Le transazioni con questa moneta di scambio digitale richiedono un’enorme quantità di calcoli complessi e, di conseguenza, un utilizzo di energia che aumenta (e di parecchio) la CO2 nell’atmosfera. La soluzione? Cambiare, laddove è possibile, le nostre abitudini sul web.
Mai prima di oggi un sistema di pagamento aveva proposto problemi così vasti per la storia dell’umanità. Al di là dei suoi risvolti economici, il bitcoin anticipa quale genere di sfide avremo di fronte nei prossimi anni quando buona parte della vita quotidiana, dalle relazioni umane a quelle economiche e di apprendimento, si svolgerà in rete. Ne sono prova i recenti studi su riviste come Energy Research & Social Science e Nature, secondo i quali nell’ultimo anno l’uso del bitcoin ha prodotto emissioni di anidride carbonica comparabili a quelle del Belgio.
La ragione di questo consumo abnorme di energia si spiega con il meccanismo di funzionamento della criptovaluta. Il bitcoin è una moneta di scambio come il dollaro o l’euro, ma esiste solo in forma digitale e non fisica come una banconota. Non è emessa e gestita da una banca centrale ma vive sulla rete, completamente decentralizzata.
I bitcoin vengono scambiati attraverso una tecnologia chiamata blockchain, un archivio digitale crittografato condiviso da tutti gli utenti. Quando avviene una transazione, la sua correttezza deve necessariamente essere valutata da ogni utente della rete e questo richiede un numero elevatissimo di calcoli complessi. I computer che li effettuano assorbono enormi quantità di energia elettrica la cui produzione determina notevoli emissioni di CO2.
Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del Cnr che da anni svolge indagini sulla complessità dei sistemi energetici, commenta: «Oggi le fonti di energia rinnovabile hanno raggiunto un livello di copertura del fabbisogno elettrico mondiale di circa il 30%, ma la cattiva notizia è che il dispendio di energia per gli scambi da bitcoin è molto concentrato in aree dove la produzione di elettricità avviene spesso con il carbone. Si presume, ma non è possibile saperlo con certezza, che queste aree comprendano varie regioni della Cina».
Alcune stime danno contezza delle energie in gioco, continua Armaroli: «Lo scambio di bitcoin ha consumato nell’ultimo anno circa 87 TWh – Terawattora – di elettricità, più o meno un quarto del consumo annuale italiano. Ciò che fa più impressione è che una singola transazione di bitcoin richiede 700 KWh – Kilowattora -, pari al consumo di energia elettrica di una famiglia italiana in oltre due mesi».
Di recente il Comitato esecutivo della Banca centrale europea, come hanno dichiarato alcuni suoi membri, ha anticipato la necessità di emettere un euro digitale a tutela dei consumatori, in vista di un rischio di stabilità finanziaria generato da criptovalute già in uso o di prossima emissione da parte di banche estere. Ci troviamo quindi di fronte a due grandi novità: il nostro consumo di anidride carbonica nella «vita in rete» diviene paragonabile a quello nella «vita reale», con tutte le conseguenze ambientali; e si affaccia la possibilità che in futuro gran parte delle transazioni economiche vengano effettuate con una valuta costituita da bit. Come dire che oltre alle relazioni sociali, economiche e affettive si trasferisce in rete anche la stessa moneta.
Un ulteriore passo verso lo stadio dell’umanità connessa, una sorta di organismo gigantesco in cui ogni individuo diventerà l’equivalente di una singola cellula e forse, un giorno sarà munito di un piccolo e potente terminale di elaborazione e comunicazione impiantato nel corpo. In questa prospettiva, le prossime politiche mondiali sulla neutralità climatica, obiettivo che l’Unione europea si è già data per il 2050, non potranno non tenere conto del ruolo della rete nel produrre emissioni di CO2.
Non si tratta solo di quelle causate dalle transizioni in criptomoneta, ma anche di quelle prodotte dalle azioni della nostra vita digitale quotidiana. «Sebbene l’invio di una email o di un whatsapp produca una quantità di CO2 di parecchi ordini di grandezza inferiore a quella emessa da una transazione in bitcoin» dice Armaroli «bisogna considerare che questi invii vengono effettuati incessantemente dal 60% della popolazione mondiale, la percentuale di utenti che ha accesso alla rete».
Un cambiamento collettivo delle nostre abitudini sul web avrebbe un impatto molto positivo sull’ambiente. Conviene quindi tenere a mente questi numeri: «Per ogni messaggio email semplice vengono prodotti quattro grammi di anidride carbonica, se a questo si aggiunge un allegato, il consumo aumenta di un fattore superiore a 10, almeno fino a circa 60 grammi. Gli sms emettono 100 volte meno di un whatsapp, tanto più se questo contiene allegati. Va poi considerato che un “rispondi a tutti” moltiplica i quattro grammi di anidride carbonica per il numero di destinatari. L’uso intensivo di giochi online ne produce una quantità pari a quella di un frigorifero. Infine, nel rispetto dell’ambiente, bisognerebbe optare per la musica da un file mp3 o da un cd piuttosto che quella in streaming».
Non vanno comunque dimenticati gli aspetti positivi dello sviluppo della rete: una conference call di cinque ore fra persone localizzate in paesi diversi produce fino a due quintali di di CO2, ma fa risparmiare decine di viaggi in aereo che si tradurrebbero in un consumo 10 volte superiore. D’altro canto, gli acquisti via internet hanno portato in Europa a un rialzo delle emissioni rispetto allo shopping tradizionale anche perché le consegne sono talvolta spezzettate, con più viaggi nel tratto finale, dunque più dispendio di energia.
In Italia, i recenti provvedimenti e incentivi di politica ambientale non hanno riguardato i veicoli di trasporto merci, da quelli dei fattorini ai rider del cibo a domicilio. Un grave errore, se si considera che questi sono i mezzi che circolano per più tempo nelle strade e di conseguenza producono più anidride carbonica.
Chi non volesse rinunciare all’uso frequente di transazioni in criptovaluta, giochi online, email, messaggi e tutto le altre azioni quotidiane in rete, ma volesse aiutare l’ambiente, non avrebbe altra scelta che piantare qualche albero. Una pianta giovane e in forte crescita assorbe anidride carbonica per formare, attraverso la fotosintesi, zuccheri che diverranno biomassa. Insomma, l’albero come mezzo di «espiazione» dei propri peccati.