T. S. Eliot
T. S. Eliot al Wenstminster Theatre di Londra nel marzo 1939 (Getty Images).
Costume

Eliot, profeta dell’Occidente in crisi

L'autore della Terra desolata - capolavoro di cui esce oggi una nuova traduzione italiana (oltre a una biografia) - meglio di ogni altro
ha compreso angosce e mali di questo presente. Ma tra le sue pagine c'è anche una possibile cura.


Come spesso accade, nessuno meglio dei poeti è in grado di spiegare il mondo in cui abitiamo. Per comprendere quali siano le ragioni profonde dello sfiancamento europeo e occidentale contemporaneo è sufficiente leggere un libro, ascoltare la voce di un uomo di lettere che, come Virgilio, ci può fare da guida nell'Inferno intorno a noi.

Stiamo parlando dell'artista che forse più di ogni altro ha compreso - e messo su carta - il senso profondo della globalizzazione capitalistica: Thomas Stearns Eliot. Nel 1922 pubblicò un poema intitolato La terra desolata, cui diede forma anche Ezra Pound, appellato dallo stesso Eliot «il miglior fabbro». In quell'opera straordinaria ci sono tutte le coordinate del nostro pound presente. Da poco nelle librerie italiane è arrivata una nuova versione del capolavoro, curata dalla giovane e brava Carmen Gallo. Il Saggiatore ha dato alle stampe La terra devastata, e in effetti il titolo suona più adatto alla nostra situazione. Nell'originale inglese la parola è «Waste», la cui assonanza con West (Occidente) provoca un brivido di angoscia.

Di significati, a questo termine, se ne possono attribuire molti. La nostra terra, oggi, è prima di tutto sterile: un luogo in cui la vita non nasce più. E, è ormai noto, in Europa si fanno sempre meno figli. In compenso, aumentano le malattie non comunicabili e le cosiddette «malattie del benessere». Un benessere che appare sempre più fugace e destinato a scomparire, un benessere a cui la pandemia di Covid ha inferto un colpo quasi fatale.

Nella Terra desolata/devastata Eliot descrive le odierne megalopoli, i colossi di acciaio e cemento in cui è confinata la popolazione, sempre più lontana dalla natura e dal lato selvatico dell'esistenza. C'è, poi, nell'opera, il tema fondamentale della morte per acqua, quella che oggi ci affligge. La morte per acqua avviene «per annegamento»: un'altra immagina spaventosa, ma incredibilmente calzante. Chi muore per il Covid, riporta la cronaca più truce, ha spesso la sensazione di annegare. Non solo: muoiono annegati i migranti vittime del business dell'accoglienza, accolti dal Mediterraneo trasformato in orrenda tomba.

La morte per acqua, tuttavia, è anche quella cui va incontro chi non si è ammalato eppure affoga nella liquidità dei flussi finanziari, del denaro senza controllo e senza frontiere. Sconfinato com'è sconfinata e smisurata la nostra civiltà, ormai privata di ogni gerarchia e di ogni forma. Nel poema di Eliot a morire per acqua è un marinaio fenicio, Phlebas. «Phlebas il Fenicio, morto, da quindici giorni / dimenticò il grido dei gabbiani, e il fondo gorgo del mare, / e il profitto e la perdita. / Una corrente sottomarina / gli spolpò l'ossa in sussurri. Come affiorava e affondava / passò attraverso gli stadi della maturità e della giovinezza / procedendo nel vortice».

Phlebas viene inghiottito dal gorgo perché è vissuto in base alla legge del profitto e della perdita, cioè la legge del capitale, per cui tutto è commerciabile, compresa la vita. È nell'opposizione a questa legge fatale del profitto che esplode la potenza - tutta politica - della poesia di Eliot. Vero, il letterato britannico non era certo un arruffapopoli. La bella biografia T.S. Eliot. Nel fuoco del conoscere firmata da Daniele Gigli e da poco pubblicata da Ares ci offre il ritratto di un uomo gentile, elegante nei modi e nei toni, in fondo anche appartato. Ma che potenza sgorgava dai suoi scritti. Tanta da rendere Eliot uno dei principali riferimenti del conservatorismo anglosassone e mondiale. Egli, infatti, non ci ha mostrato soltanto il male, non si è limitato a ritrarre un Occidente sfranto ed esausto. Ci ha indicato anche alcune cure, particolarmente efficaci.

La prima consiste nel recupero della tradizione. Cioè, nei fatti, di un ordine verticale. La terra del poema è sterile perché il sovrano che la cura è ferito all'inguine, come il Re Pescatore della leggenda del Graal (per comporre l'opera, infatti, Eliot attinse al Ramo d'oro di James Frazer e agli studi sul Graal di Jessie Weston). Dunque bisogna curare il Re, cioè il padre, il custode della tradizione.
Secondo il filosofo inglese Roger Scruton, Eliot ha insegnato che «la vera originalità è possibile solo all'interno di una tradizione e che ogni tradizione deve essere ricostruita dall'artista mentre crea qualcosa di nuovo. La tradizione è qualcosa che vive e, proprio come ogni scrittore viene valutato paragonandolo a chi lo ha preceduto, così il significato della tradizione cambia man mano che vi vengono aggiunte nuove opere».

Questo discorso, valido ovviamente per la poesia e la letteratura, si può agevolmente trasferire sul piano politico. Mantenere viva la tradizione, ecco il primo compito del conservatore: ridare un ordine al mondo devastato. Secondo lo storico americano Russell Kirk (ne Il pensiero conservatore da Burke a Eliot, Giubilei Regnani editore), Eliot è stato il principale pensatore conservatore del ventesimo secolo. Il suo intero sforzo è stato quello di «indicare una via d'uscita dalla Waste land attraverso l'ordine nell'anima e nella società».

Dopo la pubblicazione del suo capolavoro poetico, non a caso, Eliot si orientò alla produzione di scritti politici. Di recente, sulla rivista First Things, il brillante Robert C. Koons, professore di filosofia all'Università di Austin (Texas), ha dedicato un approfondimento (tradotto in italiano da Tempi.it) agli Appunti per una definizione della cultura. Si tratta di un saggio fondamentale, in cui Eliot compie un'importante distinzione fra «livellatori» e «populisti».

«I livellatori» spiega Koons «hanno da ridire su ogni tipo di gerarchia, per quanto antica e veneranda: quella dei genitori sui figli, dei preti sui parrocchiani, della nobiltà sulle classi inferiori. I populisti si concentrano invece sulla liberazione delle comunità naturali da quanti comandano nel nome della ragione, della scienza, della professionalità o della competenza (manager, burocrati, accademici) così come dalle grandi organizzazioni (agenzie governative, università, multinazionali) che incarnano il medesimo spirito di metodo e di sapere astratti».

È piuttosto evidente come oggi i «livellatori» abbiano trionfato. La terra livellata è quella desolata, priva di un ordine verticale, di una gerarchia. Una terra in cui il Re (dunque il principio paterno) è ferito, impotente. Una terra in cui prevale la legge del profitto e della perdita che conduce alla morte per acqua.

Come alternativa a tale mondo orizzontale e morente, Eliot arrivò a proporre L'idea di una società cristiana (questo il titolo di un suo saggio del 1940). Dai tempi della Waste land, il poeta aveva affrontato un lungo viaggio. Si era convertito, e la sua lotta contro gli Hollow men - gli uomini vuoti di una sua potente poesia del 1925 - si era fatta più decisa. Ma, in fondo, il tasto su cui batteva era sempre quello: l'opposizione, sempre più radicale, alla legge del profitto. «Se i nostri veri ideali si riassumessero nell'efficienza materialistica, allora sarebbe meglio rendercene conto al più presto e affrontarne le conseguenze» scriveva con tono grave».

Per l'ennesima volta, ci stava mettendo in guardia: se vogliamo evitare di annegare nel mondo liquido e liquefatto, non ci resta che rinnovare la tradizione, continuare a renderla viva facendo esercizio di creatività e di fede. Altrimenti, il nostro destino sarà lo stesso del marinaio fenicio, condannato alla fine più triste e oscura.

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Francesco Borgonovo

(Reggio Emilia, 1983). È caporedattore della Verità. Ha ricoperto lo stesso ruolo a Libero. Ha pubblicato, tra gli altri, i saggi Tagliagole (Bompiani) e L'Impero dell'Islam (Bietti). Con Giacomo Amadori ha collaborato alla stesura del libro I segreti di Renzi (Sperling & Kupfer) di Maurizio Belpietro. Ha lavorato come autore televisivo per programmi in onda sulla Rai e su La7, tra cui La gabbia. Conduce su Telelombardia il talk show politico Iceberg.

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