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Il fallimento del modello Italia

Siamo il Paese che, durante la pandemia, ha «chiuso» di più, pagando caro in termini di caduta del Pil e aumento del debito pubblico. Dovremmo avere anche meno vittime da Covid. Invece siamo tra i peggiori d’Europa secondo indicatori cruciali: economia, gestione del contagio, mortalità.

* L’autore dell’articolo è il presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali


Spesso alcuni nostri ministri e commissari, compreso il presidente del Consiglio, hanno parlato di un «modello Italia» nella lotta con successo al Covid-19; ma è proprio così? Itinerari Previdenziali ha elaborato un indice sintetico che misura la capacità e il successo di un governo nella lotta al virus, analizzando la situazione di 30 Paesi in base a cinque parametri sanitari ed economici. Il ragionamento è semplice: un governo che ha fatto tanto lockdown, ha perso molto Pil e ha fatto tanto debito per «ristorare» chi si trova senza più lavoro o reddito, e quindi ha aumentato il debito pubblico, dovrebbe avere ottenuto ottimi risultati sanitari e meno decessi; viceversa chi ha «chiuso» meno e di conseguenza ha perso meno Pil, fatto meno deficit e debito, dovrebbe avere più morti da Covid. Più l’indice è alto e peggio è il risultato ottenuto.

Nella prima analisi del 18 novembre scorso, l’Italia si era classificata il 4° peggior Paese, quasi alla pari del Regno Unito (terzo posto): ha fatto più deficit, ha perso più ricchezza, ha aumentato molto il debito pubblico e ciò nonostante ha avuto molti morti. Nell’aggiornamento del 4 dicembre, aveva raggiunto il 3° posto scavalcando gli inglesi governati malamente da Boris Johnson. Nell’ultimo report del 21 dicembre, in base ai dati forniti dalla John Hopkins University, l’Italia è – dopo la Grecia – il Paese che tra il 18 novembre e il 21 dicembre peggiora di più tra i 30 presi in considerazione, anche se in classifica ritorna al 4° posto, a due decimi dalla Gran Bretagna.

Siamo preceduti in classifica dal Belgio, un Paese che per oltre 600 giorni è stato privo di un governo e dove c’è una totale confusione tra regioni, comunità e stato centrale, peggiore del binomio stato-regioni italiano e dalla Spagna di Pedro Sanchez. Altro che modello Italia nella lotta pandemica, come ha voluto far credere il governo: questi dati sono impietosi e fotografano una situazione gestita in ritardo e in modo approssimativo senza un piano pandemico né economico; solo tanto debito e molti decessi. Se era difficile parlare di modello Italia cinque settimane fa, oggi lo è ancora di più.

Nel periodo in esame l’unica variabile a essere mutata rispetto alla prima rilevazione è il numero di decessi su 100 mila abitanti, dato rispetto al quale l’Italia, a parte il Belgio, è peggiorata più di tutti gli altri, sfiorando giovedì 3 dicembre i 1.000 decessi in 24 ore. All’inizio l’Italia aveva 75,68 decessi ogni 100 mila abitanti contro i 128 del Belgio, 88 della Spagna e 78 del Regno Unito; dopo aver toccato quota 96, nell’ultima rilevazione siamo al secondo posto tra i 30 principali Paesi con quasi 114 morti ogni 100 mila abitanti, dopo il disastrato Belgio (163). In sostanza, in 33 giorni l’Italia è il Paese che ha subìto la più violenta «seconda ondata» peggiorando il proprio indice di 0,90; peggio di noi solo Grecia e Portogallo; tutti gli altri hanno fatto molto meglio rispetto alla prima ondata del virus, segno che da noi tra marzo e ottobre non si è fatto per prevenire la tanto preannunciata seconda ondata.

Ma quali sono gli indicatori usati? Il primo è rappresentato dal numero di decessi ogni 100 mila abitanti ricavato elaborando i dati della John Hopkins University; l’Italia si classifica al secondo posto dopo il Belgio; abbiamo fatto peggio di Colombia, Argentina, Brasile, Iran, Iraq e ovviamente dei maggiori Paesi europei: Spagna 104; Francia 90; Germania 32; anche peggio degli Usa (97), con la media dei 30 Paesi pari a 50. Probabilmente la metodologia di calcolo dei decessi non è omogenea tra i vari Paesi e forse da noi si è fatta confusione tra i decessi per Covid-19 e quelli con Covid-19, ma va anche detto che molti degli scomparsi nelle proprie case non sono stati testati. Comunque, se si considera che la spesa per la protezione sociale in Italia è di gran lunga superiore a quello del Belgio e della Spagna e molto più alta degli altri Paesi che hanno fatto meglio di noi, ci si rende conto che non ne usciamo bene e che siamo il peggior tra gli Stati con alta spesa per welfare.

Quanto al secondo indice, previsione di variazione del Pil a fine 2020 in base alle stime del Fondo monetario internazionale (Fmi), l’Italia è al quarto posto con un meno 10,65 per cento preceduto da Spagna con -12,83 per cento, Iraq (-12,06) e Argentina (-11,78 per cento); anche in questo caso non è una bella classifica considerando la plurifallita Argentina e il non certo sviluppato Iraq.

Il terzo indice riguarda il deficit di bilancio 2020 ricavato dall’elaborazione dei dati previsionali dell’Fmi; nella classifica di quanto si è speso per il Covid e di quanto si è incassato meno in imposte e contributi, l’Italia, con -12,98 per cento, si trova al nono posto, dietro Canada (-19,92) che però ha avuto 33,5 decessi ogni 100 mila abitanti (un terzo dei nostri), Usa (-18,72) che però sono al 23° posto per perdita di Pil, Iraq, Brasile, Regno Unito (tra il 17,5 e il 16,5 per cento), Giappone (- 14,15) ma con 1,72 decessi ogni 100 mila abitanti, Spagna e India (-13 per cento).

Infine, il quarto parametro è rappresentato dal rapporto debito sul Pil nelle previsioni di fine 2020; qui siamo al terzo posto con il 161,8 per cento, preceduti da Giappone con il 266,2 per cento, e Grecia con il 205,2, seguiti da Portogallo con il 137,2 e Usa con il 131,2. Ovviamente Grecia e Portogallo hanno dimensioni (abitanti ed economie) enormemente più piccole dell’Italia. In conclusione, possiamo dunque dire che esista un «modello Italia»? I numeri rispondono di no ed è proprio la combinazione delle dimensioni economica e sanitaria a determinare un giudizio negativo con ampie responsabilità di governo e regioni.

Anzitutto l’aumento del rapporto debito/Pil di 27 punti percentuali è frutto di una decisione politica, presa in consapevolezza del già negativo punto di partenza. Il confronto con gli altri Paesi è impietoso; solo due governi hanno generato un peggioramento del rapporto debito/Pil maggiore del nostro: il Giappone, che tuttavia ha visto il suo prodotto interno subire una contrazione di circa la metà del nostro oltre a risultati infinitamente migliori come gestione sanitaria; e la Spagna che comunque partiva da un rapporto debito/Pil assai migliore e da anni di ripresa economica più robusta della nostra. Per i decessi siamo riusciti a far peggio pure di Grecia e Portogallo.

Quanto alla mortalità sul numero dei contagiati, si è data la colpa all’alta densità abitativa, allo smog o all’età elevata degli italiani. Giustificazioni che cadono se prendiamo come riferimento il Giappone che tra le prime 30 città del mondo per densità abitativa ne ha due, Yokohama e Tokyo, che certo non hanno minore inquinamento ma sicuramente una percentuale di persone ultra 65enni maggiore di quella italiana (28,1 per cento Giappone e 22,7 da noi). Eppure la loro mortalità è di 2,2 morti ogni 100 mila abitanti contro i quasi 114 dell’Italia.

* presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

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