La «digitalizzazione dei sentimenti», che al posto della realtà preferisce la Rete e i social, genera insoddisfazioni e aberrazioni. Soprattutto fra i giovani.
Sapete chi è Zheng Jiajia? È un ingegnere cinese, esperto di Intelligenza artificiale. Tempo fa, non trovando una moglie adeguata alle sue aspettative, se l’è costruita. Sì, ha creato un robot, le ha dato sembianze fisiche e di carattere a lui gradite, poi l’ha sposato (o sposata). Gira ancora sulla rete il filmato, piuttosto comico, di lui che si porta a spasso la moglie robot. Farebbe ridere, non fosse che nei giorni scorsi una serissima docente italiana, Lucilla Gatt, professore di diritto civile all’Università suor Orsola Benincasa di Napoli, ha tenuto una lectio magistralis proprio sulle nuove frontiere della giurisprudenza: dobbiamo prepararci, dice, a codificare anche i matrimoni fra uomini e computer. La nuova disciplina ha già un nome: «lovotica».
La lovotica, cioè l’incrocio tra amore e robot, e dunque la possibilità di sposare un computer, mi è venuta in mente quando il nume tutelare del Grillo parlante mi ha sottoposto la ricerca della Società italiana di andrologia, secondo la quale il 30 per cento dei giovani sotto i 35 anni conosce solo il sesso virtuale. Un giovane su tre, in sostanza, pratica il sesso attraverso il computer o il telefonino, senza nessuna forma di contatto fisico. «La sessualità», dicono gli autori della ricerca, «appare sempre più sganciata dalla componente relazionale». Secondo Paolo Crepet «è assai probabile che la sessualità intesa come interazione tra un individuo e un altro, negli anni a venire sopravviva come un aspetto episodico».
Un aspetto episodico, ecco. Abbracciare una persona, anziché un computer, sarà un aspetto episodico. Fare l’amore con un uomo o una donna, anziché con uno schermo, sarà un aspetto episodico. Sposare un marito o una moglie in carne e ossa, anziché un robot, sarà un aspetto episodico. E se vi sembra un’esagerazione forse è solo perché, come me, siete rimasti un po’ indietro. Magari vi piacciono persino le cene romantiche a lume di candela, vi piace ancora sussurrare nell’orecchio della vostra o del vostro compagno di vita, vi piace sentire la sua pelle calda sotto le vostre dita. Antiquati che non siete altro. Oggi, per stare al passo con i tempi, bisogna convertirsi alla lovotica. Dovete accoppiarvi solo con un avatar.
Una volta si diceva chi non lavora non fa l’amore. Adesso dovremmo dire chi non chatta non fa l’amore. Non ci credete? Andate a vedere applicazioni come Replika, assai diffuse tra i giovani. Con pochi clic è possibile creare la propria anima gemella, ci si possono scambiare parole d’amore o fantasie piccanti. Si può fare una proposta di matrimonio e aspettare con ansia la risposta. È l’Intelligenza artificiale, bellezza: non siete voi che programmate, è il computer che risponde e agisce come fosse un’altra persona. È, a tutti gli effetti, un’altra persona, a parte il fatto che mancano la carne e le emozioni. Eppure per molti ragazzi queste relazioni diventano normali: prima i rapporti con gli altri sono stati ridotti a «like» su Facebook e chat su WhatsApp. Ora si fa un passo in più e si aboliscono direttamente gli altri. Restano i like e le chat. E gli avatar, ovviamente.
Il problema è che, come rivela la ricerca della Società italiana di andrologia, i rapporti virtuali non regalano nemmeno un’oncia della gioia che regala un rapporto reale. Lo dimostra il fatto che il 50 per cento degli intervistati si dichiara insoddisfatto. Ovvio: avere a che fare con qualche microchip è più facile, ma più triste. Fateci caso: con l’intelligenza artificiale noi stiamo creando un mondo sempre meno umano. Ma tutto ciò che è disumano dà infelicità. Inevitabilmente. Perché va contro la nostra natura, che è quella di animali socievoli, che amano stare in mezzo agli altri, che sono abituati da millenni a toccarsi, abbracciarsi, baciarsi, a asciugarsi le lacrime e tenersi la mano, e che non possono sostituire tutto ciò, da un giorno all’altro, con un algoritmo, per quanto l’algoritmo possa essere sensuale.
Per altro con l’amore virtuale non si crea solo infelicità, ma anche violenza. Perché quei ragazzi che crescono senza conoscere il sesso se non attraverso lo schermo, magari viaggiando tra onlyfans e siti porno, quei ragazzi che amoreggiano con le chat pensando che le persone siano avatar da creare e distruggere a piacimento, ebbene: questi ragazzi quando poi si trovano davanti a veri esseri umani vanno in tilt. Sragionano. A volte diventano pure violenti. Molti degli stupri orrendi compiuti da ragazzini negli ultimi tempi nascono così. E non li fermeremo se non torneremo a insegnare loro a uscire dal mondo virtuale per affrontare quello reale, per quanto sia faticoso. Bisogna tornare ad abbracciare gli uomini e le donne, non gli avatar. E smetterla di pensare che si possano sposare i computer. Fate l’amore non fate la guerra, dicevano gli hippies. Oggi dovremmo aggiungere: fate l’amore, non fate i robot.