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Stiamo andando verso le vere Star Wars

Stiamo andando verso le vere Star Wars

Intorno alla Terra si preparano i confitti del futuro con la corsa per completare una rete creata da decine di migliaia di satelliti militari e civili che assicuri a Stati Uniti e Cina il dominio del cielo. E con il magnate più discusso, Elon Musk, che sta lavorando alla «sicurezza nazionale americana» mentre ha fortissimi interessi a Shanghai…


La prossima guerra? Preparatevi, perché sicuramente sarà «stellare»a prossima guerra? Preparatevi, perché sicuramente sarà «stellare». E la corsa agli armamenti è già iniziata. Negli ultimi sei mesi la Cina, in base a quanto si legge in rapporti top-secret della Cia, ha spedito in orbita 347 satelliti in grado di sorvegliare e di colpire le forze armate americane, ovunque si trovino. E gli Stati Uniti, che pure dal 2019 hanno messo in campo la loro nuova Space Force proprio per prepararsi alla difesa bellica nell’esosfera (e l’hanno dotata finora di quasi 100 miliardi di dollari) sono sempre più preoccupati: «Pechino dispone di efficaci armi anti-satellite», ha denunciato il 14 marzo al Congresso di Washington il generale Chance Saltzman, l’uomo che da un anno guida la Space Force: «I cinesi hanno ottimi missili anti-satellite e laser terrestri per disturbare e degradare i sensori delle nostre apparecchiature in orbita. Ora lavorano a un nuovo tipo di satellite-uncino per fare uscire d’orbita i nostri».

Di un conflitto nello spazio, del resto, si parla da 40 anni esatti: era il 23 marzo 1983 quando Ronald Reagan si presentò in tv agli americani per annunciare un nuovo programma militare che chiamò «Iniziativa di difesa strategica», capace di rivoluzionare la logica stessa della Guerra fredda. Quella sera, in diretta dalla Casa Bianca, il presidente mostrò disegni, schemi, diagrammi e descrisse una futuribile rete di satelliti orbitali, in grado di abbattere tutti i missili nucleari che l’avversario di allora, l’Unione sovietica, avesse deciso di lanciare contro gli Stati Uniti o i loro alleati. La nuovissima «arma finale» di Reagan, per i mass media di mezzo mondo, divenne subito Starshield, lo «Scudo spaziale». Il programma, che avrebbe garantito a Washington un’invincibile supremazia strategica, non fu mai portato a termine, ma costrinse comunque il Cremlino a una corsa tecnologica tanto costosa da determinare, nel 1991, il collasso economico e la fine dell’Unione sovietica.

Oggi, quattro decenni dopo, nello spazio è in atto una competizione militare simile a quella degli anni Ottanta, ma molto più concreta e tale da rendere sempre più vicina una vera «guerra stellare». Gli Usa, nel 2023, si contrappongono non a uno ma a due avversari: la Russia post-sovietica di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping, superpotenza che ai tempi di Reagan era mille volte meno minacciosa. In cielo, da qualche anno, questi tre attori giocano una partita difficile e complessa, dove la rincorsa tecnologica vede nuovi satelliti-arma e missili specializzati che, sparati da terra, sono capaci di colpire e distruggere un bersaglio a molte migliaia di chilometri d’altezza. È vero che la militarizzazione dello spazio è materia antica, perché muove i primi passi a fine anni 50 dello scorso secolo (vedere il box in basso). Ma è anche estremamente contemporanea perché l’ultima grande guerra terrestre, quella che 15 mesi fa ha sconvolto il mondo con l’invasione russa dell’Ucraina, in realtà è iniziata proprio come una «guerra di satelliti».

Pochi lo sanno, ma un’ora prima dell’attacco ordinato da Mosca, alle 2 del mattino del 24 febbraio 2022, un parallelo attacco cibernetico russo ha paralizzato il quartier generale di ViaSat, il colosso americano che da San Diego, in California, gestisce la rete satellitare Ka-Sat, cruciale per le telecomunicazioni e le connessioni internet di mezza Europa. Così, mentre i carri armati di Putin entravano in Ucraina, 30 mila modem ucraini sono andati bruciati, e per qualche ora i comandi militari di Kiev sono rimasti ciechi, sordi e muti. Subito dopo l’invasione, invece, è toccato agli alti comandi di Mosca scoprire le doti belliche della rete satellitare Starlink, che il miliardario statunitense Elon Musk ha messo a disposizione dell’esercito di Volodymir Zelensky. Il programma Starlink, in realtà, era stato lanciato nel 2020 per dotare il mondo di una nuova e più efficiente rete internet, e dopo un anno aveva già messo in orbita «bassa» (circa 550 chilometri) 1.433 satelliti, ognuno del peso di 250 chilogrammi. Nel 2022 i satelliti erano raddoppiati a 3.335 e quest’anno, malgrado qualche intoppo come la recente esplosione del razzo Starship, lanciato dalla sua SpaceX, Musk sostiene arriveranno a 4.408.

Per l’esercito ucraino, i satelliti di Starlink sono diventati un alleato prezioso perché hanno fornito non solo un affidabile sistema di comunicazione, ma soprattutto un accurato spionaggio dall’alto e il perfetto controllo dei droni-kamikaze, come quello che nel settembre 2022 via mare ha colpito e affondato l’ammiraglia russa alla fonda nel golfo di Sebastopoli. Va detto, inoltre, che Musk punta a spedire nello spazio un totale di circa 40 mila satelliti: una rete così estesa che oscurarla, come hanno fatto i russi con ViaSat, sarà impossibile. Nel dicembre 2022, forte dell’esperienza maturata sul campo di guerra ucraino, SpaceX ha poi annunciato il progetto Starshield – «scudo spaziale», proprio com’era chiamata l’arma finale di Reagan – riservato stavolta a usi militari e governativi, e Musk ha spiegato che «contribuirà ad accrescere la sicurezza nazionale degli Stati Uniti contro i suoi avversari». Il nuovo progetto è subito stato avvolto dalla massima segretezza. S’è saputo soltanto che i satelliti di Starshield dovrebbero essere dotati di terminali laser per renderli capaci di comunicare con i satelliti militari.

La Cina ha osservato tutte queste mosse, e ovviamente non è rimasta ferma. Sei mesi fa gli alti comandi dell’Esercito popolare di liberazione hanno accelerato al massimo un programma che risale al 2021 e punta a mettere in orbita bassa 12.992 satelliti civili e militari, in parte dotati di sistemi di distruzione anti-satellite. Il programma, coperto da segreto militare, si chiama Guowang («rete statale») ed è la risposta cinese a Starlink e a Starshield. È esattamente questo quel che il generale Saltzman, davanti ai parlamentari americani, ha definito «la più grave minaccia cinese» per gli Stati Uniti. Pechino, inoltre, ha comandato alla «Forza di supporto strategico», la sezione spaziale dell’esercito cinese fondata nel 2015 (con quattro anni di anticipo sugli Stati Uniti), di potenziare armi e tecnologie spaziali, offensive e difensive, e soprattutto di ricercare un metodo per sopprimere o danneggiare i satelliti di Starlink in futuri scenari di guerra.

In definitiva, senza che il mondo se ne accorgesse, è partita un’immensa gara alla colonizzazione dello spazio: con Washington e Pechino pronte a lanciare decine di migliaia di satelliti, per usi insieme civili e militari, destinati occupare l’orbita più vicina all’atmosfera terrestre. Ora resta da vedere se Musk sarà abbastanza forte per non subire i probabili ricatti cinesi. I suoi interessi a Shanghai, in effetti, sono immensi: è qui che nel 2019 ha aperto la principale fabbrica della sua Tesla, la casa numero uno nel mondo per le auto elettriche, e qui da mesi è in ballo il varo di un nuovo impianto per la costruzione di batterie. Xi Jinping, che conosce bene la storia, visto che ha scritto la sua tesi di laurea proprio sugli errori del Cremlino e sulla competizione strategica ed economica con gli americani che negli anni Ottanta portò al crollo del comunismo sovietico, ha mostrato di saper utilizzare l’economia come un coltello affilato. Si preparano scontri davvero spaziali.

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