Nato per la ricerca su giacimenti di gas e petrolio, il «cervellone» Eni-HPC5 ora aiuterà il Cnr e l’Istituto superiore di Sanità nell’emergenza del Covid-19. Ma la sua immensa capacità di calcolo, largamente eco-sostenibile, servirà anche a studiare l’energia alternativa del futuro.
Lui non lo sa ancora. Il suo giovane cervello è fatto di lunghe file di armadi neri, al cui interno luccicano centinaia di led verdi e azzurri immersi in chilometri di cavi: è nato per macinare dati su giacimenti di gas e petrolio, producendo un sibilo costante. Ma presto potrebbe anche dare una mano nella guerra contro il coronavirus: nelle ultime righe di un comunicato diffuso dall’Eni il 13 marzo, in cui il gruppo ricorda il suo impegno a fianco della sanità italiana e della ricerca scientifica nell’emergenza Covid-19, viene annunciato che «la società ha in corso di finalizzazione delle partnership con l’Istituto dei sistemi complessi del Cnr e con l’Istituto superiore di Sanità per l’utilizzo delle capacità di calcolo e modellizzazione per la ricerca medica collegata alle malattie infettive, del supercalcolatore Eni-HPC5».
Per studiare il virus occorre elaborare un’enorme quantità di dati e il supercalcolatore dell’Eni può diventare uno strumento estremamente utile per i ricercatori. Inaugurato il 6 febbraio scorso, l’HPC5 (High Performance Computing 5) è uno dei vanti del gruppo di San Donato. Collocato nel Green data center di Eni a Ferrera Erbognone (Pavia), una struttura formata da sei edifici divisi in due corpi simmetrici e parzialmente interrati, il cervellone affianca l’HPC4, triplicandone la potenza di calcolo da 18 a 52 PetaFlop al secondo, cioè 52 milioni di miliardi di operazioni matematiche svolte in un secondo.
Complessivamente l’ecosistema di supercalcolo Eni raggiunge una potenza di picco totale pari a 70 milioni di miliardi di operazioni al secondo ed è l’infrastruttura di supercalcolo dedicata al supporto di attività industriali più potente al mondo (seguita da quella della concorrente Total che si ferma a 25 PetaFlop). Nel Green data center, collegato attraverso linee dedicate ad alta capacità e velocità alle sedi dell’Eni, c’è anche un primo back-up di tutti i dati al quale se ne aggiunge un secondo a decine di chilometri di distanza. Nel centro lavorano cinque persone, mentre gli specialisti che da remoto si avvalgono del supercomputer si contano a decine.
Ma a che cosa serve un «cervello» così prestante, realizzato in collaborazione con Dell Technologies, a una società energetica? Per rispondere basterebbe ricordare che nel 2015 il suo «antenato» HPC2 contribuì alla scoperta del più importante giacimento di gas del Mediterraneo, Zohr, davanti alle coste egiziane. Un’area dove altre compagnie petrolifere avevano già effettuato delle ricerche senza successo: l’intuizione dei geologi del Cane a sei zampe, unita alla capacità del supercomputer di elaborare tanti dati riducendo l’incertezza, ha permesso al gruppo italiano di ottenere così un risultato straordinario.
Per studiare che cosa è nascosto nelle profondità del sottosuolo si utilizza l’imaging sismico. In pratica, le onde acustiche che dalla superficie si propagano sottoterra vengono parzialmente riflesse verso l’alto dagli strati di roccia; dalla registrazione in superficie delle vibrazioni riflesse si ottengono le informazioni necessarie per ricostruire un’immagine tridimensionale di ciò che si trova anche chilometri più in basso. Queste immagini vengono costruite con algoritmi che si nutrono di un ammontare incredibile di numeri. La quantità di dati raccolti in una tipica acquisizione sismica si misura nell’ordine dei terabyte, cioè migliaia di gigabyte.
L’HPC5 permette all’Eni di effettuare ricerche più accurate, di battere sul tempo i concorrenti e di accorciare i tempi di messa in produzione di un giacimento. Il supercalcolatore è utile anche per accompagnare l’Eni nella sua trasformazione verso l’energia del futuro: la potenza di calcolo disponibile col nuovo HPC5 verrà utilizzata per progetti di studio del clima, oltre a supportare la ricerca e lo sviluppo di tecnologie per lo sfruttamento dell’energia del sole e del mare e quella sulla fusione nucleare. Un cammino che Eni sta percorrendo con partner nazionali e internazionali come la Stanford University, il Mit di Boston, il Cnr, il Politecnico di Torino, Dell Technologies.
Tra l’altro, il Green data center è stato sviluppato in modo da consumare meno energia rispetto a centri simili: utilizza infatti un sistema «free cooling» che regola la temperatura usufruendo, per almeno il 92% del tempo, direttamente dell’aria esterna senza alcuna necessità di raffreddamento. L’alimentazione è assicurata anche da un parco fotovoltaico adiacente, in grado di fornire fino al 50% della potenza necessaria ai supercalcolatori installati e, per il fabbisogno restante, dalla centrale termoelettrica di Enipower, situata accanto al centro.
Ma c’è una caratteristica che ha reso speciali i sistemi di calcolo ad alte prestazioni dell’Eni: nel 2013 gli informatici del gruppo svilupparono un’architettura totalmente originale dei loro supercomputer, che sfruttava, e sfrutta tuttora, alcune caratteristiche delle schede grafiche, nel gergo le cosiddette GPU. Un passo avanti che consente di effettuare ancora più calcoli riducendo i consumi di energia. Una genialata che è stata poi replicata dai concorrenti. Ma intanto l’Eni mantiene il suo vantaggio in termini di potenza. Con un possibile beneficio anche nell’attuale battaglia contro la pandemia da Covid-19.
