Quando riapriranno i parrucchieri, «le donne chiederanno capelli facili da raccogliere, colpi di luce dal biondo al rosso e un look a metà tra la guerriera e la geisha». Parola di una figlia d’arte.
Prepariamoci a canoni estetici inediti e a codici stilistici di ritorno. «Vedremo tagli coraggiosi che aiuteranno a scatenare il sorriso negli occhi, quello che abbiamo tutti un po’ smarrito. Immagino capelli non troppo lunghi, facili da raccogliere, capaci di farci percepire come guerrieri in lotta per recuperare la libertà perduta. Capelli da lavare spesso, per sentirsi addosso il piacere dell’acqua e poterseli aggiustare di frequente, anche da soli. Prevedo una riscoperta del collo: uno splendore ritrovato alla Audrey Hepburn o echi eleganti di Giappone, della geisha di una volta. E poi un trionfo del biondo, del rosso, i colori della terra e della luce».
Monica Coppola, figlia di Aldo, uno dei più grandi innovatori nel mondo delle acconciature, guarda avanti. È consapevole che l’attesa per la riapertura dei parrucchieri si sta facendo febbrile e porterà con sé la gioia di premiarsi. Di osare più del solito attraverso un cambio di look. «Già ai tempi di guerre recenti, sono stati condotti sondaggi nella popolazione barricata in casa: l’89% non vedeva l’ora di un taglio. Era il primo regalo che desiderava concedersi non appena fosse cessata l’emergenza. Oggi è la stessa cosa. Sembra futile, ma aiuta a restituirci quel tocco di bellezza di cui abbiamo assoluto bisogno. Dal mio lavoro ho capito che, quando riesci ad abbellire una donna, rinforzi la sua femminilità. È una specie di terapia di benessere: la vedi entrare curva e uscire con le spalle diritte».
Monica, che ha lavorato a lungo a New York e ha conquistato con il suo estro icone come Linda Evangelista, Claudia Schiffer, Naomi Campbell, Bar Refaeli, Carla Bruni e moltissime altre, è oggi una figura di riferimento negli atelier Aldo Coppola, presenti a decine tra l’Italia e l’estero, tra Milano, Roma e Londra, tra la Russia, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti. Parla con cauto entusiasmo di questo strano presente, non per voglia di minimizzarne la gravità, piuttosto tentando di scovarne le opportunità: «La situazione non è leggera, per uscirne dovremo trasformarla in un’occasione. In una riscoperta della creatività. Tema sul quale, ultimamente, siamo stati un po’ dormienti. Bisogna reinventarsi. Ripartire».
Lo stanno facendo i suoi saloni, come quello di Lugano che già ha potuto riaprire, senza particolari affanni nel rispetto del distanziamento sociale: «Gli spazi non ci mancano. Quanto alle clienti, si sono dimostrate preparate e disciplinate. Non hanno avuto bisogno di eccessive raccomandazioni, si sono presentate puntuali all’orario dell’appuntamento, con la mascherina». Una barriera, non necessariamente un ostacolo: «Non impedisce di fare una battuta, di cogliere in uno sguardo il sorriso altrui». E poi, guanti sulle mani, sterilizzazione dei ferri del mestiere, ovunque igiene totale. «Niente di nuovo, eravamo già pronti, era nelle nostre abitudini».
L’intento di Monica Coppola sembra essere quello di non caricare, di alleggerire, sdrammatizzare, catturare il lato positivo: «Forse il lavoro in atelier si farà più lento, però nemmeno questo mutamento riesco a vederlo come un handicap. Ci eravamo abituati alla frenesia, impareremo ad accudire con concentrazione ancora maggiore. Una persona alla volta».
La sua quarantena l’ha trascorsa nell’Oltrepò pavese «tra Lodi, Piacenza e Milano, in pratica in mezzo al cuore della pandemia». Nel suo rifugio nella campagna, ha potuto riflettere: «Ho imparato ad accogliere un silenzio che fa quasi rumore, ho ritrovato la calma, la capacità di innamorarmi della mia solitudine». Soprattutto, ha visto come la natura sia tornata a impossessarsi dello spazio, a riappropriarsi di ciò che le appartiene da sempre: «Sono spuntati cerbiatti, pavoni, animali mai visti prima. Credo che una lezione l’abbiamo appresa. Siamo più consapevoli di quale meraviglia sia il nostro pianeta, del suo grandioso risveglio. Penso, dunque, che in tanti sceglieranno per i loro capelli colorazioni naturali. Prenderanno coscienza del fatto che quelle tossiche vengono portate via dall’acqua di scarico, finiscono nelle tubature, arrivano nella terra e la inquinano».
Più che il mezzo, d’altronde, conterà il messaggio da trasmettere: «Ci sarà voglia di esporsi. Di farsi vedere, tornare a scoprirsi tramite gli sguardi. Non riusciamo a riconoscerci da soli, abbiamo bisogno degli altri. Se stai da solo, non sai chi sei. Il tuo io lo approfondisci dall’esperienza, dalla prospettiva di chi ti circonda». Tanto vale stimolarla quella prospettiva, stuzzicarla: «Si giocherà con le acconciature, perché la mascherina impedirà di utilizzare la bocca. O, almeno, di utilizzarla troppo. Una parola può uccidere o far innamorare, possiede la stessa potenza in entrambe le direzioni. La mascherina insegnerà a tenere conversazioni importanti, a fare parsimonia di frasi per risparmiare ossigeno. Aiuterà a rivolgere l’attenzione un po’ più in su. A guardarci, finalmente, tutti negli occhi».
