Dalla Serbia agli Stati Uniti, dalla Corea del Sud alla Germania, le strategie messe in atto dai vari Paesi per contrastare la pandemia del secolo.
La risposta più drastica è quella della Serbia, che ha dichiarato il coprifuoco. Nel Paese dell’ex Jugoslavia è scattato il divieto ferreo di uscire di casa per chi ha più di 65 anni, assieme a un vero e proprio coprifuoco notturno: dalle 20 alle 5 sarà proibito a chiunque di mettere il naso fuori casa. Ma non scherza neanche Israele, che per contrastare il virus ha chiesto allo Shin Bet (l’agenzia di intelligence interna) di impiegare la tecnologica antiterrorismo. Per non parlare della Cina, che detiene ancora il primato della linea più aggressiva di contrasto al virus. Subito dopo viene la Corea del Sud, che effettua 20.000 tamponi al giorno. E poi ci sono gli Stati Uniti, che stanno per approvare un piano economico da circa un trilione di dollari. Pur non rapidissima, si sta muovendo anche la Germania, che ha ufficializzato il piano di raddoppiare i suoi 28.000 posti letto in terapia intensiva. Buon ultimo, il Regno Unito che dopo aver vagheggiato la creazione dell’immunità attraverso restrizioni blande di gregge ha dovuto virare verso misure severe.
Dalla Serbia agli Stati Uniti, dalla Corea del Nord alla Germania, la risposta del mondo all’emergenza Covid-19 è variegata. Per capirla, panorama.it ha fatto un’inchiesta, interpellando anche un esperto di geopolitica, Paolo Quercia, docente di Studi Strategici presso l’Università di Perugia.
Nel momento in cui il numero dei contagi da coronavirus a livello internazionale ha superato le 200.000 unità, sono numerosi gli Stati che stanno optando per adottare misure energicamente restrittive. Per ora, la linea più aggressiva al contrasto del morbo resta quella messa in atto da Pechino. In particolare, a Wuhan (epicentro dell’epidemia) la Repubblica Popolare ha utilizzato stadi e altre strutture con l’obiettivo di creare grandi centri per la quarantena, realizzando inoltre svariati ospedali temporanei per il ricovero dei pazienti meno gravi. Tutto questo, senza dimenticare una massiccia e pervasiva attività di controllo.
Il governo cinese mostra adesso un ottimismo piuttosto cauto, mentre di recente alcune province hanno annunciato quarantene obbligatorie di 14 giorni per chi proviene da Paesi ad alto rischio. In generale, le misure di contrasto al virus, che si riscontrano a livello internazionale, tendono a mostrare l’assenza di una strategia organica e sistematica. «Non possiamo parlare di modelli nel contrasto al virus» spiega Paolo Quercia. «Non ci sono strategie in campo. Solo tattica, lotta corpo a corpo con il virus, con scelte obbligate dalle vulnerabilità e dall’emergenza. I Paesi si distinguono però tra quelli che pensano solo al virus e rischiano di collassare e quelli che pensano a come approfittane in senso geopolitico».
Nonostante alcune somiglianze, i vari Stati stanno percorrendo strade abbastanza differenti. Israele ha decretato la chiusura di tutte le attività non essenziali. «Siamo in guerra contro un nemico invisibile» aveva affermato il premier Benjamin Netanyahu. «Sconfiggerlo dipende dai passi che ognuno di voi farà. Dobbiamo fare di tutto per non infettare e per non farci infettare». Nei giorni scorsi, Israele ha tra l’altro bloccato gli istituti scolastici e ha imposto un periodo di quarantena a chiunque entri nel Paese dall’estero. Negli ultimissimi giorni, il ministero della Salute ha impresso un’ulteriore stretta, esortando i cittadini a restare in casa, scoraggiando eventi sociali ed assembramenti.
Oltre alle misure di chiusura, il governo ha reso noto che verrà coinvolto lo Shin Bet (l’agenzia di intelligence per gli affari interni): l’obiettivo è quello di impiegare la tecnologica antiterrorismo per il contrasto al virus. In particolare, è stato annunciato che verrà usato il monitoraggio informatico per individuare i soggetti che siano stati in contatto con persone infette. Inoltre, attraverso gli strumenti di geolocalizzazione, si vorrebbe controllare che non venga violato il periodo di isolamento nella propria abitazione. La linea del governo israeliano ha suscitato qualche malumore tra l’opposizione di sinistra, che teme possano verificarsi casi di violazioni della privacy a danno dei cittadini. D’altronde, il coinvolgimento dello Shin Bet (che si attiverà nella lotta al coronavirus per i prossimi trenta giorni) è avvenuto, sabato scorso, bypassando di fatto l’autorità della Knesset e innescando così ulteriori polemiche.
L’impiego della tecnologia è alla base anche della strategia che la Corea del Sud ha messo in atto per il contrasto al coronavirus. Innanzitutto nel Paese viene effettuato un massiccio numero di test (Bbc news parla di circa 20.000 tamponi giornalieri): test che vengono poi analizzati da una rete di 96 laboratori pubblici e privati. Mediamente per ottenere una risposta si richiede un periodo di cinque o sei ore, anche se talvolta si possono riscontrare degli ingolfamenti nel sistema. I dati resi pubblici dal governo sono inoltre stati utilizzati per creare delle applicazioni telematiche in grado di tracciare la diffusione dell’epidemia.
In particolare, la più usata risulta Corona 100m che, installata da oltre un milione di persone, avvisa gli utenti se si trovano a cento metri da una posizione considerata ad alto rischio di contagio. Ulteriori applicazioni forniscono invece informazioni sui luoghi che sono stati visitati da soggetti infetti con relativi dati demografici del paziente. Gli stessi ospedali fanno ricorso a queste strumentazioni telematiche per monitorare soggetti positivi che – in attesa si liberino dei posti letto – vengono sottoposti a quarantena domiciliare. Nel frattempo, riporta Bbc news, le scuole sono state chiuse, mentre continua ad essere fortemente incoraggiato il lavoro da casa. In tutto questo, sono state anche installate telecamere all’ingresso degli edifici principali e sono stati collocati recipienti con disinfettanti all’interno degli ascensori. Vista l’importanza dell’igiene, nelle stazioni della metropolitana si trovano addirittura persone che invitano i cittadini a lavarsi frequentemente le mani.
In Unione europea, negli ultimi giorni, si sono iniziate a prendere misure parzialmente simili a quelle già adottate in Italia (soprattutto in termini di coprifuoco e serrata di alcune attività commerciali). La Francia ha decretato la chiusura di ristoranti, bar e teatri a partire dalla scorsa domenica: a restare aperti saranno soltanto negozi alimentari, farmacie e tabaccherie. Anche le attività scolastiche sono state sospese. Il governo ha poi invitato i cittadini (soprattutto i più anziani) a rimanere in casa, per evitare il diffondersi del contagio. L’Eliseo ha inoltre annunciato la chiusura delle frontiere, sospendendo il secondo turno delle elezioni municipali e la controversa riforme delle pensioni.
Su una linea parzialmente simile si è collocata la Germania, dove numerosi Länder stanno chiudendo le scuole del proprio territorio almeno fino a Pasqua, proibendo inoltre assembramenti pubblici con più di cento persone. Il governo federale ha tra l’altro imposto lo stop alla maggior parte delle attività commerciali e bloccato le frontiere con Francia, Svizzera e Austria (consentendo tuttavia la circolazione delle merci e lo spostamento dei pendolari). In tutto questo, Berlino punta a stanziare la cifra record di 550 miliardi di euro per il contrasto al morbo.
La Spagna ha invece proclamato uno stato d’emergenza: scuole e università sono state chiuse, così come i servizi commerciali non essenziali. Anche gli spostamenti sono stati ridotti al minimo, mentre potrà essere impiegato l’esercito per far rispettare le disposizioni del governo madrileno. È stato tra l’altro incrementato il potere del ministero dell’Interno. A livello complessivo, la situazione per l’Unione europea non appare comunque particolarmente ottimale. Secondo Quercia, questa pandemia «porterà al collasso di alcuni Stati e alla sopravvivenza di altri, anche a scapito di quelli più colpiti». E prosegue: «L’Unione europea sarebbe dovuta essere eccezione in positivo. Purtroppo sta reagendo molto male alla crisi e sta dimostrando la debolezza di alcune sue logiche strutturali. Se sopravvivrà, andrà ripensata».
Una dichiarazione dello stato d’emergenza è stata effettuata anche negli Stati Uniti da Donald Trump. Il presidente americano si è formalmente appellato allo Stafford Act: una legge federale del 1988, che sblocca fondi e aiuti in caso di calamità e catastrofi naturali. Con questa mossa, la Casa Bianca ha di fatto permesso lo stanziamento di circa 50 miliardi di dollari per il contrasto al coronavirus. Trump ha inoltre annunciato che, nelle prossime settimane, saranno disponibili circa 5 milioni di tamponi. È stato poi reso noto che verranno creati dei siti web per selezionare chi necessiti dei test, mentre saranno introdotte misure di emergenza per le strutture ospedaliere.
Dopo aver sospeso i voli di collegamento con l’Europa continentale, la Casa Bianca ha annunciato anche la chiusura nei confronti di Regno Unito e Irlanda: inutile sottolineare che questa linea ha determinato non pochi attriti con il Vecchio Continente. Si inizia inoltre a scorgere un’azione bipartisan nel contrasto al virus. Sabato scorso, la Camera dei Rappresentanti (controllata dai democratici) ha approvato un pacchetto di norme, ottenendo l’endorsement dello stesso Trump.
Un endorsement volto a far sì che i repubblicani al Senato non affossino il provvedimento. In particolare, tra le altre cose, il pacchetto prevedrebbe: tamponi gratuiti (anche per i non assicurati), due settimane di congedo per malattia retribuite, maggiore indennità di disoccupazione e un incremento del finanziamento per il programma sanitario Medicaid. Tutto questo, mentre la Casa Bianca sta spingendo per l’approvazione un piano economico da circa un trilione di dollari.
Più controversa risulta invece al momento la linea del Regno Unito, che aveva dapprincipio annunciato una serie di restrizioni graduali (e tutto sommato blande) per creare la cosiddetta «immunità di gregge» prima del prossimo inverno. Il governo britannico aveva giustificato la mossa, sostenendo di voler evitare un intasamento del servizio sanitario. Tuttavia il prezzo da pagare per questa linea rischiava di rivelarsi particolarmente alto e la decisione di Downing Street ha innescato numerose polemiche da parte dell’opinione pubblica, dei sindacati e della stessa Organizzazione Mondiale della Sanità.
Anche per questo Boris Johnson ha virato verso misure più severe, sconsigliando gli assembramenti ed esortando il lavoro da casa. Mercoledì scorso, il governo ha inoltre stabilito la chiusura degli istituti scolastici (seguendo nei fatti una misura già adottata da Scozia e Galles). Tutto questo, mentre pochi giorni fa il cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, ha annunciato un pacchetto di 30 miliardi di sterline per sostenere l’economia britannica nel corso della crisi: in particolare, 12 miliardi dovrebbero essere specificamente volti al contrasto del coronavirus. Nonostante i fondi che numerosi Paesi stanno stanziando per far fronte all’emergenza, si fatica a scorgere delle strategie articolate. «Il migliore stimolo credo sia la riconversione delle economie alla nuova realtà che sta uscendo fuori. Pochi si stanno muovendo in questo senso» ha dichiarato Quercia.