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Contro l’astrattezza digitale della pubblica amministrazione

Contro l’astrattezza digitale della pubblica amministrazione

Gli italiani hanno forti deficit informatici. Ma non è un buon motivo per tenere ancor più a distanza i cittadini. Specialmente gli anziani.


Siamo sicuri che la cosiddetta digitalizzazione, della vita in generale e in particolare della pubblica amministrazione, renda la quotidianità dei cittadini più semplice? O, al contrario, in certe condizioni la rende addirittura più difficile? Se infatti non c’è dubbio che questa evoluzione digitale sia qualcosa di assolutamente desiderabile e nei confronti della quale siamo in grave ritardo (basti pensare a ciò di cui si lamenta chi lavora nei tribunali – dagli impiegati ai cancellieri ai magistrati), e se non c’è ugualmente dubbio sul fatto che, anche nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, la digitalizzazione ha portato e può portare benefici (basti pensare alle autocertificazioni fatte dal proprio computer evitando le code – anche se occorrerebbe poi vedere il livello di semplicità e la funzionalità nonché l’accessibilità a questi sistemi informatici, perché spesso peggiori di una coda allo sportello), è pur vero che per moltissimi cittadini questa nuova realtà della cosa pubblica è resa più complessa, se non inaccessibile.

E questo non lo affermiamo noi, ma lo dicono alcune ricerche talmente variegate tra loro che ci portano a non dubitarne. Per esempio, secondo l’Ocse – l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – solo il 21% degli italiani ha un livello di alfabetizzazione digitale appena sufficiente; se andiamo quindi a vedere i dati sull’analfabetismo digitale diffusi dalla Commissione europea, scopriamo che il 31% degli italiani non utilizza internet, solo il 13% usa procedure amministrative online (la media Ue è del 30); in Italia l’8% delle Pmi, le piccole e medie imprese, vende anche online, in Germania si arriva al 23%. Ancora: il 40% dei dipendenti di aziende private italiane non sa ricorrere bene ai software da ufficio (Office, Csm, Crm e così via).

Se questo è vero in generale immaginate voi, essendo l’Italia un Paese con una rilevante percentuale di persone anziane – e sempre più vecchio (per ogni bambino abbiamo cinque anziani, e il rapporto tra chi ha 65 anni e più e chi ha meno di 15 anni è passato dal 33,5% del 1951 al 180% del 2019) – immaginate cosa può voler dire il deficit digitale per la popolazione in età avanzata che necessita di rapporti costanti con quella parte della pubblica amministrazione relativa all’Inps o alle strutture sanitarie. Un disastro: queste persone senza la possibilità di interlocuzione con un soggetto reale, e che si possono rivolgere solo a una struttura telematica, sono nell’incapacità totale di accesso ai servizi. Ecco, a loro la digitalizzazione rende la vita più difficile, non più semplice.

Da ricerche condotte dalla professoressa Vittoria Gallina si viene a sapere inoltre che più di 11 milioni di connazionali dai 15 ai 64 anni riconoscono le lettere dell’alfabeto ma non sanno cogliere il significato di un testo elementare e non sanno quindi orientarsi nel mondo digitale. Si chiama analfabetismo funzionale. Se poi andiamo a leggere un rapporto Unicef molto recente (febbraio 2021), relativo agli effetti della «didattica a distanza» in Italia durante la pandemia, scopriamo che circa tre milioni di studenti italiani potrebbero non essere riusciti a fruirne in modo adeguato, a causa della mancanza di connettività internet; inoltre, il 27% delle famiglie, in particolare quelle più numerose, ha riferito di non avere dispositivi sufficienti per supportare le proprie esigenze scolastiche e lavorative.

Del resto, immaginate una famiglia con padre e madre in smart working, tre figli in Dad e un appartamento di 80 metri quadri. Occorrono ulteriori spiegazioni? Vedete, tutto questo discorso non è contro la digitalizzazione, ma è contro l’astrattezza con la quale vengono fatte alcune leggi e vengono adottati alcuni provvedimenti da parte della pubblica amministrazione. Nella maggior parte dei casi, sono più basati sulle esigenze della stessa pubblica amministrazione piuttosto che su quelle dei cittadini. I dati che abbiamo riportato rivelano in modo lampante questa astrattezza nel procedere.

Almeno agli anziani andrebbe assicurato un rapporto con la pubblica amministrazione nel quale, obbligatoriamente, vi sia la possibilità di interloquire con un operatore telefonico. E anche in questo caso, direttamente, senza dover passare attraverso innumerevoli passaggi gestiti da un operatore fantasma che fa domande a cui si risponde solo premendo un numero della tastiera. Ci vorrebbe una persona che risponda a un’altra persona.

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