Conquistata la società, Elon Musk si scaglia contro i falsi profili e gli eccessi del «politically correct», procede con licenziamenti di massa e, dopo aver suggerito di votare repubblicano alle elezioni di Midterm, ora si allinea ad alcune parole d’ordine di Donald Trump… Dove punta il fondatore di Tesla?
Nessuno può negarlo: è un geniale creatore d’aziende. Tanto che prima dell’ultima crisi globale, nel novembre 2021, era stato anche il primo uomo della storia a mettere assieme un patrimonio superiore ai 300 miliardi di dollari. Ma da qualche settimana che cosa sta passando per la testa di Elon Musk? Dal 27 ottobre, il giorno in cui ha speso 44 miliardi per prendersi Twitter, il più politico dei social network, l’imprenditore ha inanellato una serie di mosse contraddittorie, se non sconclusionate.
Il giorno stesso dell’acquisizione, Musk ha cacciato la prima linea dei top manager di Twitter, lasciandola pericolosamente sguarnita. Il taglio è partito dall’amministratore delegato Parag Agrawal, l’ingegnere d’origini indiane che dal 2021 ha sostituito alla guida della società il suo fondatore, Jack Dorsey. La decisione ha stupito, perché Agrawal è tra i migliori esperti mondiali del settore e s’era mostrato tra i più favorevoli all’offerta d’acquisto di Musk e alla sua rivoluzione. Il 5 novembre, poi, il nuovo azionista ha licenziato in tronco 3.700 dipendenti di Twitter su 7.500 (in pratica, uno su due) per decidere solo 48 ore più tardi che alcune centinaia di quegli stessi tecnici andavano richiamati d’urgenza in quanto «indispensabili».
Per non parlare del caos che il tycoon ha creato con l’idea d’imporre un abbonamento agli utenti che vogliono la certificazione d’autenticità garantita dal «bollino blu» accanto al nome. Subito dopo essersi aggiudicato Twitter, Musk aveva scritto che quella «medaglietta», fin qui attribuita a circa 400 mila profili più importanti e sensibili – politici, personaggi dello spettacolo, giornalisti famosi e istituzioni – doveva costare 20 dollari al mese. La giustificazione? Accrescere le entrate di una società che «perde 4 milioni di dollari al giorno». La mossa, però, è stata subito osteggiata da molti diretti interessati. E quando lo scrittore Stephen King, forte di 7 milioni di follower, ha minacciato di dare l’addio alla piattaforma, il timore che s’innescasse un esodo di massa ha costretto Musk a rivedere le sue ambizioni: il prezzo è già sceso a 8 dollari, e forse calerà ancora.
Va detto che la fallimentare campagna per il bollino blu a pagamento non avrebbe certo risollevato i conti del social network. E in più ha contraddetto in pieno una delle idee centrali su cui Musk aveva basato la sua campagna di conquista, ossia che da Twitter dovessero essere cancellati i troppi account falsi. Da quando lo scorso aprile ha lanciato la scalata alla società, ha continuato ad annunciare ai suoi 114 milioni di follower che le «fake news» e la propaganda proveniente dall’estero sarebbero state contrastate eliminando gli account non corrispondenti a profili certi e i «bot», cioè gli utenti non umani, ma informatici, che si stima siano il 10 per cento su un totale esistente di 1,3 miliardi.
Molti di questi falsi account sono russi o cinesi, e si sospetta abbiano influenzato alcuni cruciali passaggi elettorali negli Stati Uniti ed Europa. Del resto, è vero che dal 2009 Pechino ha messo al bando Twitter, ma centinaia di diplomatici e giornalisti di regime continuano ad avervi libero accesso. E mentre la Russia oggi è attiva sul social network con decine di migliaia di finti profili che cercano di giustificare la sua «operazione militare speciale» in Ucraina, negli anni scorsi la Cina ha usato centinaia di migliaia di bot per influenzare l’opinione pubblica occidentale contro le disperate proteste per la libertà di Hong Kong. Non per nulla, nel giugno 2020 Twitter aveva cancellato 23.750 profili cinesi che diffondevano la propaganda di Pechino in lingua inglese, più altri 150 mila che ne moltiplicavano la forza attraverso i re-tweet. Davanti a tutto ciò, la mossa falsa di Musk sul «bollino blu» sembra un incredibile boomerang.
Il problema al momento forse più grave, però, riguarda la pubblicità. Fin qui uno degli slogan più forti di Musk è stata «free speech», libertà di parola. La tesi del nuovo azionista è che i limiti di linguaggio imposti agli utenti da Twitter siano stati spesso eccessivi, risolvendosi in una censura preventiva e irrazionale. Il caso più eclatante, quello di Donald Trump, che il social network aveva cacciato nel gennaio 2021, dopo l’assalto al Campidoglio, per «il rischio di ulteriori incitamenti alla violenza». Negli ultimi mesi Musk ha continuato a ripetere che avrebbe limitato l’ottuso «politically correct» che piace tanto ai democratici americani e alla sinistra globale, e ha lasciato intendere che avrebbe riammesso l’ex presidente Usa e molti come lui. È anche per questo che Trump ha applaudito la vittoria di Musk: «Sono molto felice che Twitter ora sia in buone mani e non sia più guidata da lunatici radicali di sinistra».
Eppure ora il «free speach» terrorizza molti inserzionisti. Ecco che General Motors, Pfizer e Audi hanno sospeso la pubblicità su Twitter. Così, anche in questo caso, Musk è stato costretto a mitigare le sue ambizioni: ora dice che varerà un «consiglio di moderazione dei contenuti». Serviranno però settimane per le nuove regole e per i primi reintegri, tra i quali (finora) si continua a ipotizzare quello di Trump. Subito dopo, però, Musk ha scritto che esporrà al pubblico ludibrio dei suoi follower tutti gli investitori che ritireranno il proprio budget: una minaccia che, ancora una volta, rischia di essere controproducente.
Certo, al di là di questi gesti ondivaghi, l’acquisto del social fatto da Musk sta già modificando un pezzo della realtà massmediologica statunitense. Mimetica, società di indagini digitali, stima che dopo il 27 ottobre Twitter abbia registrato un forte aumento di account filo-repubblicani, con circa 100 mila nuovi account in 48 ore, per due terzi orientati a destra, mentre molti soggetti di estrema destra già attivi sulla piattaforma hanno visto aumentare i loro follower. Al contrario, gli account di politici progressisti e di molte celebrità di Hollywood, spesso orientate a sinistra, hanno perduto peso.
I più colpiti sono stati l’ex presidente Barack Obama (aveva 133,5 milioni di follower e in 48 ore ne ha persi 200 mila) e la democratica radicale Alexandria Ocasio-Cortez. A sorpresa, dopo essere stato per anni equidistante tra repubblicani e democratici, dalla fine di ottobre lo stesso Musk ha inizato a prendere di mira esponenti cult della sinistra americana e a dare inusitati segnali di preferenza per le tesi repubblicane. Con un tweet, per esempio, ha polemicamente confrontato gli 8 dollari che chiede per il «bollino blu» del profilo certificato e i 58 dollari che sono il prezzo (oltre sette volte superiore) della felpa per i sostenitori della Ocasio-Cortez. Poi ha lanciato un sondaggio per chiedere ai follower se i proventi della pubblicità di Twitter debbano essere impiegati per accrescere la libertà di parola o a sostegno del politically correct, e più del 78 per cento ha risposto per la prima opzione. Infine, il 7 novembre, ha esplicitamente «raccomandato» ai suoi follower di votare repubblicano alle elezioni di mid-term.
I democratici non gradiscono, e danno segni crescenti di ostilità. Il loro senatore del Connecticut, Chris Murphy, ha segnalato che Musk ha incassato quasi 2 miliardi di dollari dal principe saudita Alwaleed bin Talalh, divenuto così il secondo azionista di Twitter, e ha chiesto indagini immediate al Comitato per gli investimenti esteri negli Usa, un ente federale guidato dal segretario al Tesoro e partecipato dai dipartimenti di Stato, della Difesa, della Giustizia e della Sicurezza interna. I giornali liberal, dal New York Times al Washington Post, insinuano che in Twitter Musk abbia coinvolto altri finanziatori «pericolosi» in Cina, e segnalano che ha versato 375 milioni di dollari anche la Qatar Holding, controllata dal fondo sovrano del Paese, spesso accusato di foraggiare il terrorismo islamico.
Musk, tuttavia, mostra di non curarsene. Anzi, sembra quasi puntare al perfetto allineamento con l’ex presidente, come se avesse deciso di parteggiare per la sua rielezione. In agosto Trump aveva criticato la visita a Taiwan di Nancy Pelosi, la speaker democratica, e aveva sostenuto il punto di vista di Xi Jinping, che l’aveva bollata come «una grave interferenza». E ora il tycoon s’è messo a dire che «sarebbe un bene se Taiwan fosse almeno in parte governata da Pechino». È noto poi che Trump sia vicino alla Russia e a Vladimir Putin, e ai primi d’ottobre Musk ha cominciato a scrivere su Twitter che l’Ucraina dovrebbe cercare «una via d’uscita negoziale» del conflitto con Russia e «prepararsi a cedere per sempre la Crimea». Ma questo, probabilmente, è solo l’inizio. Lo strano ballo in Musk di Twitter ne farà vedere, di stranezze…