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Simone Moro: «Affronto gli Ottomila da solo. Ma il mondo si salva insieme»

Simone Moro: «Affronto gli Ottomila da solo. Ma il mondo si salva insieme»

«Quel che è successo sulla Marmolada l’ho visto anche sull’Himalaya…». Il più famoso alpinista italiano in attività riflette sul cambiamento climatico che «mangia» i grandi ghiacciai. E dà consigli concreti e immediati per provare a invertire il disastro. Ma aggiunge: «Chi va in montagna, metta in conto l’imprevisto. Perché anche questo è vita».


«Abbiamo un cubetto di ghiaccio da drink che si scioglie sul tavolo. Dovremmo raffreddarlo, invece non facciamo niente. Evaporerà con noi». Simone Moro ama le metafore. L’alpinista italiano più famoso in attività ha piantato il tricolore su otto cime del club degli Ottomila e ha dormito su quasi tutti i ghiacciai del pianeta: «Erano piumoni, adesso sono lenzuoli». In attesa dell’impresa invernale della vita («Voglio il Manaslù, mi ha respinto per quattro volte»), l’esploratore di vette trascorre l’estate in Tv e sui giornali a difendere la Grande Madre Montagna. Da tutti. Dai negazionisti del clima, dai burocrati metropolitani ma anche dagli ecologisti fanatici e soprattutto dagli italiani da divano. Quelli che giudicano il dramma, la fatica, il fascino selvaggio della natura davanti allo schermo, con i talloni appoggiati al tavolino da caffè.

Simone Moro, a un mese dalla tragedia della Marmolada si può dire qualcosa di definitivo?

È una domanda continua, è un tema che questa volta ha colpito. Per fortuna in questo caso non si parla di montagna assassina o di alpinisti sprovveduti perché se così fosse avremmo già le risposte. Questa volta nessuno cerca colpevoli che non ci sono ma tutti si pongono domande.

Quali sono le risposte?

Non c’è stata negligenza e non c’è l’amministratore di turno da indagare. Qui la responsabilità è nostra come umani. La colpa è di ciò che sta accelerando il processo naturale dei cicli di riscaldamento e raffreddamento del pianeta. È l’influenza negativa di certe nostre attività a condizionare processi geologici in passato del tutto naturali.

Come fa ad esserne sicuro?

Se Annibale ha attraversato le Alpi con gli elefanti è evidente che quello era un periodo di arretramento dei ghiacciai.

Quindi problema risolto. Sono cicli.

Ma questo è forzato, la curva ciclica rischia di essere letale perché oggi l’umanità è un acceleratore. In Marmolada è successo l’esempio dell’anguria: la tagli a metà, fai appoggiare la parte piatta su un tavolo, il piano è leggermente inclinato. Hai una dolce schiena di mulo… Improvvisamente l’anguria cade e si spezza e rimane solo la porzione verticale. Non era prevedibile, è avvenuto per l’assottigliamento della calotta. L’ho visto succedere anche in Himalaya, ad altitudini superiori e su ghiacciai molto più grandi.

C’è chi chiede di normare l’accesso alle montagne in certe condizioni climatiche.

La montagna non è una spiaggia dove tutte le persone sono radunate in un punto, l’elemento natura selvaggia è il mare e le bandierine rosse impediscono di fare il bagno. La natura di montagna non è incasellabile. Sarebbe come dire che è meglio non andare in auto per non fare incidenti.

Stiamo semplicemente rifiutando l’idea del pericolo e della morte.

Ce lo stiamo dimenticando, eppure la natura umana lo prevede. Facciamo di tutto per proteggere la vita, ed è giusto. Ma non è stando su un divano in un locale climatizzato che la proteggiamo, semmai la sprechiamo. Perché rifiutiamo l’imprevisto che potrebbe arricchirla.

Serve un esempio chiarificatore.

Quando ci addentriamo anche solo sul Canto Alto o in Presolana, se siamo terrorizzati dal sasso, dal fulmine, dall’orso, noi abbiamo annientato la nostra natura e perso il vantaggio di svelare a noi stessi il mondo sconosciuto. Poi si può fallire, ma quella è naturale biologia.

Torniamo al «climate change». Si tocca con mano anche sugli Ottomila?

Eccome. Ho visto l’Everest cambiare mostruosamente, anno dopo anno mettevo i ramponi mezz’ora dopo. Dalla prima spedizione del 1992 ho dormito su tutti i ghiacciai della Terra tranne quelli dell’Alaska; stanno arretrando. Se un ghiacciaio di 70 chilometri arretra di 1,5 il somaro di turno dice: vabbè. Ma un ghiacciaio è una coperta, un piumone. E a un certo punto diventa un lenzuolo. È il primo passo per scomparire.

La soluzione è inserire il tema nelle campagne elettorali?

Ho i mei dubbi. Il cubetto da drink si sta sciogliendo sul tavolo e io vedo l’uomo spettatore. Eppure l’inversione di tendenza è nelle nostre mani. Dovremmo smettere di essere solo consumatori di risorse come accade dalla Rivoluzione industriale.

Cosa consiglia?

Docce più brevi. Basterebbe diminuire del 50 per cento i tempi per risparmiare miliardi di metri cubi d’acqua. Oggi in media usiamo 70 litri a testa per doccia, se moltiplichiamo per 60 milioni di italiani abbiamo la dimensione dello spreco. Noi occidentali siamo gli unici ad avere acqua potabile negli scarichi del water, ma le pare?

Altri accorgimenti virtuosi?

È inutile tenere il termostato sui 24 gradi in casa d’inverno, le nostre nonne ne avevano 18, si mettevano il golfino, eppure hanno fatto l’Italia. Quando parto dall’aeroporto di Orio vedo code interminabili davanti alla scala mobile per salire ai «gate». In parte ci sono le scale, le usa solo il Moro. Smettiamola di prendere l’ascensore per fare tre piani.

Altri sberloni per il popolo?

L’ultimo. Le spie degli stand-by in casa: Tv, macchina del caffè, impianti hi-fi, serve l’energia di una centrale nucleare per alimentare le spie rosse d’Europa. Ma spegni e accendi. E il telefonino ricaricalo in macchina, così sfrutti l’energia della batteria. La protezione dell’ambiente è un impiccio? Ma è roba nostra e non è infinita.

Sull’altra sponda ci sono gli ecologisti dell’immobilismo: non si toccano i boschi, non si puliscono i fiumi.

Fin dalle Sacre Scritture per chi ha fede, l’uomo è stato creato come regolatore virtuoso e non distruttore. Ma l’immobilismo non regola niente. Il vigile al centro dell’incrocio non può stare fermo a braccia conserte, creerebbe il caos. Mio nonno Domenico Moro andava con il cavallo e il carretto a caricare la sabbia del Brembo e la vendeva ai cantieri. Teneva pulito il corso d’acqua.

Perché sarebbe un delitto?

Oggi se porti via un albero caduto per fare legna vieni denunciato. L’idea monovalente a compartimenti stagni è che sotto la pietra del fiume c’è un microcosmo che non può essere toccato. Intanto sulle sponde del fiume c’è un macrocosmo che sta per saltare in aria. I fiumi devono essere dragati e puliti. Sarebbe bene farlo adesso che sono in secca. Ma sa perché non accade?

Ce lo spieghi.

Perché a regolamentare il mondo selvaggio della montagna, al grado più alto c’è un signore in un locale climatizzato della metropoli più vicina. E non ha mai visto un’alba alpina.

Invece Moro non vede l’ora di ripartire.

Ho 54 anni, per qualsiasi sportivo sarei un giurassico. Ma nel mondo delle esplorazioni ho ancora gambe proporzionate ai miei sogni. Vorrei portare a casa la scalata invernale del Manaslù in Nepal. È un ottomila, mi ha respinto quattro volte. È il mio Moby Dick.

Per quando prepara gli arpioni?

Mi chiamano l’uomo del freddo, lo affronto il prossimo inverno. Come sempre senza ossigeno, come sempre con un gruppo limitato; gli assalti alle montagne con gruppi imponenti non mi piacciono.

Recentemente ha scritto il libro A ogni passo (Rizzoli), storie di montagna raccontate a suo figlio. Perché?

Jonas ha 12 anni, vedo nella sua la generazione che può salvare il mondo. Invertire il sistema. Se li rendiamo passivi avremo solo dei consumatori e sarà un disastro. Ho pensato che vivere quello che sto vivendo è un beneficio solo mio. Il libro mi offre la possibilità di condividerlo, di trasformarlo in un’intenzione, in un progetto, in una squadra che si mette in cammino. L’idea è nata durante il Covid, quando sono stato a lungo con lui e ho saputo ascoltarlo.

Che lezione ne ha tratto?

Quando sei nato da poco e ti metti a gattonare, il mondo attorno a te applaude e ti invita ad alzarti in piedi. Fa il tifo, ti fa capire il senso della conquista. Ecco, noi abbiamo smesso di applaudire e incoraggiare i nostri ragazzi, anche quando sbagliano.

Dov’è Jonas in questo momento?

«Mentre noi parliamo sta andando in canoa sul lago del Bernigolo in Val Brembana. Ha campeggiato per la notte in un sacco a pelo. Ma con lui c’è un caro amico, non voglio rischiare l’accusa di abbandono di minore.

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