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Il cacciatore di opere perdute

Il cacciatore di opere perdute

Arthur Brand recupera capolavori del passato – ultimo, un dipinto di Vincent van Gogh. «Per ritrovarle bisogna seguire le tracce della criminalità organizzata come Cosa nostra e camorra» dice. E a Panorama racconta il suo grande obiettivo: il «Caravaggio» scomparso a Palermo.


C’è il più famoso investigatore d’arte rubata al mondo, ma Arthur Brand ha poco o nulla in comune con Indiana Jones. Più che schioccare la frusta con indosso giubbotti di pelle, somiglia più a Sherlock Holmes: un metodico cacciatore di indizi, spesso quasi impercettibili, che lavora solo con confidenti e qualche altri attrezzi del mestiere (segreti). «A volte vengo assunto da un museo o da un governo, ma di solito mi muovo di mia iniziativa» spiega in questo colloquio con Panorama. «La mia professione in realtà non esiste, non si può studiare. Ho imparato tutto da solo». Entrando nello specifico, poche settimane fa questo tranquillo investigatore privato ha recuperato il Giardino della canonica a Nuenen in primavera, dipinto da Vincent van Gogh nel 1884 e rubato il 30 marzo 2020 dal museo Singer Laren, vicino ad Amsterdam, approfittando del lockdown imposto per la pandemia. Il quadro ha un valore di sei milioni di dollari e, secondo le informazioni di Brand, era a un passo dalla vendita a un misterioso compratore stanziato negli Emirati Arabi. Una pista che ha portato l’investigatore olandese a ipotizzare un coinvolgimento della camorra nell’affare.

«A quell’epoca, il boss Raffaele Imperiale viveva ancora a Dubai» chiarisce Brand «ma non ho le prove che fosse proprio lui a essere interessato al dipinto» del genio di Zundert. Le prove, però, andrebbero tutte in questa direzione. Imperiale, oggi collaboratore di giustizia, è stato uno dei grandi broker mondiali del narcotraffico. Ha acquistato per cinque milioni di euro altre due opere di Van Gogh trafugate in Olanda: La spiaggia di Scheveningen(1882) e Una congregazione lascia la chiesa riformata di Nuenen (1884); nascondendole in una villetta vicino a Castellammare di Stabia, nel Napoletano. «Quei quadri vennero sottratti da Octave Durham e Henk Bieslijn» ci svela lo studioso. «Inizialmente non era Imperiale l’acquirente previsto, ma Cor van Hout, il bandito che aveva rapito il magnate della birra, Alfred Heineken negli anni Ottanta. Van Hout fu però assassinato un giorno prima di ricevere i dipinti», freddato in una concessionaria di barche il 24 gennaio 2003. Ed è proprio così che è entrato in scena il padrino partenopeo. «In quel periodo, Imperiale operava nel traffico di droga ad Amsterdam e aveva un bar» continua Brand. «Il motivo per cui abbia acquistato la refurtiva non è noto. Forse per il piacere di possedere due Van Gogh rubati o, forse, già allora pensava che un giorno avrebbe potuto barattarli per ottenere una pena minore».

Circostanza che si è «effettivamente realizzata tra 2015 e 2016» grazie a un robusto sconto in sede di condanna. «Ho il sospetto che, dopo quel successo giudiziario iniziale, Imperiale potrebbe aver acquisito più opere d’arte rubate». E non sarebbe l’unico criminale a partecipare a questo particolarissimo business. «La mafia italiana è pesantemente coinvolta nei furti d’arte, principalmente negli scavi illegali. Lo stesso Matteo Messina Denaro ha dichiarato prima di morire che la sua famiglia si era arricchita grazie al commercio di reperti provenienti da scavi illegali» ragiona Brand. «Per esempio, sospetto che la Natività di Michelangelo Caravaggio, rubata a Palermo nel 1969, esista ancora e sia proprio nelle mani di Cosa nostra. Ora che Messina Denaro è morto spero che il dipinto ritorni».

L’investigatore dell’arte lancia un appello attraverso il nostro giornale. «Chiedo di consegnare quel dipinto a un prete, uno qualsiasi. I ladri che lo hanno rubato possono sempre contattarmi anche tramite i social media. Poi restituirò il dipinto alla chiesa originaria. Non importa in quali condizioni sia, tutto può essere restaurato. Sarebbe un grande giorno per l’Italia e per il mondo se quel Caravaggio tornasse a casa. È un dipinto religioso e, dunque, se il proprietario attuale fosse cattolico sarebbe un bel gesto restituirlo al suo sacro luogo di provenienza». Già in passato, ammette Brand, «ho provato a contattare persone che appartengono alla camorra e a Cosa nostra» «sempre tramite intermediari». Una tecnica che potrebbe tornare utile anche in questa circostanza per «riportare in vita il Caravaggio» sparito dall’Oratorio di San Lorenzo. L’Italia, d’altronde, per la storia e per le sue ricchezze artistiche è un caveau con la porta blindata spalancata. Chiunque può entrare e razziare qualcosa. «Dobbiamo però distinguere tra arte rubata, per esempio, da un museo e antichità scavate illegalmente» precisa Brand. «Nel mondo criminale, le opere d’arte sottratte a un museo vengono utilizzate per trattare sulla pena da scontare o come acconto per il pagamento di partite di droga. In quel caso, all’opera d’arte viene riconosciuto un valore di circa il 10 per cento rispetto a quello reale». Le antichità scavate illegalmente, invece, «vengono spesso riciclate in piccole case d’asta e poi vendute ai musei». A meno che non incrocino sulla loro strada questo Sherlock Holmes.

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