All’indomani del congelamento del Superbonus, il governo prepara le misure per neutralizzare la spesa senza controllo promossa da Giuseppe Conte. Preoccupa il verdetto europeo sui crediti incagliati ed è corsa contro il tempo per fermare una valanga da 40 miliardi di euro.
E’ scoppiata la bolla dell’«Edilcoin», la prima moneta fiscale virtuale creata nel maggio 2020 firmata da Giuseppe Conte, il pentastellato allora presidente del Consiglio, e da Roberto Gualtieri Pd, ministro dell’Economia, di professione storico. In due anni è mezzo ha scassato i conti dello Stato. Chi sostiene che il 6,6 per cento di recupero del Pil del 2021 dallo sprofondo pandemico (meno 9,9) e il successivo consolidamento del 2022 (più 3,9 per cento) sono merito dell’edilizia, pecca di enfasi. Il fatturato dell’edilizia vale grosso modo 123 miliardi: nel ’21 è cresciuto del 7,6 per cento pari a 21,6 miliardi di aumento, nel 2022 il 6,6 per cento in più vale 9,2 miliardi. In totale 31 miliardi di incremento di fatturato diretto.
Ci sono poi i fattori di moltiplicazione: stipendi, materiali e lo Stato incassa Irpef e Iva. Però mancano soldi. Tanti. Lo certifica la Banca d’Italia: lo sbilancio nel 2021 è stato pari a 28,16 miliardi. C’è da fare i conti sull’anno successivo e il buco potrebbe arrivare oltre i 40 miliardi. A definire il Superbonus come un bitcoin su cui si è accanita la speculazione e che ha generato «una tra le più grandi truffe che la Repubblica abbia mai visto» è il ministro dell’Economia di Draghi, Daniele Franco. Un anno fa ammoniva: «La possibilità di cedere crediti fiscali è diventata pressoché illimitata nel 2020. Questa situazione ha di fatto trasformato i crediti in una sorta di moneta fiscale, si è creato un mercato non regolamentato».
Per metterci una toppa è corsa contro il tempo, ma anche contro l’Europa che nelle vesti di Eurostat (l’ente statistico che certifica i conti) dirà – il verdetto è atteso per il primo di marzo – se i crediti da Superbonus sono considerati «pagabili» e dunque da contabilizzare come debito pubblico o «non pagabili» e dunque mancate entrate e cioè deficit.
A seconda della valutazione della natura di questi «crediti» si passa a una condizione di aggravamento del debito pubblico che si assomma all’esposizione dovuta al Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il governo di centrodestra in questo caso dovrebbe «raffreddare» il debito con l’avanzo primario ingessando così del tutto la sua azione. Se invece sarà considerato deficit, gli oneri vanno ripartiti come minori entrate sui bilanci di Conte e di Draghi e marginalmente su quelli di Giorgia Meloni visto che, dal primo gennaio di quest’anno, il Superbonus scende dal 110 al 90 per cento, spariscono lo sconto in fattura e la negoziabilità del credito e si torna al meccanismo della detrazione dalle imposte in cinque anni.
Dal 2024 rientra in vigore il patto di stabilità e l’incidenza dell’Edilcoin è tale per cui comunque i parametri dell’Italia sballeranno. La fretta con cui Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, venerdì 17 (amara coincidenza di calendario) ha bloccato per decreto la misura è stata determinata da questo e da un pericolo imminente: le Regioni si apprestavano a comprare i credit incagliati – ammontano a circa 19 miliardi di euro – per evitare il fallimento delle ditte rimaste con il Superbonus in mano. Ci sono già, si stima, 90 mila cantieri fermi. Secondo l’Ance, l’Associazione dei costruttori presieduta da Federica Brancaccio, sarebbero 25 mila le imprese sul lastrico. Ma ogni euro comprato dalle Regioni sarebbe automaticamente diventato un euro di debito.
Il Superbonus è una sorta di «ircocervo» economico, mal costruito e gestito ancor peggio. Il risultato è che con una spesa di 70 miliardi di euro (cui vanno aggiunti 40 miliardi tra bonus facciate, eco e sisma bonus) si è riqualificato meno del 3 per cento del patrimonio edilizio complessivo generando truffe sin qui accertate per 9,5 miliardi. Il Superbonus nella formulazione di Conte-Gualtieri, pur con le correzioni apportate dal governo Draghi che per sette volte in un anno è intervenuto a correggerne le distorsioni senza ricondurlo a razionalità contabile e a sostenibilità economica, se lasciato correre comporta una spesa di oltre 3 miliardi di euro al mese. E questo ha generato i cosiddetti crediti incagliati, determinati perché le banche non avevano più «capienza fiscale»: non potevano scontare altri crediti e fin dal luglio scorso hanno chiuso i rubinetti. Mentre l’ultimo provvedimento di Draghi che ha messo la scadenza del Superbonus al 31 dicembre ha scatenato un assalto alla diligenza. Si è passati da 70 a 105 miliardi di spesa – i 2 mila euro a italiano, neonati compresi, evocati da Meloni – in un semestre.
Il combinato disposto di crediti incagliati e nuove richieste rischiava di innescare il default dello Stato. Si era in pieno caos, anzi «110 sfumature di caos»: c’è una buona dose di masochismo contabile che portava dritti al naufragio fiscale. Da qui lo stop dell’esecutivo che però ha aperto in contemporanea le consultazioni per sistemare il pregresso. Al contrario di quanto fece Elsa Fornero con le pensioni, stavolta Giorgetti si è subito preoccupato degli «esodati del Superbonus».
Per i crediti incagliati si pensa di consentire alle banche di compensare con gli F24 – le tasse degli italiani – i crediti edilizi ulteriori che assorbiranno. Ci sarà poi il problema di far quadrare il bilancio. Perciò dalle compensazioni sono esclusi i contributi previdenziali – altrimenti salta l’Inps e altro che 25 mila fallimenti – e l’Irpef delle famiglie. C’è l’appello a Dario Scannapieco, a.d. e direttore generale di Cassa depositi e prestiti, per studiare interventi di cartolarizzazione (trasformare i crediti incagliati in prodotti finanziari e piazzarli sul mercato) o di sostegno diretto alle imprese (Cdp possiede Poste: uno degli enti che scontavano i crediti del Superbonus) senza entrare nel perimetro della finanza pubblica.
Nell’ipotesi c’è anche una ridefinizione della platea degli «esodati». Sicuramente verrà consentita di nuovo la negoziabilità del credito fiscale a Onlus e condomini popolari e si pensa a una soluzione per i redditi medio bassi che non riescono a smaltire nei 5 anni previsti dalla nuova formulazione del Superbonus il credito d’imposta. Per loro si prevede il prolungamento della detrazione a 10 anni e, introducendo i limiti Isee prima ignorati, anche forme di sostegno. Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi propone di consentire a grandi gruppi industriali di acquisire i crediti da compensare con le proprie tasse. Siamo alla solidarietà fiscale tra imprese. Favorevole è l’Ance. Federica Brancaccio ha commentato: «Siamo soddisfatti della disponibilità del governo, la priorità è sgonfiare la bolla dei 19 miliardi di crediti incagliati».
Per farlo si sta studiando una piattaforma telematica che faccia combaciare domanda e offerta sulla negoziazione dei crediti incagliati e a garanzia potrebbe attivarsi anche la Sace, la società di assicurazioni dello Stato. L’intervento più radicale Meloni e Giorgetti lo riservano alla razionalizzazione di tutti i bonus edilizi. A fare più «danni» – truffe per almeno 4 miliardi di euro – è stato il «bonus facciate» voluto da Dario Franceschini, uno big del Pd e plenipotenziario della cultura, che scimmiottando una legge francese del 1950 ha dato il via libera a lavori fuori controllo. Giorgetti ha pronunciato, con i suoi tecnici, un significativo: mai più.
Anche perché gli impatti sulla finanza pubblica sono devastanti. Il deficit per i 2021 concentrando in quell’anno i crediti di avvio della misura e degli altri bonus (51 miliardi) sale al 14 per cento del Pil, quello del 2022 al 10 per cento dal 5,6. Il 6 marzo se ne occuperà il Parlamento, ma c’è una nebbia d’incertezza; appunto 110 sfumature di caos. n
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