Home » Tempo Libero » Cinema » Don Cheadle: «E se Elvis assomigliasse a Hitler?»

Don Cheadle: «E se Elvis assomigliasse a Hitler?»

Don Cheadle: «E se Elvis assomigliasse a Hitler?»

Il caratterista afroamericano parla con Panorama del suo ultimo film, Rumore bianco, in cui recita anche Adam Driver. Entrambi interpretano il ruolo di professori: il primo vorrebbe insegnare la storia del re di Memphis, il secondo tiene un corso sul dittatore tedesco. È un adattamento dell’omonimo romanzo di Don DeLillo che apre una finestra sull’America profonda, mescolando un incidente con nube tossica, paura della morte, consumismo, adulterio e thrilling. Il tutto con una sottile vena di humour nero e scanzonato.


In una delle scene più riuscite e divertenti di Rumore bianco, il nuovo film di Noah Baumbach, passato in concorso alla scorsa Mostra del cinema di Venezia e in arrivo su Netflix dal 30 dicembre, Jack Gladney (Adam Driver), professore universitario con un corso di studi su Adolf Hitler, e il suo collega Murray Suskind (Don Cheadle), che vorrebbe dare altrettanta importanza ai propri studi su Elvis Presley, duettano, retoricamente, di fronte a una platea di studenti, evidenziando il parallelo tra le due figure, come se il primo dalla Storia fosse sconfinato nell’universo pop e il secondo avesse fatto il percorso opposto: l’ossessione per la propria madre, l’attrazione verso la morte e, in ultima analisi, la loro mitizzazione da parte delle masse. «Adoro il montaggio di quella scena per come suggerisce che quelle folle adoranti sono le stesse, e che provano la medesima febbrile eccitazione per il mito» racconta Don Cheadle a Panorama. Lo abbiamo incontrato al festival di Venezia per parlare di questo adattamento del romanzo di Don DeLillo che mescola paura della morte, consumismo, adulterio, thrilling e riflessioni sulla cultura americana. «Ci piace pensare di essere creature elevate, in realtà siamo animali molto più primordiali, che in un certo senso cercano ancora di non essere mangiati da un leone e si muovono da un luogo all’altro.

E quando qualcuno attinge al livello più basso, alle emozioni “di pancia”, la paura e il brivido sono strettamente correlati tra loro. Secondo me quel parallelo suggerisce come funziona il culto della personalità: una volta che quell’energia viene sprigionata, può essere guidata in modi molto diversi, non necessariamente votati al bene».

Figlio di un’insegnante e di uno psicologo, Cheadle, 58 anni, ha avuto la sua formazione di attore al prestigioso California Institute of the Arts (CalArts), prima di ottenere piccoli ruoli in film come Hamburger Hill e Colours. Il primo successo ottenuto col ruolo di Ice Tray, l’amico saggio di Will Smith in Willy, il principe di Bel-Air, si è riverberato al cinema, dove ha trovato la consacrazione tra film indipendenti (Il diavolo in blu, Hotel Rwanda per cui è stato candidato all’Oscar), blockbuster come Ocean’s Twelve e soprattutto i cinefumetti Marvel, dove interpreta il colonnello James Rhodes: amico di Tony Stark e incarnazione di War Machine, supermacchina da guerra che avrà presto anche un film dedicato a lui, Armor Wars in arrivo nel 2023. Insomma, il suo volto è ormai talmente famoso che gli chiediamo che effetto faccia anche a lui essere mitizzato dalle masse. «Devo essere sincero, non è qualcosa che avevo immaginato» dice. «Quando ho iniziato non l’ho fatto per ottenere la celebrità».

E per cosa allora?

Per fare colpo sulle ragazze…

Davvero?

Si inizia sempre a fare questo mestiere con lo spirito di divertirsi il più possibile. Poi a un certo punto diventa qualcosa di più serio e allora inizi a desiderare di esplorare parti diverse non solo di te stesso, ma anche della società e capisci di far parte di un movimento che ha il potere di influenzare la cultura.

In Rumore bianco aleggia un costante senso di morte e si parla della paura della fine. Le sue immagini sopravviveranno a lei per secoli, anche quando non ci sarà più…

È un dono ma anche una condanna, sa? Pensi a tutti i film di merda che ho fatto nella mia carriera! Speriamo che la gente non se li ricordi! (ride). A parte gli scherzi, noi attori diamo sempre il massimo per partecipare a pellicole di cui saremo orgogliosi e a volte si ha l’impressione che le cose vadano in quella direzione. Però non abbiamo mai il controllo sul risultato finale.

Se dovesse nominare le pellicole di cui è orgoglioso quali sarebbero?

Sicuramente Hotel Rwanda, poi forse Parla con me. Però sono stato fortunato, anche quando ho avuto ruoli minori sono apparso in film come Traffic o Crash. Davvero non mi posso lamentare.

Qual è stata la particolare sfida di incarnare il professor Murray Suskind in Rumore bianco?

Murray è una persona che si eccita quando ha un’intuizione e vuole consolidare il proprio ruolo in questa università, che è una sorta di torre d’avorio, con la propria ossessione per Elvis. È un personaggio farsesco, ma in fondo vuole trovare una visione più profonda della condizione umana, ed è tra tutti quello che ha un rapporto più onesto con la morte. Crearlo non è stato facile, anche perché il regista Noah Baumbach è davvero diverso da tanti registi con cui avevo lavorato.

In che senso?

È particolarmente attento al linguaggio: il testo della sua sceneggiatura usa parole complesse, difficili, da intellettuale. È concentrato sul significato, ma al tempo stesso sulla loro musicalità. Quindi in un certo senso abbiamo lavorato nello stesso modo in cui si prepara una pièce teatrale. Il lato positivo è che è un autore inclusivo, ascolta sempre i suoi attori e accetta suggerimenti, inoltre organizza molte prove prima di girare. Ricordo che per la scena del duetto accademico su Hitler ed Elvis, io lui e Adam Driver abbiamo costruito insieme la coreografia dei nostri movimenti in scena.

© Riproduzione Riservata