Fare acquisti tramite lo smarphone e ricevere un riaccredito immediato di una parte della spesa è una frontiera resa possibile dalla tecnologia. La racconta Daniele Mensi, ceo di Digitalbits Foundation.
Immaginate un futuro in cui potrete risparmiare su qualunque acquisto farete, sia nei negozi che online. Non ricevendo uno sconto, ma un riaccredito in percentuale, immediato, della somma spesa. Già, una sorta di cashback, però universale o quasi tale: sarà la regola, non l’eccezione. Pensate a uno scenario in cui un venditore non sbufferà quando volete saldare il conto con un nuovo strumento tecnologico incorporato nello smartphone, perché non gli costa nulla, nemmeno un centesimo di commissione. E pure gli storici operatori delle carte di credito saliranno a bordo, giacché aderire a tale rivoluzione conviene tanto a loro quanto a noi: riceveranno un incentivo, una ricompensa, per mettere a disposizione la loro fitta rete di esercizi convenzionati.
Sembra un’utopia, invece è una traiettoria in fase di decollo, legata all’applicazione ai pagamenti del concetto di blockchain. Semplificando, è un registro di transazioni autenticate in modo decentrato e sicuro dal web, senza passare da un intermediario come può essere una banca centrale o qualche istituto finanziario. Anelli della catena che hanno sempre ricavato un profitto dall’addebitare i loro servizi. Domani, non più.
È lo stesso motore alla base delle criptovalute, però ne supera i confini: «Evolvono nella direzione di uno strumento che può essere utile a ciascuno di noi, si va oltre la solita narrativa dell’arricchirsi comprando Bitcoin. L’importante è capirlo, educarsi, incuriosirsi circa il suo potenziale» spiega a Panorama Daniele Mensi, ceo di Digitalbits Foundation, l’organizzazione che si occupa di espandere tra le aziende la diffusione di una tecnologia, la blockchain, open source, ovvero disponibile a tutti e migliorabile da ognuno di noi. Che è semplice da usare e, attraverso la sola Digitalbits, è già stata scelta da una community di più di 120 mila persone. Il funzionamento di tale orizzonte è parecchio intuitivo: si scarica un’applicazione sul telefonino, si compra denaro virtuale per il valore preferito, lo si spende presso i punti vendita fisici o digitali che lo accettano. E si ottiene immediatamente un riaccredito, al momento pari al 10 per cento dell’importo speso.
È un bonus da investire a piacimento, per altri beni o servizi: «Il paradigma è una creazione di valore inedito all’interno del mondo delle criptomonete» ragiona Mensi. Un surplus non frutto delle loro oscillazioni, piuttosto di una volontà di adoperarle nel quotidiano. Di sdoganarle, normalizzandole. Secondo l’Osservatorio Blockchain del Politecnico di Milano, nel 2022 gli investimenti in progetti aziendali legati all’uso di tale tecnologia sono cresciuti del 50 per cento rispetto al 2021. E gli italiani ne sono incuriositi: 14 milioni si dicono interessati ad acquistare criptovalute o lo hanno già fatto. L’applicazione ai pagamenti potrebbe essere lo sprone decisivo per incrementare quella soglia.
Resta da chiarire il punto fondamentale: chi sovvenziona tutto questo, almeno nella fase di startup. Chi paga il rimborso a noi utenti e gli incentivi alle carte di credito per coinvolgerle. Intanto, le commissioni di funzionamento del sistema si azzerano da sole, perché la blockchain le elide di principio. Dunque, si libera una quota non indifferente di capitali ora appannaggio di soggetti precisi. «Per la parte rimanente, ci sono varie possibilità» risponde Mensi. «In generale, se ne farà carico chiunque creda alla forza di tale modello. Possono essere gruppi tanti di utenti, parliamo di decine di migliaia di persone, o cordate di imprenditori internazionali, sparsi tra i vari continenti, uniti dalla medesima volontà: dalla convinzione che esista, per i pagamenti come per qualunque altra resistenza del passato, una modalità alternativa abilitata dalla tecnologia».
Non è un intendimento vago, anzi si tratta del pilastro del cosiddetto Web3: «Il Web1» riassume Mensi «era passivo, si limitava a trasmetterci nozioni che potevamo fare nostre oppure ignorare. Nel Web2 siamo in grado di condividere informazioni: è bidirezionale, però nell’ambito di arene chiuse come i social network, dove l’arricchimento delle grandi piattaforme passa dallo sfruttamento dei nostri dati». Uno schema sbilanciato, che non regge più o, quantomeno, comincia a scricchiolare. «Nel Web3 s’impone il concetto di community, di partecipazione consapevole, specie quando vestiamo i panni di consumatori».
Di fatto, noi tutti siamo soggetti capaci di decretare il successo di un meccanismo, premiandolo con la nostra preferenza o indifferenza. È una preistorica, intramontabile legge sacra dell’economia: l’offerta dipende dalla domanda. I pagamenti tramite blockchain si affermeranno se sapranno convincerci a sceglierli, persino a pretenderli. Come oggi protestiamo con il tassista che rifiuta la carta di credito o il negoziante sotto casa che storce il naso di fronte al bancomat. «Siamo agli inizi» chiarisce Mensi. «Serviranno almeno 24 mesi. Di sicuro, stiamo assistendo alla fondazione di un ecosistema alternativo». Che, implicazioni visionarie a parte, potrebbe restituirci una parte del potere d’acquisto perduto.