Home » Cucine nascoste: viaggio nei ristoranti del futuro

Cucine nascoste: viaggio nei ristoranti del futuro

Cucine nascoste: viaggio nei ristoranti del futuro

Gli esperti le chiamano dark kitchen. In realtà di «oscuro» hanno soltanto il nome. Si tratta di laboratori di gastronomia super sofisticati che producono piatti per locali più o meno stellati e anche per le catene di food delivery. Ecco i più famosi.


Se sei il proprietario di dieci ristoranti, è meglio avere 10 pasticceri che fanno il tiramisù in ognuna delle tue cucine o un solo pasticcere che in una sola cucina sovraintende a tutti i tuoi tiramisù? Oppure: non hai ristorante e non vuoi averlo, ma hai attrezzato un laboratorio, dove si producono piatti descritti e ordinati online e consegnati con il delivery secondo le tue ricette o secondo le ricette di altri che te le hanno appaltate. Sono formule diverse che spesso la gente sovrappone e confonde perché la fisicità, anche quella dei luoghi, è un concetto oggi sempre più sfumato.

Nel primo caso si tratta di una cucina centralizzata, decentrata rispetto ai ristoranti della proprietà; nel secondo si tratta di dark kitchen o ghost kitchen o hidden kitchen o virtual kitchen, cucine dove si producono piatti che partono di lì per approdare alla porta di casa col food delivery.

Ma non c’è niente di dark in queste cucine, posto che dark, hidden e ghost, come nella letteratura noir o come nel caso del ghost writer, una penna che scrive per conto terzi, sottintendano procedimenti con qualcosa da nascondere. Luca Monica, consulente strategico di alta gastronomia, non ha dubbi sul fatto che ambedue le formule rappresentino la cucina del futuro. E di un futuro migliore, a cui la pandemia ha regalato la marcia in più definitiva.

I vantaggi economici, igienici e qualitativi sono indiscutibili. A cominciare dall’assillo ecologico. Dichiara Monica: «Una cucina fuori dal centro alleggerisce enormemente il traffico delle consegne e il problema della raccolta differenziata. Oggi in una grande città sarebbe inimmaginabile una salumeria come Peck, quasi di fronte al Duomo di Milano, che lavora tutto all’interno di spazi enormi di sua proprietà e in dicembre spende 20.000 euro extra di smaltimento rifiuti».

Con questo punto di vista Luca Gatto, al timone dell’azienda familiare che nel 2007 rilevò lo storico Savini in Galleria a Milano, con l’arcaica cucina dei tempi della Callas, e che con il marchio Granaio gestisce due caffetterie-ristoranti centralissimi in città e due a Londra, ha organizzato un centro di lavorazione di 4.800 metri quadri in Brianza. Da lì partono le preparazioni pronte per i tocchi finali dello chef: la cottura, la scottatura, la salsa, il cappero. Un colosso.

Ma la cucina dislocata è l’idea vincente anche per i giovani imprenditori con un sogno nel cassetto. Vittoria Zanelli, 29 anni, al suo ritorno dalla California accarezzava l’idea di lanciare a Milano il poke, quelle ciotole di origine hawaiana, salutari e saporite che i surfisti mangiano nei piccoli locali sulle spiagge della costa. Con l’amico e oggi socio Matteo Pichi, ex manager di Glovo, nel 2018 è scattata l’idea di Poke House. All’inizio, solo un brand virtuale su delivery, oggi il marchio di 12 locali tra Milano, Roma e Torino, con laboratorio di 500 metri quadri a Rozzano e uno chef sottratto a un ristorante famoso che ha messo a punto il menu e si occupa del training di una quindicina di addetti e cuochi.

Miscusi, giovane catena di ristorantini di pasta, in punti strategici di Milano, Torino, Firenze, all’inizio faceva in ogni locale la propria salsa di pomodoro soggetta a ogni genere di imprevisti, poi ha migliorato e reso costante la qualità affidandola a un produttore siciliano che la prepara secondo la ricetta Miscusi a partire dalla raccolta dei pomodori più adatti.

«Ma per chi ancora crede che l’asterisco del surgelato significhi “inferiore rispetto al fresco”, è difficile capire che oggi la tecnica consente di trasferire un prodotto eccelso a qualsiasi latitudine», continua Monica. «È più buono e sicuro un tonno pescato e surgelato a -80 gradi sul peschereccio e arrivato in tavola senza aver mai lasciato la catena del freddo o uno che ha viaggiato nel frigo di un camion, è stato esposto sul bancone, è rimasto invenduto ed è stato rimesso in frigorifero? Oppure, basta pensare al pane messo a punto dallo chef Niko Romito, prodotto abbattuto, surgelato e imbustato nel suo laboratorio a Castel di Sangro in Abruzzo, per essere spedito fino a Shanghai dove risorge straordinario, caldo, croccante».

Naturalmente tutto ciò è possibile grazie a strumenti avanzatissimi. Da quelli per le cotture sottovuoto e a vapore, alla friggitrice a pressione, da cui nasce l’irresistibile golosità delle patatine di McDonald’s, al RoboQbo, in grado di cuocere, raffreddare, concentrare, impastare, raffinare, tagliare, miscelare, omogeneizzare, polverizzare ogni tipo di prodotto alimentare. Costo? Centomila euro sono da mettere in conto per una cucina altamente performante che però diventa economica e vantaggiosa sfruttandone la capacità produttiva per altri.

Ti serve una vellutata, o una torta di mele, o un minestrone di legumi perfetto? La dark kitchen ti affitta per il tempo necessario la funzione del suo RoboQbo specifica per le tue esigenze. E può acquistare per te la materia prima trattando i prezzi coi fornitori che preferisci nel momento migliore.

La fluidità del concetto dark si presta anche a varianti incrociate. Foorban, che sta per Food urban, spiega Marco Mottolese, uno dei fondatori con esperienza nel catering alto, «è un ristorante digitale centrato sulla pausa pranzo. Ovvero una cucina senza coperti con un menu salutare e leggero, studiato da una nutrizionista, che cambia ogni settimana».

È la versione più aggiornata della mensa aziendale, un concetto già arcaico sostituito dall’ordinazione del piatto sul cellulare, unita a un angolo-negozio che percepisce l’ordine e lo mette a disposizione nell’azienda stessa. Nessuna manipolazione, nessuna coda, grande scelta, grande qualità.

Se poi hai un concetto gastronomico da sviluppare, o vuoi far crescere il tuo marchio dalla strategia, alla ricetta elaborata e controllata da un professionista, al lancio, alla consegna su due ruote, senza andare a bussare a una decina di porte diverse, ci sono le dark kitchen con pensatoio creativo a tutto tondo. Come Delivery valley, creata dal cuoco-imprenditore-food blogger-concorrente di Master Chef 2, Maurizio Rosazza, che produce il pret-à-voyager per un vasto parterre di clienti e per sé medesimo con marchi percepiti in rete come ristoranti di specialità divertenti. Giga Burger, Lievito Mother Fucker, Gira Gira Arrosto, Fritti Fighters.

Eppure questi straordinari hub del cibo, con garanzie igieniche all’avanguardia, restano nell’ombra. A pochi interessa sapere che il sushi venduto da Esselunga è lavorato in uno stabilimento altamente specializzato a Biandrate, vicino a Novara, o che i dolci di Antonino Cannavacciuolo, dalle sfogliatelle al panettone, nascono nel suo nuovissimo laboratorio artigianale a Suno, vicino a Novara.

Certo, per ora sono luoghi solo tecnici. Ma sono destinati a diventare spettacolari come quelli di Singapore o Dubai dove il reparto di cucina veg ha il pavimento di marmo verde e gli addetti in tute verdi, quello della carne è tutto in rosso, e quello della pasticceria è color oro. E pensare che negli anni Settanta facevamo «oooh» davanti alle aragoste piene di conservanti delle vetrine delle gastronomie…

© Riproduzione Riservata