: «Serve una task force in Italia e in Europa per salvaguardare il comparto dell’ospitalità; i numeri sono impietosi: il consuntivo 2020 dice che abbiamo perso il 37 per cento dei vini e il 44 per cento degli spiriti, nei primi tre mesi di quest’anno il crollo è del 26 per i vini e del 38 per gli spiriti. Se continuano le chiusure non c’è scampo. Ammesso che si riaprano ristoranti, bar ed enoteche prima dell’estate, torneremo a livelli pre pandemia solo alla fine del 2021. All’estero stimiamo una perdita di 2,2 miliardi di euro nel 2020, già 400 milioni quest’anno ».

Mosè Ambrosi, della cantina emergente marchigiana Fontezoppa, dice: «L’unico vantaggio è che quel poco che vendiamo ora lo pagano alla consegna. Con un nostro bianco di nicchia, la Riserva dell’Asola di Ribona, abbiamo avuto un punteggio stratosferico dal maggior critico mondiale. Gli americani ci chiedono il vino, ma vogliono pagarlo la metà».

Marco Caprai – la cantina di Montefalco compie quest’anno mezzo secolo di attività – che ha messo in commercio il suo super Sagrantino dedicato a Dante, aggiunge: «Non si può reggere il mercato così se continuano le chiusure. Il danno è soprattutto per i vini di fascia alta, le piccole cantine sono in difficoltà, sostegni non ne abbiamo avuti. La luce, ammesso che si riaprano ristoranti ed enoteche, non la vedremo prima di metà del 2023».

Come ogni crisi, anche questa cambia i connotati del settore. Il colpo lo ha messo a segno Piero Antinori, il re del vino di altissima qualità, che ha acquisto una della cantine simbolo del Collio: la Jermann. Per capire la dimensione, Antinori fattura 220 milioni di euro (ne ha persi 20 in un anno, segno che i vini di lusso soffrono senza horeca), la cantina friulana 14 milioni. Albiera Antinori, a.d. del gruppo, spiega: «Di solito, a parte la Prunotto in Piemonte, non acquistiamo aziende, preferiamo espanderci costruendo da zero». Ma Antinori ha deciso, come altri grandi produttori, di reagire alla crisi rilanciando: quest’anno saranno completate le cantine di Guado al Tasso e Matarocchio a Bolgheri e di Pian delle Vigne a Montalcino. Anche perché lo shopping degli stranieri è ripreso: vengono in Italia in cerca di cantine di pregio in svendita. A smentire Aristofane.

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