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Londra, il canile dove esiste il lieto fine

Londra, il canile dove esiste il lieto fine

Battersea Dogs & Cats Home, a Londra, è uno dei rifugi per animali più grandi d’Europa. Fino a oggi la struttura ha salvato oltre tre milioni di pets grazie a una rete di volontariato e a sponsor famosi (la loro patrona è Camilla, duchessa di Cornovaglia). Alcuni suoi ospiti sono ormai star mediatiche, come il gatto di Boris Johnson. Ma di formidabili storie «a quattro zampe» ce ne sono parecchie. Anche quelle in tempi di pandemia.


I loro video promozionali sono pieni di musi buffi e irriverenti. Cani che si rotolano nel fango, gatti che si stiracchiano sul collo dei padroni. Signore e signori, benvenuti al Battersea Dogs & Cats Home di Londra, uno dei rifugi per animali abbandonati più grandi e «mediatizzati» d’Europa. Adesso, quando te lo trovi di fronte – una parte della struttura è in fase di ristrutturazione – con le sue mascotte ingigantite sui muri, sembra quasi sparire accanto all’imponente complesso della nuova Battersea Power Station (la storica centrale elettrica ora trasformata in appartamenti di lusso), ma l’impressione dura un attimo.

Nato nel 1860, da un’idea di Mary Telby che propose al Parlamento la realizzazione della sua prima «casa temporanea per cani e gatti abbandonati» – quando i senzatetto del Paese, alla notte, avevano per rifugio soltanto una corda cui appoggiarsi per dormire – questo ricovero d’eccezione può contare su tre sedi e una rete integrata di volontariato, che travalica i confini della nazione. Dall’apertura fino a ora hanno salvato più di 3 milioni di gatti e cani, 5 mila soltanto nei 12 mesi anteriori all’ottobre del 2019. Si avvalgono dell’aiuto di 70 mila sostenitori, non dispongono di fondi pubblici, ma hanno patroni e presidenti di sangue blu e sponsor che farebbero invidia a chiunque, tra cui David Gandy, il modello protagonista di molte campagne pubblicitarie di Dolce & Gabbana.

La duchessa di Cornovaglia, Camilla, è la loro patrona e non c’è Natale che i nostri non tentino (con successo, va detto) di affibbiarle qualche nuovo ospite. La prima volta è stato il turno di Beth, una jack russell trovata dai volontari mentre vagava disperata in un bosco. Paul O’Grady invece, notissimo attore comico, ideatore e conduttore di una serie televisiva dedicata proprio alle storie di Battersea, vive con decine di loro nella sua casa in campagna e ancora non ha smesso di adottarne.

Alcuni animali sono diventati vere star: come Larry, il gatto del Premier Boris Johnson, capo della squadra ufficiale dei tre felini acchiappatopi di Westminster. Arrivato con il suo fare strafottente al n.10 di Downing Street nel 2011, da lì non si è mai più mosso, sopravvivendo a ben tre primi ministri. Soltanto la Regina supera di molto il suo record. Si sa che aveva una predilezione per David Cameron, con Theresa May il rapporto era più complicato, BoJo lo lascia passeggiare indisturbato sulla scrivania, come Romeo nel film Gli Aristogatti. E per Natale si concede al fotografo ufficiale per le foto di rito con il papillon scozzese.

La sede centrale londinese ha centinaia di gabbie in muratura al coperto, dove cani e gatti vengono curati e coccolati. E dalle quali escono per andare a spasso con i volontari nel parco omonimo sul Tamigi. O per recarsi a fare terapia nella struttura idrotermale, dove reimparano a muoversi dopo essere rimasti per mesi, a volte anni, rinchiusi in gabbie anguste senza poter zampettare all’aria aperta. O ancora, per incontrare i loro nuovi padroni, durante la prima visita di conoscenza reciproca fino all’ultima, quando bambini e adulti li aspettano emozionantissimi, con il loro nuovo guinzaglio, seduti nell’atrio della reception.

«Rescue is our favourite breed», ovvero «quella da rifugio è la nostra razza preferita» recita uno degli slogan pubblicitari, e i trovatelli di Battersea lo incarnano alla perfezione. Si presentano ai loro nuovi compagni umani zampettando, entusiasti o ritrosi, irruenti o timidi, piccoli o enormi, cuccioli e anziani, a volte con tre zampe o un solo occhio. Ma non deludono mai. La loro ultima immagine è una camminata trionfale verso un’esistenza migliore di quella che hanno avuto, salutati spesso da uno stuolo di personale con gli occhi umidi.

Non sono campioni di empatia i sudditi della Regina, ma con gli animali si sdilinquiscono perché il rapporto con loro li ricongiunge a quel countryside perduto che fa parte del loro Dna. E a Battersea commuoversi è facile nel vedere l’amico quadrupede salvato dalla solitudine e dagli abusi. Per assicurarsene nei mesi a venire, un volontario contatterà la famiglia che l’ha adottato, andrà a trovarlo, spesso proporrà di prenderne un secondo, perché questa è la missione di Battersea: non voltare mai le spalle di fronte a un cane o un gatto bisognoso e occuparsene sempre, anche a distanza.

Durante il lungo lockdown, l’esperienza del supporto da lontano l’hanno sperimentata talmente bene che è diventata la missione dei prossimi 5 anni. «È stato un periodo durissimo» spiegano alla reception «ma grazie al forte impegno di tutti, ce l’abbiamo fatta. Ora abbiamo riaperto ed è una vera gioia».

Quando la pandemia ha colpito duro sul Regno Unito, dentro c’erano 450 ospiti che richiedevano cure e accudimento continui. Grazie a un tam tam spontaneo, quasi tutti hanno trovato un’abitazione temporanea, un genitore affidatario. Ogni componente del personale si è portato a casa almeno un cane o un gattino. I pochissimi rimasti hanno sempre avuto a disposizione un volontario, un impiegato amministrativo, il veterinario e il terapista che andava a trovarli e li portava fuori, grazie al ciclo continuo di turni che consentivano di non violare le regole sul distanziamento.

Gli ostacoli da superare sono stati innumerevoli, anche perché, essendo abituati a lavorare in squadra, coordinare tutto da remoto è stato faticosissimo. Fino allo scorso aprile, nessuna sede poteva accogliere i nuovi arrivati, tantomeno far entrare nella struttura gli adottanti. Persino la più semplice procedura si trasformava in un percorso a ostacoli, fatto di colloqui preliminari via Zoom e consegne di animali a domicilio.

Henry il «lurcher», ovvero il mezzo levriero, come lo avevano soprannominato, è stato tra i primi a venir adottato durante la pandemia. La scorsa estate, per portarlo dalla sede di Brands Hatch, in Kent, fino alla residenza nell’Oxfordshire di Mrs e Miss Granger, una coppia in pensione, due volontari hanno guidato per 250 chilometri. Appena sceso dalla macchina, Henry si è sentito a casa e si è lanciato nel laghetto vicino all’abitazione, per rinfrescarsi. Vicki Milner, a capo della squadra che si occupa di riaccasare i cani, ha raccontato che in quei mesi di chiusura totale è stato straniante «avventurarsi per le strade vuote e silenziose delle città, venire al lavoro sapendo che nessuno si sarebbe presentato alle porte delle nostre sedi. Ma per i pochi di noi che erano lì a turno, questo non è mai stato un motivo per non presentarsi».

Poiché in fondo, in un secolo e mezzo, il loro obiettivo è rimasto identico: agguantare al volo la zampa del peloso che ti chiede aiuto. Se poi ti morde vabbè, capita anche con i bambini. n

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