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I segreti di una «poltrona» di successo

I segreti di una «poltrona» di successo

Dal copione accettato quasi per caso alla lite furibonda con Eddy Murphy. John Landis, regista di film cult come The Blues Brothers, svela a Panorama i retroscena del titolo che da 40 anni fa il record di ascolti a ogni vigilia di Natale.


Alla vigilia di Natale mancano ancora sei mesi, ma più di due milioni di italiani sanno già come la trascorreranno: guardando su Italia 1 Una poltrona per due, divenuto un «classico capace di battere in quella giornata qualsiasi controprogrammazione tv. Il film, interpretato da Eddie Murphy e Dan Aykroyd, rispettivamente un senzatetto e un agente di borsa le cui sorti finanziarie vengono ribaltate per scommessa dai fratelli Duke, avidi datori di lavoro di quest’ultimo, usciva esattamente 40 anni fa in America. Panorama ha incontrato al Festival di Taormina John Landis, il regista di questo cult che accettò il progetto in un momento difficile della sua vita: era indagato per la morte dell’attore Vic Morrow e degli attori-bambini Myca Dinh Le e Renee Shin-Yi Chen, avvenuta per un incidente sul set del suo precedente film Ai confini della realtà. «Era un periodo orrendo. Dissi al mio agente di trovarmi qualsiasi cosa fuori città, e mi arrivò la sceneggiatura di un film intitolato Black or White» racconta il regista di altri cult come The Blues Brothers, Un lupo mannaro americano a Londra e Il principe cerca moglie. «Siccome Richard Pryor, che avrebbe dovuto interpretarlo con Gene Wilder, era rimasto ustionato (in un tentativo di suicidio, ndr), il produttore Jeffrey Katzenberg pensò che avrebbe potuto rimpiazzarlo con Eddie Murphy, un comico semisconosciuto che andava forte in tv, al Saturday Night Live. Lessi la sceneggiatura e mi piacque molto».

Cosa le piaceva?

Il fatto che faceva ridere, ma aveva una struttura da screwball comedy, quel tipo di commedie alla Preston Sturges che si facevano negli anni Trenta e Quaranta e pur sembrando sciocche criticavano la società. Nel 1983 Ronald Reagan era presidente degli Usa, quindi un film che parlava di razza e capitalismo era perfetto. Il titolo però era orrendo.

E quindi?

Dissi che avrei dato cento dollari a chi ne avesse trovato uno migliore, e George Palsy Jr., produttore e montatore, se ne venne fuori con Trading places (letteralmente «scambio di posto», ma anche riferimento al trading di borsa, ndr). Fantastico.

Come è nata la coppia con Dan Aykroyd?

Io e Dan avevamo girato The Blues Brothers nel 1980 e lui è un attore di talento, anche se dopo la morte di John Belushi aveva avuto l’insuccesso di Dr. Detroit. Eddie aveva 22 anni e aveva bisogno di una spalla relativamente giovane, e anche se non tutti erano convinti di Dan, dissi che ci voleva qualcuno con grande coraggio, perché in fondo il suo personaggio non è propriamente positivo: è un bianco ricco che ha una scopa nel culo. Anche se alla fine Dan lo rese simpatico. Ho avuto molti più problemi a convincere i produttori a scritturare Jamie Lee Curtis per il ruolo della prostituta Ophelia.

Come mai?

Perché fino ad allora aveva girato solo horror (Halloween, Fog, Non entrate in quella casa, ndr), all’epoca considerati di «serie B». L’ho conosciuta lavorando a un documentario realizzato con spezzoni di film dell’orrore, in cui faceva la narratrice. Era molto intelligente e divertente, e anche sexy. Quindi mi sono imposto per farla scritturare. Anche se le ho fatto tagliare i capelli, visto il suo volto così squadrato, su consiglio di mia moglie (Deborah Nadoolman, ndr), che era la costumista di Una poltrona per due.

Com’era la comicità di Dan Aykroyd?

Era un fantastico improvvisatore, abituato a fare classici sketch comici. Ma soprattutto uno scrittore di idee originali, come Ghostbusters. Per esempio The Blues Brothers se lo inventò viaggiando in auto e ascoltando i suoi brani preferiti del rhythm and blues. Aveva sempre idee bizzarre anche sul set e quindi doveva essere diretto con misura.

Ed Eddie Murphy?

Eddie veniva dalla stand up comedy, aveva un incredibile talento, e anche se non aveva studiato recitazione, poteva imitare chiunque e calarsi in qualsiasi personaggio. Un talento che ha reso evidente nel nostro film successivo, Il principe cerca moglie, dove interpretava quattro personaggi diversi.

A un certo punto dichiarò che non avrebbe mai girato un film con lei neanche morto. Cos’è accaduto tra voi?

Mentre giravamo la scena del fast food ne Il principe cerca moglie mi ha afferrato per il collo e poi è andato via. Ero furioso, ho lasciato il set, sono salito in auto, e poi da una cabina telefonica ho chiamato il mio avvocato e gli ho detto che lasciavo il film. Lui ha risposto che così facendo non mi avrebbero pagato.

Quindi?

Mi sono calmato, sono tornato sul set e sono andato nella megaroulotte di Eddie per parlare. Gli ho chiesto che diavolo avesse in mente. Mi disse: «mi tratti come ai tempi di Una poltrona per due, ma ora sono la più grande star del mondo!». L’ho visto accadere a molti attori o cantanti, su cui il successo planetario piove addosso all’improvviso: l’ego si gonfia a dismisura. Gli ho detto per il bene del film di finire la scena. Mi aspettavo che il giorno dopo lo studio mi avrebbe licenziato.

E invece?

Eddie chiamò lo studio e disse: o fate fuori Landis o me ne vado. Ma i produttori gli dissero che il girato fino a quel momento era una meraviglia e se se ne fosse andato avrebbe dovuto pagare 15 milioni di dollari di danni. Così finimmo le riprese.

Tornando a Una poltrona per due, qualcuno ha scritto che la scena diDan Aykroyd col volto dipinto di nero oggi non sarebbe accettata in questo clima di correttezza politica.

È difficile fare le commedie senza offendere qualcuno. Certo, ogni scelta però dev’essere giustificata e in questo senso penso che girerei ancora quella scena. Perché il volto colorato di nero era oltraggioso ma era perfetto per il personaggio, che è un razzista idiota. A volte le persone non capiscono che a essere razzista non è il film o il regista, ma solo uno dei personaggi.

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