New York è ormai il libero Stato della cannabis (droga legalizzata nel 2021 e il cui business annuo tocca il miliardo di dollari), dei prezzi proibitivi – dalle case agli hot dog -, delle strade intasate di auto e smog. E molti la abbandonano, a favore dei sobborghi.
L’odore di marijuana, acre e pungente, sovrasta. Quasi fosse incollato alle vetrine, incastrato nei cestoni dell’immondizia o mescolato al vapore che esce dai tombini, per le strade di New York il tanfo di spinello t’insegue a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ed è ovunque: ammorba le rarefatte eleganze dell’Upper East Side come le pittoresche viuzze di Soho. A produrre la sorprendente novità olfattiva della Grande Mela è stata la legalizzazione della marijuana, lanciata a metà del 2021 dall’ex governatore dello Stato, il democratico Andrew Cuomo, che ha gettato le basi per la libera vendita a tutti gli abitanti sopra i 21 anni.
In teoria, il commercio avrebbe dovuto limitarsi all’uso «medico», ma così non è accaduro: oggi, 18 mesi dopo, a New York sono attivi migliaia di cannabis shop, se ne incontra ogni 200-300 metri, più un numero imprecisato di banchetti stradali e di camioncini per le consegne a domicilio.
Inevitabilmente, il consumo è esploso: negli ultimi 12 mesi si stimano vendite per quasi un miliardo di dollari, cui però sembra si siano affiancati traffici illegali per altri due miliardi. Dallo scorso 29 dicembre, poi, anche l’evidente ipocrisia della limitazione «farmacologica» è caduta, e così a Manhattan ha aperto il primo negozio che vende spinelli per uso dichiaratamente «ricreativo», uno spazio di 400 metri quadrati tra la Broadway e l’Ottava strada. E le richieste di nuove licenze sono già 900.
Ma non è certo per l’impressionante consumo di marijuana se oggi New York sembra impazzita. A fare ancora più impressione sono i prezzi, davvero folli. Di tutto. L’hot dog, che da decenni a Manhattan costava tradizionalmente un dollaro, oggi viene venduto a due se non a tre in qualsiasi baracchino di strada. Non è una sorpresa, se si pensa alla fiammata dell’inflazione americana, che nel 2022 ha superato il 9 per cento, e all’apprezzamento del dollaro rispetto all’euro. Ma il «Big Mac Index», il geniale indice di comparazione dei prezzi globali ideato nel 1986 dall’Economist, dice che oggi il tipico doppio hamburger della McDonald’s negli Stati Uniti costa quasi sei dollari, contro una media di poco superiore ai quattro in Europa.
Ecco, se oggi l’America è tanto più costosa, New York è al vertice assoluto dei prezzi. I suoi ristoranti sono letteralmente proibitivi. Certo, è banale sia così nei posti più eleganti e turistici di Manhattan: un panino e una bibita consumati al bancone della Freedom Tower costano oltre 50 dollari, e una bistecca nella storica steak house Keens supera i 75. Ma lo stesso vale per una cena leggera a base di uramaki in un ristorante giapponese di buon livello, che supera i 100 dollari, o anche per un bagel con formaggio che su Madison avenue può costarne 32. Tutto questo, però, sempre evitando accuratamente il vino, i cui prezzi ormai sono immorali perfino per un magnate del petrolio.
E le pretese non calano a Brooklyn: qui costa 30 dollari una pizza consumata in un locale pittoresco, ma ricavato in un vecchio garage al quale i carabinieri dei nostri Nuclei antisofisticazione e sanità apporrebbero i sigilli in pochi secondi. E una coppa di yogurt al bar di un albergo ne vale 14, mentre arriva a 10 un caffè espresso con brioche. Ovviamente a questi prezzi va sempre aggiunta la tip, ovvero la mancia. Non è facoltativa, perché qui è parte integrante della retribuzione dei camerieri: si parte da un minimo del 10 per cento della spesa, ma si può arrivare al 20-25.
La follia dei prezzi non riguarda soltanto il cibo. Il costo della vita è impazzito a tutti i livelli, nella Grande Mela: è un «baco» che ormai l’attraversa da parte a parte. Gli affitti, che nel 2020 erano scesi in media del 25 per cento per la fuga dalla città causata dal Covid, dal gennaio 2021 sono tornati a salire e in due anni sono aumentati del 61 per cento. È difficile fare una media a Manhattan, dove l’immobiliare passa dal lusso estremo al popolare andante, ma l’agenzia RentHop stima che sull’isola il costo medio di un appartamentino di una stanza oggi sia 4.500 dollari al mese, contro i 3.450 del 2021; se poi si passa alle due stanze, l’affitto medio sale a 5.500 dollari al mese contro i 4.800 di due anni fa.
Ma anche un modesto parcheggio ricavato in un cortile scoperto affacciato su Canal street, in Lower Manhattan, costa 590 dollari al mese per un’automobile, e balza a 845 per un Suv o un furgoncino di medie dimensioni. A queste cifre vanno poi aggiunte imposte comunali di poco superiori al 18 per cento, più un «obolo d’ingresso» una tantum di 21 dollari. Non parliamo dei taxi newyorkesi, che un tempo a noi italiani sembravano convenienti.
Fino a pochi anni fa, una corsa di pochi chilometri costava in genere meno di 5 dollari, ma oggi lo stesso tratto arriva a 20-25 dollari, cui va aggiunta l’onnipresente tip. Se si paga con carta di credito, evitare la mancia è tecnicamente impossibile, perché a bordo del taxi lo schermo del bancomat la pretende in tre possibili misure: il 10, il 15 o il 20 per cento.
Intanto, tra avenue e street, anche il traffico è diventato folle. La paura di infettarsi con il Covid sui mezzi pubblici, soltanto tra giugno e luglio 2020, aveva spinto gli abitanti ad acquistare quasi 90 mila automobili in più. E questo oggi nelle strade si sente, purtroppo, con intasamenti frequenti e con una media di 303 incidenti con feriti al giorno. Oggi che il virus terrorizza meno, nonostante le nuove varianti cinesi, la metropolitana è tornata a essere frequentatissima.
Adesso, però, a fare paura è l’obsolescenza di treni e binari, che avrebbero bisogno di investimenti miliardari. E, sia pure in modo diverso, nella Subway spaventa anche la frequenza degli incontri con gli squilibrati e dei furti. Il sindaco Eric Leroy Adams, un nero eletto nel gennaio 2022 per il Partito democratico, è un ex funzionario di polizia e fa mostra di particolare attivismo contro il crimine. Adams ha riempito la città di volanti e il suo ufficio ha appena divulgato statistiche rassicuranti su omicidi, stupri e rapine, però il quotidiano New York Times gli ha risposto ricordando che nel 2022, su un totale di 434 omicidi registrati, i ragazzi sotto i 18 anni uccisi da un’arma da fuoco sono stati 149, contro i 138 del 2021.
È indubbio che la metropoli conservi intatto il suo fascino estetico. Ma tutte queste negatività stanno spingendo molti a lasciarla. Lo U.S. Census Bureau stima che, dopo i 328 mila residenti che nel 2021 avevano voltato le spalle a New York City, altri 70 mila abbiano deciso di farlo nel 2022. La popolazione, che era di 8,8 milioni nel 2020, oggi è scesa a 8,4.
In tanti traslocano nei sobborghi, altri puntano direttamente verso le campagne degli Stati confinanti, come New Jersey o Connecticut. «Mi è appena nato un figlio» dice Nicola G., un italiano che da vent’anni abita a Brooklyn, «e voglio per lui una vita migliore». Non è soltanto una questione d’aria e ambiente. Oggi a Nicola un gallone di latte, nel negozio sotto casa a Brooklyn, costa 6 dollari e 80 centesimi. Accanto al piccolo centro dove presto si trasferirà, 150 chilometri a nord di New York, ha scoperto che si trova proprio la fattoria che produce quel latte. Con una differenza: sul posto, la fattoria vende quello stesso gallone di latte ad appena 2 dollari e 80 centesimi. E compensa con 2 dollari chi restituisce il vuoto. Cambiare aria conviene davvero, e non soltanto per il tanfo di spinelli…
