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Viaggio nei non luoghi

Viaggio nei non luoghi

Città industriali abbandonate, «copie» di capitali illustri, isole impossibili e confini contesi. Dall’Oriente alla Pianura padana, passando per la Danimarca e l’Appennino laziale. Un Atlante traccia la mappa dei 100 posti «inutili», ma ricchi di vicende straordinarie. Una rivincita della geografia e della storia in un mondo sempre più virtuale.


Mai visto un villaggio western sopra Domodossola. Eppure c’erano le baracche di legno, la chiesa, la scuola, il saloon e forse anche il pianista. Provaci ancora Sam. Casablanca o El Paso? Si chiamava in modo più ruspante, Balmalonesca, ed era grande: ci abitavano i 5.000 operai arrivati da ogni parte d’Italia che alla fine dell’Ottocento scavarono i 19,8 chilometri del tunnel ferroviario del Sempione. La città attraversata da strade di fango, «nera di fumo e sudiciume» come la descrisse un reportage del Corriere della Sera, era adagiata accanto al torrente Diveria, nella valle omonima opportunamente ribattezzata «Val d’ul bòcc», la valle del buco. Frenetica e violenta, era la residenza dei minatori che portarono a termine la titanica impresa di congiungere Italia e Svizzera.

Ancora oggi foto seppiate sono l’unica testimonianza dell’esistenza di questo «C’era una volta il West» all’italiana. Dove (sempre dal Corriere) «fra un ballo e una bicchierata si accende una rissa furiosa a colpi di rivoltella, di bottiglie e di sedie». Una volta inaugurata la galleria nel 1906, Balmalonesca cominciò a spopolarsi e diventò rifugio di viandanti alla deriva e malviventi in fuga. Finché, nella notte del 29 settembre 1920, dopo giorni e giorni di piogge, un’onda di piena del torrente travolse e spazzò via il villaggio dalle mappe.

Cento pepite come questa, raccolte sulla carta geografica del pianeta, compongono un atlante unico nel suo genere: quello dei luoghi che «non» hanno fatto la Storia, ma che per un attimo l’hanno vissuta, tenuta a battesimo. S’intitola Atlante inutile del mondo, lo ha scritto il cartografo Albano Marcarini e lo ha pubblicato da poco l’editore Ulrico Hoepli. È un repertorio di anomalie geopolitiche che di rado hanno avuto un posto al sole; un mondo ribaltato, non a caso sulla copertina c’è un’Italia al contrario. È una collezione affascinante di repubbliche scombinate, regni effimeri, imprese utopiche, isole perdute o mai nate, assurdità confinarie.

Quella in assoluto più incredibile è in Italia: il camposanto di Merna, attraversato dal confine fra Italia e Slovenia. Durante la Guerra fredda, la recinzione tagliò in due un defunto: la testa all’Ovest, il resto a Tito. Nell’atlante si trovano città improbabili come Tianducheng, una Parigi costruita in Cina perfino con la Tour Eiffel, oggi in rovina. Come Zzyzx, sopra Los Angeles, nel deserto del Mojave, fondata nel 1944 da un predicatore evangelista che cominciò a imbottigliare acqua maleodorante facendola passare per toccasana contro ogni malanno. Oggi è abitata da un eremita, «l’unico a poter sopportare temperature da altoforno».

O come Benzinopoli, alle porte di Milano. Era la città della benzina, non un distributore qualsiasi. Realizzata a Pero all’inizio degli anni Sessanta, «stava di fronte a una delle più aromatiche raffinerie lombarde, la Condor, i cui fuochi dall’alto dei camini illuminavano le notti di un hinterland ancora vagamente campestre» scrive Marcarini. Benzinopoli era il simbolo dell’Italia che andava a motore. Erano i tempi delle «500» e delle «600», delle Bianchine, delle Lambrette. Delle benzine Ozo, Aquiloil e Caltex che si pagavano 110 lire al litro. Lo stile architettonico derivava dalle petrol station americane: angoli e vetrine arrotondate, pensiline in cemento, insegne al neon «di pomposa araldica petrolifera».

C’erano l’albergo, il ristorante con il menu «à la pompe», l’officina e il gommista. Dopo la crisi petrolifera del 1973 diventò una ghost town; l’ultimo colpo di piccone glielo ha dato l’Expo, servivano parcheggi. Con l’atlante inutile si parte per un viaggio meraviglioso. Apri una pagina a caso, con relativa cartina, e ti trovi per esempio a Filettino (Frosinone), dove nel 2011 la giunta comunale proclamò quelle terre «principato». Un gesto eccentrico per protestare contro l’azienda idrica Acea che non voleva cedere compensazioni per il prelievo di acqua dalle sorgenti. Con il Liechtenstein come modello, Filettino battè moneta coniando il Fiorito (un fiorino a km zero) e minacciò di allestire una Nazionale di calcio. Emanuele Filiberto propose di farne una Montecarlo di montagna, l’avvocato Carlo Taormina diventò principe reggente, il regista Pasquale Squitieri capo del governo.

Però nessuna nazione al mondo riconobbe la sua esistenza e oggi il sito del Comune stende un velo pietoso su quella pagina di storia locale. Ne apri un’altra, di pagina, e trovi l’Ipposidra, mostro tecnologico che riporta all’epopea di Fitzcarraldo. È una ferrovia a cavalli adibita al traino delle barche per superare le salite, realizzata a metà 800 in Lombardia, lungo il Ticino, fra Lonate Pozzolo e Sesto Calende. A naso, è una stupenda meta per una gita in bicicletta.

Nel libro nulla sembra più provvisorio dei confini geografici: c’è la diga in Val di Lei conquistata dalla Svizzera con un’abile manovra diplomatica, e c’è la guerra fra Italia e Francia per accaparrarsi la cima del Monte Bianco, ovviamente finita con la vittoria di Parigi. Uno storico pareggio riguarda invece la gestione dell’Isola dei Fagiani sul fiume Bidassoa, al confine fra Spagna e Francia nei Paesi Baschi: sei mesi a testa.

L’isolotto sarebbe già stato trascinato via dalle acque del fiume fra il disinteresse generale se non fosse un luogo sacro della diplomazia europea: qui Francesco I fu restituito ai francesi dopo la disfatta nella battaglia di Pavia; qui la figlia di Enrico IV, Isabella, diventò promessa sposa di Filippo IV e contemporaneamente Anna d’Austria si concesse a Luigi XIII. Lo scambio nuziale fu immortalato da una tela di Rubens. Soprattutto qui il cardinal Mazarino firmò la pace dei Pirenei che chiuse la guerra franco-spagnola. Tutto su un’isola grande quanto un campo di calcio.

Le isole impossibili sono ben rappresentate anche da Oil Rocks, la città postatomica creata sui condotti petroliferi del mar Caspio in Azerbaidjan, e da Helgoland, al largo della costa tedesca del mare del Nord, dove Werner Heisenberg intuì la Teoria dei quanti e dove Wolfgang Goethe disse: «Qui abita lo spirito primordiale del mondo». Per la posizione strategica è stata bombardata dagli inglesi nella Seconda guerra mondiale. Volevano inabissarla e non ci sono riusciti.

L’isola più paradossale del mappamondo impazzito è San Juan Island, davanti a Vancouver. Lì nel 1859 un maiale di razza Large Black (quindi inglese) fu ucciso da un contadino americano esasperato perché gli aveva distrutto l’orto. Quando le autorità britanniche minacciarono l’arresto dell’«assassino», gli americani mandarono i soldati e gli inglesi le navi da guerra. La paranoica escalation svanì con un arbitrato gestito addirittura dal Kaiser. Solo un atlante folle ma utilissimo può rivelarci come andò a finire: oggi l’isola appartiene agli Stati Uniti ma ogni giorno sul pennone sventola la Union Jack.

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