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Rapporto Usa: «Il Covid è uscito dal laboratorio»

Rapporto Usa: «Il Covid è uscito dal laboratorio»

Un rapporto dei deputati repubblicani sostiene che il Covid-19 sarebbe fuoriuscito dal laboratorio di Wuhan. A finire nel mirino anche lo zoologo Peter Daszak, accusato di aver favorito la propaganda cinese.


La questione della nascita del Covid-19 è tornata sotto i riflettori negli Stati Uniti. I deputati repubblicani della Commissione esteri della Camera dei Rappresentanti hanno pubblicato ieri un aggiornamento del loro rapporto sulle origini del virus. Un aggiornamento che presenta delle conclusioni significativamente inquietanti.

Non soltanto, secondo il documento, sarebbe ormai certo che il Covid-19 sia fuoriuscito dal laboratorio di Wuhan. Ma la stessa epidemia sarebbe in realtà scoppiata molto prima del suo inizio ufficiale. «Crediamo che adesso sia ora di liquidare completamente il wet market come fonte dell’epidemia» si legge nel dossier. «Crediamo anche che la preponderanza delle prove dimostri che il virus sia uscito dall’Istituto di virologia di Wuhan e che ciò sia avvenuto in un momento antecedente al 12 settembre 2019». Insomma, l’origine del Covid-19 andrebbe retrodatata addirittura all’estate del 2019: una convinzione che i deputati repubblicani sostengono attraverso una serie di elementi.

In primo luogo, puntano il dito contro il fatto che, nella notte del 12 settembre 2019, venne improvvisamente rimosso «senza una spiegazione» il database dell’Istituto di virologia di Wuhan che includeva sequenze e campioni di virus. «Il database conteneva» sostiene il dossier, «più di 22.000 voci costituite da campioni e dati patogeni raccolti da pipistrelli e topi». In secondo luogo, il dossier sostiene che «atleti ai Giochi mondiali militari tenutisi a Wuhan nell’ottobre 2019 si sono ammalati di sintomi simili al Covid-19 sia mentre erano a Wuhan sia poco dopo essere tornati nei loro Paesi d’origine». In terzo luogo, il rapporto riferisce di «immagini satellitari di Wuhan a settembre e ottobre 2019 che hanno mostrato un significativo aumento del numero di persone negli ospedali locali che circondano la sede dell’Istituto di virologia di Wuhan, insieme a un numero insolitamente elevato di pazienti con sintomi simili al Covid-19».

Un ulteriore elemento risiede poi nel fatto che, già sul finire del 2019 (e non a inizio 2020 come ufficialmente riportato), fu probabilmente chiamata a dirigere il laboratorio Chen Wei: maggiore generale dell’Esercito popolare di liberazione ed esperta di armi chimiche. Il rapporto dei repubblicani accende inoltre i riflettori su un fattore piuttosto strano: il 31 luglio 2019 fu pubblicato un bando per la ristrutturazione del sistema di trattamento dei rifiuti pericolosi del Wuhan National Biosafety Laboratory (un complesso interno all’Istituto di virologia di Wuhan): l’aspetto bizzarro risiede nel fatto che, secondo il rapporto, quel sistema era in funzione da neppure due anni. Un altro bando per ristrutturare i sistemi di disinfezione dell’aria fu inoltre pubblicato il 14 agosto 2019.

Ma il rapporto dei repubblicani non si ferma ad analizzare l’origine del Covid-19. Una sua ulteriore conclusione è infatti che il virus possa essere stato geneticamente modificato. «Crediamo sia un’ipotesi praticabile che il virus avrebbe potuto essere modificato» scrivono i deputati. A tal proposito, il dossier cita una serie di studi e attività di ricerca che sono state condotte sui coronavirus soprattutto tra il 2018 e il 2019. Infine, un ultimo (ma non meno importante) aspetto del dossier riguarda i tentativi di insabbiamento.

Tentativi che vedono coinvolti, secondo i repubblicani, il Partito comunista cinese, i vertici dell’Istituto di virologia di Wuhan e anche scienziati occidentali, come il controverso zoologo Peter Daszak. «Gli sforzi della Repubblica Popolare Cinese per offuscare le origini del Covid-19 non si sono limitati alla distruzione di campioni e a mettere a tacere i medici, ma sono avvenuti anche attraverso una campagna di disinformazione» sostiene il rapporto. In particolare, un canale privilegiato di questa attività di propaganda sarebbe stato il Global Times, organo di informazione notoriamente controllato dal Partito comunista cinese.

Il rapporto si concentra poi specificamente sulla controversa attività di Daszak, che era finita al centro dell’attenzione già nei mesi scorsi. Ricordiamo che, soprattutto nella prima metà del 2020, lo zoologo svolse una intensa attività di lobbying nella comunità scientifica e nel panorama dei media tradizionali per screditare aprioristicamente l’ipotesi della fuoriuscita del Covid-19 dal laboratorio. Fu lui a organizzare e a cofirmare un comunicato di esperti apparso su The Lancet nel febbraio 2020 che definiva quello scenario come una «teoria del complotto». E fu sempre lui a ribadire tale linea in un editoriale apparso sul Guardian nel giugno 2020.

Due mesi fa era tuttavia emerso che questa sua posizione – che all’epoca si rivelò molto influente su scienziati e politici – non fosse esattamente disinteressata. Daszak è alla guida di una no profit newyorchese, EcoHealth Alliance, che collaborava con l’Istituto di virologia di Wuhan. Non solo: secondo quanto riferito dal Washington Examiner, questa no profit ottenne – tra il 2014 e il 2020 – finanziamenti per oltre 3 milioni di dollari da parte dei National Institutes of Health: ebbene, di questa somma, almeno 600.000 dollari sono stati inviati – tramite EcoHealth – all’Istituto di virologia di Wuhan.

Una situazione complessa, che chiama in causa la figura dello stesso Anthony Fauci. Va infatti ricordato che, in quanto direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, Fauci era coinvolto nei finanziamenti a EcoHealth e allo stesso Istituto di Wuhan. Inoltre, è di recente stato pubblicato un controverso scambio di email tra Daszak e lo stesso Fauci, datato aprile 2020. In quell’occasione, lo zoologo ringraziò Fauci per aver preso pubblicamente posizione contro l’ipotesi della fuoriuscita dal laboratorio. Una email a cui lo stesso Fauci replicò in modo caloroso.

Ora, il problema è che il nuovo rapporto repubblicano suggerisce con energia che Daszak sostenesse quella tesi probabilmente di concerto con il Partito comunista cinese. A pagina 52 si legge: «Abbiamo scoperto prove evidenti che suggeriscono che Peter Daszak è il volto pubblico della campagna di disinformazione del Partito comunista cinese, progettata per sopprimere la discussione pubblica su una potenziale fuoriuscita dal laboratorio». Non a caso, i repubblicani sostengono nel rapporto la necessità di chiamare Daszak a testimoniare davanti al Congresso.

Per Fauci si pongono dunque due problemi. Il primo riguarda il finanziamento all’Istituto di virologia di Wuhan. Per quanto l’immunologo abbia sempre sostenuto che quei soldi non siano andati a sostenere ricerche pericolose, è altrettanto vero che – durante una sua deposizione alla Camera lo scorso maggio – ha ammesso di non poter esserne del tutto certo. Del resto, non è che il governo cinese abbia mai particolarmente brillato per trasparenza.

In secondo luogo, non è ancora chiaro per quale ragione Fauci, nel 2020, avesse più volte criticato e sminuito l’ipotesi della fuoriuscita dal laboratorio, appiattendosi di fatto sulle posizioni (non certo disinteressate, come abbiamo visto) di Daszak. Una linea che invece quest’anno – soprattutto dallo scorso maggio – lo stesso Fauci ha improvvisamente ammorbidito, riscoprendosi possibilista su tale teoria. Insomma, qualche stranezza da spiegare oggettivamente c’è.

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